Un ultimo ripasso sulla legge elettorale

Guida rapida per chi ancora non ha capito bene come funzionano i collegi, le soglie di sbarramento o l'assegnazione dei seggi

(ANSA/MASSIMO PERCOSSI)
(ANSA/MASSIMO PERCOSSI)
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Capire come funziona la legge elettorale per le prossime elezioni non è semplice. Il “Rosatellum” infatti prevede una serie di meccanismi complessi e non sempre intuitivi, la ripartizione in collegi del territorio nazionale potrebbe facilmente confondere qualcuno, i funzionamenti delle soglie di sbarramento meritano probabilmente una rinfrescata e può darsi che non tutti abbiano chiara la differenza tra la parte della legge che assegna i seggi su base proporzionale e quella che li assegna su base maggioritaria.

Quella che segue è una serie di spiegazioni essenziali, a volte semplificate, ma utili per chi ha bisogno di chiarirsi le idee a pochi giorni dal momento in cui prenderà in mano la matita e la scheda elettorale. È organizzata per punti, in modo da poter essere consultata anche selettivamente per ripassare le cose meno chiare.

Proporzionale, maggioritario
Le leggi elettorali devono tradurre i voti presi dai vari partiti in un numero di seggi in parlamento. I due grandi metodi con cui possono farlo sono il sistema proporzionale e quello maggioritario: il primo rappresenta più fedelmente il risultato elettorale, assegnando seggi alle forze politiche proporzionalmente alla percentuale che hanno preso; il secondo, per così dire, distorce un po’ il risultato in modo da dare un maggiore vantaggio in termini di seggi a chi arriva primo, una sorta di premio che dovrebbe servire a garantire una maggioranza più ampia per governare.

– Leggi anche: Tutto su come si vota

Il Rosatellum è una legge proporzionale o maggioritaria?
Un po’ e un po’. Nel senso che assegna circa due terzi dei seggi del prossimo parlamento (tra Camera e Senato) con il sistema proporzionale (in realtà sono un po’ di meno), e un terzo con il sistema maggioritario (in realtà un po’ di più).

Collegi
Questa parte confonde un po’ di persone, e in effetti non è semplicissima. I collegi sono semplicemente ripartizioni del territorio italiano, che delimitano zone in cui, in sostanza, i candidati sono gli stessi. Ma ci sono ben quattro tipi di collegi: quelli plurinominali della Camera e quelli plurinominali del Senato, e quelli uninominali della Camera e quelli uninominali del Senato. Ogni comune – o quartiere, nelle grandi città – in Italia si trova contemporaneamente in quattro diversi collegi (uno per ciascun tipo appena elencato).

Cos’è un collegio plurinominale, cos’è un collegio uninominale
In pratica, tutti i collegi plurinominali contribuiscono a definire i due terzi dei deputati e senatori della prossima legislatura che saranno eletti con il sistema proporzionale. I collegi uninominali invece eleggono il rimanente terzo con il sistema maggioritario.

Nei collegi plurinominali, ciascun partito (anche quelli in coalizione) può presentare fino a quattro candidati (due maschi e due femmine). Sono listini “bloccati”, quindi gli elettori non possono esprimere una preferenza. Ciascun partito può eleggere un parlamentare, nessuno o più di uno in quel collegio: dipende da quanti voti prende e da quanti seggi sono in palio in quel collegio (ma è un calcolo molto difficile da fare preventivamente).

Nei collegi uninominali, ciascun partito che si presenta da solo o ciascuna coalizione propone un candidato o una candidata. Ciascuno di questi collegi mette in palio un solo seggio: lo ottiene il candidato o la candidata che prende almeno un voto più degli altri.

– Leggi anche: Come funzionano questi collegi elettorali

Come sono fatti i collegi
Sono definiti sulla base della popolazione, quindi le regioni più abitate ne hanno di più, ed eleggono di conseguenza più parlamentari. I singoli collegi – plurinominali e uninominali – sono poi sempre contenuti in una sola regione, e quando è possibile non spezzano i territori provinciali e comunali in collegi diversi.

I collegi uninominali sono 147 per la Camera e 74 per il Senato: eleggono quindi 147 deputati su 400 e 74 senatori su 200. I seggi assegnati nei collegi plurinominali invece sono di più: 245 alla Camera e 122 al Senato, ma non corrispondono al numero di collegi (altrimenti non sarebbero plurinominali). Ognuno infatti assegna almeno due seggi (salvo qualche piccola eccezione): per questo i collegi plurinominali sono meno rispetto a quelli uninominali, e spesso si estendono su un’area più grande.

Per capirsi, i collegi uninominali della Camera sono i più piccoli, poi ci sono gli uninominali del Senato, poi vengono i plurinominali della Camera e infine ci sono i plurinominali del Senato che sono i più grandi (nelle regioni meno abitate, i collegi plurinominali corrispondono ai confini regionali).

Come funziona concretamente sulla scheda
Ogni elettore riceverà al seggio due schede: una rosa per la Camera e una gialla per il Senato. Se vuole votare, dovrà fare una X su ciascuna: con ognuna delle due X, esprimerà il suo voto unitamente sia per il collegio plurinominale sia per il collegio uninominale. Una X per la Camera, una X per il Senato.

