Il nuovo record mondiale delle 24 ore di corsa
A Verona, sabato e domenica, il lituano Aleksandr Sorokin ha percorso correndo più di 319 chilometri
Alle 10 di mattina di sabato 17 settembre Aleksandr Sorokin, quarantenne ultramaratoneta lituano, ha iniziato a correre a Verona, vicino alla stazione Porta Nuova, su un circuito di circa un chilometro e mezzo, in parte su una pista di atletica e in parte su asfalto. Con lui hanno iniziato a farlo circa 250 atlete e atleti, iscritti in rappresentanza di quasi trenta paesi alla 23ª edizione dei Campionati europei delle 24 ore.
Alle 10 di mattina di domenica 18 settembre, dopo che nel frattempo erano arrivate e passate sia la notte che alcune ore di pioggia, Sorokin ha mosso gli ultimi passi della sua corsa e, al segnale dei giudici di gara che annunciava lo scoccare delle 24 ore, si è fermato e ha posizionato per terra il segnaposto con sopra il suo nome, necessario a indicare fino a dove era arrivato in quel suo ultimo giro.
Moltiplicando i giri fatti da Sorokin per la lunghezza del percorso, si è stabilito che, in 24 ore, aveva percorso 319 chilometri e 614 metri: il nuovo record del mondo sulle 24 ore, che sfiora il “muro” delle 200 miglia (319,614 chilometri sono pari a 198,599 miglia) e che migliora di oltre dieci chilometri il precedente record stabilito dallo stesso atleta.
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Sorokin – che tra le altre cose è anche detentore dei record mondiali sulle 12 ore, sui 100 chilometri e sulle 100 miglia – è uno dei più forti ultramaratoneti al mondo. E lo è diventato parecchio in fretta: fino a dieci anni fa, infatti, ancora non aveva mai preso parte a una gara di corsa, nemmeno a una semplice maratona. Lo è diventato, inoltre, in una sorta di nicchia-nella-nicchia delle ultramaratone: quella delle gare a circuito.
Una nicchia che comunque ha il suo seguito, anche in Italia. Agli Europei di Verona c’erano infatti dodici atleti italiani e due di loro – il 46enne friulano Marco Visintini e la trentenne romana Eleonora Rachele Corradini – hanno stabilito i nuovi record nazionali. In 24 ore, Visintini e Corradini hanno corso rispettivamente 288,438 e 235,667 chilometri.
L’idea di correre per più chilometri di quelli di una maratona, la cui distanza fu codificata solo nel 1921, è antica e in parte legata alla storia della camminata competitiva, che era in voga nell’Ottocento, quando ci si sfidava in gare podistiche che arrivavano a durare centinaia di miglia o anche sei giorni.
Le ultramaratone, lo dice il nome, sono le corse su distanze superiori ai 42 chilometri e 195 metri. In genere, tuttavia, si considera ultramaratona tutto ciò che sta sopra i 50 chilometri: dalle gare “ultra trail”, che vanno su e giù per i sentieri di montagna accumulando dislivello, alle gare su distanze tonde come i 100 chilometri, o a tempo.
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Negli ultimi anni tra gli appassionati della corsa (così come tra le aziende del settore) hanno avuto successo soprattutto le gare ultra trail, la più importante e nota delle quali è l’Ultra-Trail du Mont-Blanc, una corsa di 170 chilometri su tre versanti del Monte Bianco, che quest’anno ha avuto oltre 22mila richieste di partecipazione.
Rispetto alle gare ultra trail o alle ultramaratone da un punto A verso un punto B (come è per esempio la 100 chilometri del Passatore, da Firenze a Faenza), gare in pista o su circuiti come quella di Verona hanno sempre avuto un po’ meno successo. Per evidenti ragioni, restano tuttavia quelle su cui è più naturale confrontarsi quando si parla di record.
Tra i due tipi di gara esistono evidenti differenze. Nel primo caso ci sono difficoltà altimetriche e percorsi insidiosi incastonati in paesaggi da ammirare. Nelle gare a circuito ci sono più margini per fare sforzi costanti, visto che a ogni giro si possono avere riscontri immediati sul proprio ritmo.
In una gara come quella di Verona – che oltre a essere un campionato europeo è stata anche la 28ª edizione di una corsa nota come Lupatotissima, una gara aperta a partecipanti di ogni età e livello – gli ultramaratoneti non hanno salite, discese o ostacoli di altro genere da superare e possono così concentrarsi solo sulla corsa. Il che è un bene, ma anche un male: come può testimoniare chiunque abbia corso, anche meno di 24 ore, su pista o magari su un tapis-roulant, la ripetitività del contesto rende ancora più provante e alla lunga snervante lo sforzo mentale richiesto per correre.
A questo tipo di corse che qualche praticante paragona all’attività dei criceti nelle ruote, Sorokin arrivò solo nel 2012, a trent’anni, senza aver mai corso seriamente.
