In Iran si continua a protestare per la morte di Mahsa Amini e contro la polizia religiosa
La donna era morta dopo essere stata arrestata per non aver indossato correttamente il velo: lunedì sono state uccise 5 persone
In Iran le proteste per la morte di Mahsa Amini, una donna di 22 anni morta il 16 settembre nella capitale Teheran dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa, si sono estese a numerose città del paese e stanno diventando un problema per il regime teocratico iraniano. Lunedì ci sono stati grossi scontri con la polizia, che ha risposto alle manifestazioni sparando sui manifestanti: cinque persone sono state uccise.
Secondo vari giornali iraniani il capo della polizia religiosa, il colonnello Ahmed Mirzaei, sarebbe stato sospeso dal suo incarico. Non è detto comunque che questo sarà sufficiente per placare le proteste, che si inseriscono in un contesto di sempre maggior insofferenza da parte della popolazione nei confronti delle severe leggi che limitano la vita pubblica degli iraniani, e nei confronti dei frequenti abusi della polizia religiosa, che ha il compito di farle rispettare.
Mahsa Amini, originaria del Kurdistan iraniano, era stata arrestata il 16 settembre scorso mentre passeggiava con la sua famiglia in un parco di Teheran. Secondo la polizia religiosa che l’aveva arrestata, non stava indossando correttamente il velo islamico, o hijab, come prescritto dalle leggi iraniane per tutte le donne.
Secondo la famiglia di Amini, e secondo varie testimonianze ormai convincenti, la donna sarebbe stata picchiata a morte in carcere.
Lunedì tra le altre cose sono circolate le immagini della TAC a cui il cadavere di Amini sarebbe stato sottoposto: non sono state confermate ufficialmente, ma sono ritenute abbastanza credibili e mostrano un grosso trauma alla testa e su altre parti del corpo. La polizia religiosa, invece, sostiene che Amini sarebbe morta in carcere a causa di un infarto o di un attacco epilettico.
Le proteste sono iniziate subito dopo la diffusione della notizia della morte e sono diventate via via più estese e partecipate. Hanno coinvolto numerose città nelle regioni occidentali del paese, da cui Amini proveniva. È lì che la polizia ha sparato contro i manifestanti e ucciso cinque persone, secondo i resoconti di Hengaw, un’organizzazione per i diritti umani. Due persone sono state uccise nella città di Saqez, la città d’origine di Amini, due a Divandarreh e una quinta a Dehgolan: sono tutte città del Kurdistan iraniano.
Le manifestazioni più grosse sono avvenute però a Teheran, la capitale, dove moltissime persone hanno protestato non solo per la morte di Amini, ma anche contro gli abusi della polizia religiosa, di cui hanno chiesto lo scioglimento. Ci sono stati scontri con la polizia, che ha usato cannoni ad acqua, bastoni, lacrimogeni e proiettili di gomma per disperdere i manifestanti: i feriti sono stati decine, anche se non è possibile confermare un numero preciso. Le autorità, inoltre, hanno reso inaccessibile internet in varie parti del paese.
Lunedì tra i manifestanti molte donne non hanno portato il velo in testa, e uno degli slogan era: «Donna, vita, libertà».
Da tempo, soprattutto a Teheran, c’è sempre maggiore insofferenza contro le stringenti leggi morali imposte dal regime teocratico guidato dall’ultraconservatore Ebrahim Raisi e contro la polizia religiosa. Come ha spiegato il Wall Street Journal, nella capitale è ormai relativamente frequente vedere donne che camminano in strada senza velo, in segno di protesta.
Per questo le manifestazioni hanno dato forza all’opposizione laica iraniana: molti personaggi famosi, cantanti e atleti hanno chiesto pubblicamente lo scioglimento della polizia religiosa, mentre altri hanno chiesto l’allentamento delle leggi morali, che dopo l’elezione di Raisi sono state rese ancora più dure.
Anche le parti del regime più moderate rispetto a Raisi hanno approfittato del malcontento per attaccare il presidente ultraconservatore: Javad Zarif, storico ex ministro degli Esteri, ha detto di vergognarsi per quello che è successo ad Amini.