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  • Mercoledì 21 settembre 2022

Il mondo che ha creato Stephen King

Le sue decine di romanzi horror hanno venduto milioni di copie influenzando cinema, televisione e molto altro: e oggi compie 75 anni

(AP Photo/Francois Mori)
(AP Photo/Francois Mori)
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Stephen King andava in terza media quando scrisse il suo primo successo editoriale: s’intitolava Il pozzo e il pendolo ed era la trascrizione di un film horror-gotico che aveva visto al cinema. Ne stampò quaranta copie e riuscì a venderle quasi tutte ai suoi compagni di scuola prima di essere convocato dalla preside, che lo rimproverò per aver scritto una «porcheria simile». Nel libro On Writing, dove ripercorre un pezzo della sua storia, King racconta di aver passato anni, dopo quell’episodio, a vergognarsi del suo mestiere e a ripensare alla preside che gli chiedeva perché volesse sprecare il suo talento scrivendo «robaccia del genere».

È passato molto tempo da allora, King compie 75 anni oggi e nella sua carriera ha pubblicato più di 70 libri che lo hanno reso il più famoso e prolifico scrittore di horror e thriller negli Stati Uniti e nel mondo. Pur non essendo sempre apprezzati dalla critica, i suoi romanzi hanno venduto milioni di copie: alcuni sono diventati film di culto come Shining di Stanley Kubrick (su cui King fu molto critico), Le ali della libertà e Stand By Me. Più in generale la sua opera nella sua interezza ha contribuito a creare un immaginario fatto di ragazzini in bicicletta, pagliacci mostruosi, scuolabus e scrittori impazziti, che continua a ispirare e appassionare lettori e spettatori di tutte le età. In Italia, il suo ultimo libro, Fairy Tale, che è uscito il 6 settembre, è primo in classifica.

Stephen King nacque a Portland, nel Maine, e crebbe insieme alla madre e al fratello. Cominciò a scrivere molto presto: il suo primo racconto originale s’intitolava Greymore Hotel e quando lo fece leggere alla madre lei gli disse che era abbastanza bello da essere pubblicato in un libro vero. «Da allora», scrive King, «nessun’altra frase mi ha mai reso tanto felice». La verità però era che farsi pubblicare un racconto non era facile e che prima di diventare uno scrittore di professione King ricevette svariate lettere di rifiuto. Le conservava tutte in camera sua appese a un chiodo, che a quattordici anni dovette sostituire con uno più robusto perché il peso era diventato insostenibile.

Alcune lettere però contenevano commenti incoraggianti, come quella del direttore editoriale della rivista Fantasy & Science Fiction, che gli rispose che il racconto che gli aveva mandato non era male: «Lei possiede un certo talento. Ci mandi altre proposte». King lavorò come cronista sportivo per il giornalino scolastico, nonostante non ne sapesse granché di sport e considerasse i giornali la sua «nemesi», e poi, tra la fine della scuola e gli anni dell’università, anche in una fabbrica tessile, nella biblioteca del college e in una lavanderia.

A 24 anni si sposò con Tabitha Spruce (ora nota come King), che divenne a sua volta scrittrice, e con cui nel giro di sei anni ebbe tre figli, Naomi, Joe e Owen: gli ultimi due sono diventati anche loro scrittori. Tabitha King, che attualmente gestisce insieme al marito la fondazione di beneficenza Stephen and Tabitha King Foundation, ebbe dall’inizio un ruolo centrale nella sua carriera. Come spiega in On Writing: «Scrivere è un mestiere solitario. Avere vicino una persona che crede in te fa un’enorme differenza».

La casa dei King (dopo essere diventati ricchi) a Bangor, nel Maine (Robert F. Bukaty, File)

Nei primi anni Settanta la famiglia King non se la passava affatto bene economicamente e Stephen arrotondava lo stipendio della lavanderia vendendo racconti a quelle che suo nonno aveva ribattezzato «riviste con le tette dentro», perché erano quelle che pagavano meglio per la narrativa breve. Quei racconti furono poi pubblicati nella raccolta A volte ritornano.