L’elettore o elettrice può ovviamente votare due partiti diversi tra Camera e Senato, ma non può invece disgiungere il voto sulla stessa scheda: non si può cioè votare un partito per la parte proporzionale e un altro per la parte maggioritaria.

Cosa succede alla propria X
Mettendo una X sul partito che si vuole votare, si dà il proprio voto a quel partito nella parte proporzionale, e quindi si contribuisce a eleggere i suoi candidati nel collegio plurinominale: più voti prende, più candidati riuscirà a eleggere dalla sua lista di quattro nomi.

Una scheda fac-simile con i candidati e le candidate nel collegio uninominale U01 della Camera in Piemonte.

Quella stessa X, mettiamo come esempio sulla scheda della Camera, vale anche per la parte maggioritaria: il voto va al candidato o alla candidata di quel partito o della coalizione di cui fa parte in quel determinato collegio uninominale alla Camera. È indicato più in grande nel riquadro che racchiude il partito in questione. Se quel candidato prende più voti dei candidati di tutti gli altri partiti e coalizioni, il seggio in palio in quel collegio va a lui o lei.

Una guida più completa su come funziona la scheda e come votare esattamente il partito che si vuole è qui.

Altri modi di fare la X
La scheda è nulla se si fa per esempio una X su un partito, e un’altra sul candidato all’uninominale sostenuto da un’altra coalizione o un altro partito. Ma ci sono altri due modi per compilare la scheda che invece sono validi: li citiamo per completezza.

Uno è mettere una X solo sul nome del candidato nel collegio uninominale che preferiamo: il voto va a lui nella parte maggioritaria, e viene poi distribuito per la parte proporzionale assieme a tutti gli altri espressi nello stesso modo, tra i partiti della coalizione che lo sostiene.

Volendo, si può mettere una X sia sul simbolo del partito, sia sul candidato all’uninominale che quel partito sostiene: è una ridondanza inutile, perché la seconda X non è necessaria, ma la scheda è valida.

Soglie di sbarramento e voti “persi”
Questa è un’altra parte che non è chiara a tutti. Se un partito è candidato da solo a queste elezioni – come Azione-Italia Viva (che per le elezioni si sono uniti in una lista sola), Unione Popolare o il Movimento 5 Stelle – deve superare il 3% dei voti a livello nazionale per eleggere dei parlamentari in una delle due camere, per quanto riguarda i candidati eletti nei collegi plurinominali.

In linea teorica, un partito candidato da solo potrebbe anche prendere l’1% a livello nazionale, ma un suo candidato (o più di uno) potrebbe vincere in un collegio uninominale: sarebbe quindi eletto con la parte maggioritaria della legge. È però uno scenario poco plausibile.

Se un partito è in una coalizione – come Sinistra Italiana-Verdi, Impegno Civico o Forza Italia – deve superare comunque il 3% per eleggere i propri candidati nella parte proporzionale. Se prende meno del 3% ma più dell’1%, però, i suoi voti non vanno persi: vengono distribuiti tra gli altri partiti della coalizione che invece hanno superato il 3%. Quello stesso partito, comunque, eleggerà probabilmente dei parlamentari che erano stati candidati nei collegi uninominali con gli accordi di coalizione (che servono proprio a garantire questo).

Se un partito in coalizione prende meno dell’1%, i suoi voti vanno invece persi.

Cos’è lo sbarramento “implicito”
C’è poi un’altra questione, quella dello sbarramento “implicito”: è complicata, e vale la pena riassumerla molto. In pratica per come sono strutturati la legge e i collegi, è quasi certo che al Senato, e soprattutto in certe regioni, per le coalizioni o per i partiti che si presentano da soli ci sarà di fatto una soglia di sbarramento “implicita” ben più alta del 3 per cento.

Dipende dal modello matematico usato per tradurre in seggi le percentuali ottenute dai partiti, che richiede per forza di cose delle approssimazioni e distorsioni. Qua c’è la spiegazione lunga, quella breve è che per eleggere senatori nei collegi plurinominali le coalizioni e i partiti dovranno superare in certe regioni – quelle meno popolate – anche il 10, 15 o addirittura il 20%.

– Leggi anche: Per entrare al Senato i partiti dovranno prendere ben più del 3%

Come si trova il proprio collegio e i propri candidati
L’elenco dei collegi e dei candidati si trova sui siti e sui database del ministero dell’Interno, ma è difficilmente consultabile. Il Post ha pubblicato due strumenti che consentono facilmente di trovare sia il proprio collegio – inserendo il proprio comune di residenza – sia i candidati corrispondenti. Si trovano qui e qui.

Come vengono individuati i candidati eletti col sistema proporzionale
È molto complicato. Qui c’è una spiegazione per chi proprio vuole approfondire, agli altri basta probabilmente sapere che alla Camera dopo aver determinato il numero di seggi ottenuto da ciascuna forza sulla base del risultato nazionale avviene una ripartizione di seggi prima per circoscrizioni e poi per collegi. Al Senato invece questo tipo di ripartizione avviene su base regionale.