In Cambogia è stata confermata la condanna all’ergastolo per l’unico leader ancora vivo dell’ex regime dei Khmer Rossi
Il tribunale speciale cambogiano per i crimini commessi durante il regime militare comunista dei Khmer Rossi ha respinto la richiesta di appello di Khieu Samphan, l’unico leader dell’ex regime ancora vivo, confermando la sua condanna per il genocidio compiuto tra il 1975 e il 1979. Samphan, che oggi ha 91 anni, era in quegli anni capo di stato del regime: nel 2018 era stato giudicato colpevole di genocidio e condannato all’ergastolo dal tribunale speciale.
Insieme a Nuon Chea, ideologo del partito comunista del dittatore Pol Pot, morto nel 2019 a 93 anni, Samphan era già stato condannato alla stessa pena per crimini contro l’umanità e altri reati commessi durante gli anni della dittatura militare. Ci si aspetta che questa sia la decisione definitiva del tribunale.
Il regime dei Khmer Rossi, guidato da Pol Pot, fu responsabile dell’uccisione di circa un quarto della popolazione cambogiana di allora: in quegli anni circa due milioni di cambogiani e persone di varie minoranze etniche morirono a causa di malnutrizione, assenza di strutture mediche, eccesso di carichi di lavoro ed esecuzioni di massa. Le condanne di Samphan e Chea hanno un grande valore simbolico, ma sono tra le pochissime a cui negli anni sia riuscito ad arrivare il tribunale speciale, considerato per molti versi un mezzo fallimento.
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