Dopo aver ottenuto un lavoro da insegnante e una minima sicurezza economica, gli venne l’idea per Carrie: non era il primo romanzo che scriveva, ma fu il primo a essere pubblicato. King racconta che la storia di Carrie nacque come molte delle sue idee, mettendo insieme due elementi casuali che gli erano rimasti impressi e che improvvisamente trovavano un collegamento: in quel caso, uno era un lavoro in un liceo anni prima, durante il quale si era trovato a scrostare la ruggine dal bagno delle ragazze, e l’altro era un articolo sulla telecinesi e l’adolescenza che aveva letto sulla rivista LIFE.

Così nacque la storia di una liceale bullizzata dalle compagne, che con le prime mestruazioni sviluppa un potere soprannaturale terribile e lo usa per sfogare la sua rabbia. Carrie, un personaggio per cui King scrisse di non essere mai riuscito a provare simpatia, gli valse il primo contratto per un libro con la casa editrice Doubleday. L’anticipo di 2.500 dollari (gli scrittori vengono spesso pagati dagli editori prima dell’uscita di un libro con una somma stimata a partire da quante copie sperano di vendere) era poca cosa per gli standard di allora, ma King non lo sapeva ed era comunque molto più di quanto avesse pensato di poter racimolare con una sua storia. Almeno finché non seppe che un’altra casa editrice, la Signet, aveva comprato i diritti per l’edizione tascabile di Carrie per 400mila dollari. L’anno dopo ne fu venduto un milione di copie e due anni dopo, nel 1976, ne fu tratto un film diretto da Brian De Palma, che fece 33 milioni di dollari di incasso.

Dopo Carrie arrivò Le notti di Salem, che è anche il romanzo più consigliato a chi si vuole approcciare allo scrittore. Qui infatti compaiono per la prima volta alcuni degli elementi che torneranno nei romanzi successivi e che contribuiranno a delineare il mondo spaventoso di Stephen King: una cittadina di provincia del Maine, un protagonista scrittore, uno scuolabus e naturalmente mostri, in questo caso vampiri.

A quel punto la carriera di Stephen King decollò, ma nonostante questo la sua vita non era felice. Di quei primi anni da scrittore raccontò di aver sofferto di alcolismo e dipendenza da droghe. A posteriori, si accorse che entrambe le cose emergevano dai suoi libri: per esempio uno dei personaggi principali di Shining è uno scrittore ed ex insegnante alcolizzato, mentre Misery racconta la storia di un’infermiera psicopatica che sequestra uno scrittore per fargli scrivere quello che vuole lei. L’infermiera era una metafora della cocaina, rivelò poi. King scrisse di quegli anni che stava «morendo davanti agli occhi della mia famiglia» e che la moglie gli diede due possibilità: andare in un centro di recupero o fare le valigie. Scelse la prima.

Tra gli anni Settanta e Ottanta, quando il suo nome era già famosissimo, pubblicò alcuni romanzi con lo pseudonimo Richard Bachman: un po’ perché voleva vedere se avrebbero avuto successo comunque, un po’ perché allora le case editrici non pubblicavano più di un libro all’anno per autore e lui ne scriveva più di così. Nonostante vendesse milioni di copie, King ci mise anni a ricevere i primi riconoscimenti da parte della critica, soprattutto per via dello stereotipo secondo cui i generi horror e thriller appartenevano necessariamente a un tipo di letteratura “bassa”, che piace soprattutto alle masse meno colte. Quando vinse il prestigioso premio O. Henry Award per un suo racconto uscito sul New Yorker nel 1994, la rivista di settore Publishers Weekly lo definì «una delle storie più deboli del concorso di quest’anno».

Le cose cambiarono un po’ col film Le ali della libertà, tratto dal racconto di King che in originale s’intitolava Rita Hayworth and Shawshank Redemption e che si distaccava dal genere horror: racconta la storia di un uomo incarcerato ingiustamente e della sua vita insieme agli altri detenuti del carcere di Shawshank. Uscì nel 1994 e ricevette sette candidature agli Oscar: ancora oggi è considerato uno dei più belli mai girati nella storia del cinema.