Figlio di Sergej, allenatore di atleti olimpici lituani, da ragazzo Sorokin era stato un promettente canoista la cui carriera si fermò però a 18 anni per problemi alla spalla. Dopodiché, per un decennio fu tutt’altro che un grande sportivo e arrivò a pesare oltre un quintale. Come fanno molti, si mise insomma a correre per rimettersi in forma e dopo averci preso gusto corse una mezza maratona e si iscrisse a una maratona.
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Sorokin ha raccontato che mentre si allenava per le strade e i parchi di Vilnius, la capitale della Lituania, trovò il volantino di una gara di 100 chilometri. Si iscrisse e la terminò al nono posto impiegandoci 8 ore, 37 minuti e qualche secondo. Decise di continuare, sperimentando altre distanze e altri tempi, ma sempre restando nel contesto delle ultramaratone, e quasi sempre in quello delle ultramaratone su circuito.
Intervistato da iRunFar Sorokin ha detto che nella sua vita la corsa arrivò dopo «alcol, sigarette e tanto cibo» e che in poco tempo «finirono alcol e sigarette e iniziò la corsa». Della sua predilezione per le corse piatte e a circuito, ha detto: «Mi piacciono i numeri, e ho necessità di sapere velocità, giri e distanze». Mentre alcuni ultramaratoneti raccontano di raggiungere, dopo svariate ore di sforzo, stati psico-fisici quasi mistici, Sorokin dice che per lui non è così, e a proposito di quel che succede mentre corre cita la necessità di mettere in atto una «accettazione radicale» dello sforzo. Delle ultime ore di una corsa di 24 ore ha detto: «C’è una sola parola per descriverle, ed è tortura».
Nel 2019 Sorokin vinse per la prima volta i Mondiali di corsa sulle 24 ore e nel 2021 migliorò di alcuni chilometri il record mondiale che era stato fatto segnare dal greco Yiannis Kouros, che nel 1997 aveva percorso in un giorno 303 chilometri e 506 metri. A Verona Sorokin ha superato, migliorandosi di dieci chilometri, il suo record del 2021.
Nel migliorare il suo precedente record Sorokin ha percorso in 24 ore una media di oltre 13 chilometri all’ora, impiegando in media 4 minuti e 30 secondi per ognuno di quei 319 chilometri percorsi. Molti discreti corridori avrebbero faticato a stargli dietro per più di paio d’ore; molte persone nemmeno riuscirebbero a correre un chilometro al passo che lui ha tenuto per un giorno.
A chi gli chiede come abbia fatto a migliorare un record per anni considerato insuperabile, e come abbia poi fatto a migliorarsi così tanto in così poco tempo, Sorokin risponde citando l’arrivo, da qualche mese, di un allenatore polacco che lo segue. Ma aggiunge che i suoi tanti record degli ultimi mesi, compreso quello di Verona, sono una conseguenza indiretta del coronavirus. Nel 2021, infatti, Sorokin ha perso il suo lavoro da croupier in un casinò e ha quindi potuto allenarsi a tempo pieno: «Mangio, dormo e corro», ha detto, aggiungendo però di avere anche un altro paio di hobby, per esempio i viaggi e i videogiochi, soprattutto Dark Souls e Bloodborne.
Non c’è invece nulla di strano nel fatto che Sorokin stia facendo tutto ciò a 40 anni. Nelle ultramaratone è frequente che i migliori atleti abbiano la sua età o anche più.
Dei suoi allenamenti, Sorokin ha detto che, nei mesi che precedono una grande gara, sono in genere due al giorno: uno è quello principale, l’altro serve invece a recuperare. Quando deve prepararsi per qualche gara arriva a correre anche più di 250 chilometri a settimana, con singoli allenamenti che possono superare i 50 chilometri.
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È stato un po’ diverso l’allenamento di Corradini, che tra le 10 di sabato e quelle di domenica ha corso, a Verona, 235 chilometri e 677 metri. Corradini, che nel luglio 2021 ha avuto un figlio, ha ripreso ad allenarsi a gennaio. Ha fatto una mezza maratona, poi una maratona, poi una gara di 12 ore e poi, a maggio, la 100 chilometri del Passatore: con un tempo di 8 ore e 29 minuti è stata prima tra le donne e dodicesima assoluta. In mezzo, a un certo punto, Corradini ha pure avuto il Covid.
La preparazione — ha raccontato — si è fatta più impegnativa ad agosto, quando insieme con il suo allenatore e visto il poco tempo a disposizione ha scelto di fare «tanti allenamenti ravvicinati» con l’obiettivo di simulare il ritmo gara.
La gara sulle 24 ore, dice, «è la più dura in assoluto», perché in circuito e perché «spesso e volentieri stai a girare contro il tempo in posti non proprio bellissimi». Durante la gara di Verona dice di aver avuto «una crisi infinita, un tunnel nero incominciato alla settima ora che sembrava terminata alla nona e che invece è finita solo intorno alla dodicesima». Per fortuna, aggiunge, «è stata una crisi di testa, non fisica».
Corradini dice che «a parte un po’ di vesciche» il recupero post-gara «sta procedendo veramente bene». Già domenica, aggiunge, potrebbe uscire per una corsetta di qualche chilometro, giusto «per ricordare alle gambe come si corre».