Dopo essere diventato famoso, oltre a scrivere libri, King fece molte altre cose: per esempio collaborare con Michael Jackson nella sceneggiatura del video musicale horror di 40 minuti Ghosts, scrivere un romanzo a quattro mani, Sleeping Beauties, con suo figlio Owen, e farsi bloccare su Twitter da Donald Trump quando era ancora presidente degli Stati Uniti.

Fin dagli anni Ottanta King si espresse in molte occasioni sulla politica statunitense, sostenendo di volta in volta candidati Democratici alla presidenza, da Gary Hart a Joe Biden, e i politici del Maine che gli piacevano. Nel 2014 Barack Obama premiò King con la National Medal of Arts, la più alta onorificenza per gli artisti degli Stati Uniti.

(Alex Wong/Getty Images)

L’account Twitter di Stephen King, che usa spesso per esprimere punti di vista generalmente progressisti su questioni di attualità (ma anche per opinioni meno impegnate e aneddoti sulla cagnolina Molly anche detta “Thing of Evil”, “Cosa del Male”), è seguito da 5,8 milioni di persone. Nel 2019 diventò virale un suo tweet sul Portland Press Herald, un giornale locale che aveva detto che per ragioni di budget avrebbe cancellato la rubrica dedicata alle recensioni di libri sul Maine nell’edizione domenicale. Grazie a King, decine di persone si abbonarono al giornale, permettendo così di evitare la chiusura della rubrica.

Più di recente, ad agosto, King si è espresso pubblicamente, e poi come testimone del dipartimento di Giustizia, durante il processo contro l’acquisizione del grande gruppo editoriale Simon & Schuster (che ha pubblicato molti dei suoi libri) da parte dell’ancora più grande Penguin Random House. King ha detto di ritenere che un maggiore consolidamento dei grandi gruppi editoriali danneggi gli altri editori più piccoli, e di essere contrario.

Stephen King si appassionò al genere horror anche e soprattutto grazie ai film, e forse per questo la sua scrittura si presta molto bene alla trasposizione cinematografica.

Il primo film di It, il lungo romanzo di Stephen King che racconta la storia di un gruppo di ragazzini (poi adulti) di una cittadina del Maine che si trovano a dover combattere contro un terribile mostro, è stato tra i film con i maggiori incassi del 2017. E il pagliaccio cattivo di It è diventato un simbolo di terrore anche per chi non conosce la storia. Oltre ai film, sono uscite diverse serie e miniserie tratte dai libri di Stephen King: tra le più recenti ci sono Doctor Sleep (il seguito di Shining), Castle Rock e The Stand (tratta da L’ombra dello scorpione).

Una scena di “It” (2017)

– Leggi anche: Cosa pensa Stephen King delle serie tratte dai suoi libri

Oltre ad aver ispirato moltissimi film e serie tv, i suoi romanzi hanno contribuito a costruire un immaginario unico e coerente che dagli anni Ottanta non ha mai smesso di essere ripreso, riadattato e citato in televisione e nel cinema.

Un esempio recente è Stranger Things, forse la serie che ha avuto più successo tra quelle di Netflix. Gli autori, i fratelli Duffer, hanno raccontato di essere stati molto influenzati dai libri di Stephen King nella scrittura della serie, e anche nel caratterizzarla da un punto di vista estetico, per cui si sono ispirati alle copertine molto riconoscibili dei suoi libri per i titoli di testa e le locandine.

Tra quelli che li hanno condizionati di più hanno citato It, e infatti i protagonisti della serie sono, come nel libro, un gruppo di ragazzini poco popolari che si trovano a dover salvare il mondo da una terribile minaccia. Prima di King, la figura del ragazzino nerd e lontano dai canoni classici della mascolinità era difficile da trovare nella letteratura di quel genere, e anche il fatto che il “cattivo” venisse sconfitto da un gruppo di amici (come succede sia in It che in Stranger Things) anziché da un eroe solitario fu un’innovazione che ebbe molto seguito.

Ma It non è l’unico libro di Stephen King citato in Stranger Things: in una delle scene iniziali dell’ultima stagione, per esempio, la protagonista Eleven ricorda molto Carrie, con cui per altro condivide il potere della telecinesi. Cosa che King ha subito notato.