L’inflazione sta mettendo in difficoltà la carne vegetale
I consumi e le vendite stanno calando a causa dei prezzi molto alti, e le aziende che la producono hanno commesso anche errori strategici
L’aumento generalizzato dei prezzi sta modificando le abitudini di consumo, perché bisogna fare i conti con il potere di acquisto che si riduce. Questo sta influenzando anche tendenze recenti ma che sembravano avviate, come i crescenti acquisti di alternative vegetali alla carne in ottica di consumi più consapevoli e con un minor impatto ambientale. I rincari hanno colpito questo settore, che vendeva già prodotti più cari della media e che ora, con un aumento dei prezzi generalizzato, sta rischiando di andare fuori mercato. Dietro il calo delle vendite, tuttavia, ci sono anche strategie sbagliate.
I prodotti vegetali negli ultimi anni hanno conosciuto un enorme successo. Non sono acquistati solo da chi conduce una dieta vegetariana o vegana, ma anche da chi cerca semplicemente di mangiare meno carne e prodotti di origine animale nel quotidiano, soprattutto per questioni etiche e ambientali. Sono un buon incentivo per favorire un cambio delle abitudini alimentari anche per chi mantiene un’alimentazione carnivora, perché nelle versioni più sofisticate ricordano davvero il sapore classico della carne, come nel caso dei prodotti delle aziende Beyond Burger e Impossible Foods.
Secondo gli analisti del settore, le carni vegetali sono però particolarmente vulnerabili al cambiamento delle abitudini dei consumatori, perché in genere vendono al dettaglio a un prezzo molto superiore rispetto alla carne vera, sia al supermercato che al ristorante o nei fast food. Inoltre le analisi mostrano come non siano percepite ancora come una vera alternativa alla carne, ma come prodotto complementare. Uno studio sui dati di vendita al dettaglio, citato anche da un’analisi di Wired, ha dimostrato che la domanda di carni vegetali aumenta al calare del prezzo, e quindi vale il viceversa, dovrebbe diminuire quando questo aumenta.
Le carni animali, invece, sembrano avere una domanda che non cambia di molto al variare del prezzo, come nel caso dell’alternativa vegetale. Lo studio ha anche mostrato che le carni vegetali vengono di solito acquistate insieme alla carne di manzo e di maiale, mentre sembrano sostituire pollo, tacchino e pesce. Questo sembra suggerire che la carne di manzo sia considerata ancora un elemento essenziale dell’alimentazione, a differenza di altre forme di proteine che invece sono considerate più sostituibili.
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Ma anche prima dell’arrivo dell’inflazione e dei timori di una possibile recessione, il mercato delle carni a base vegetale aveva perso parte del suo slancio.
Nel Regno Unito la crescita delle vendite di carni a base vegetale è stata solo del 2,5 per cento nei primi otto mesi del 2022, secondo la società di ricerche di mercato Kantar citata dal Financial Times. Invece, nel 2020 le vendite erano aumentate del 40 per cento e del 14 per cento l’anno scorso.
Gli Stati Uniti sembrano il contesto in cui l’alternativa vegetale fa più fatica a inserirsi. Le vendite sono diminuite dello 0,4 per cento nei primi sette mesi dell’anno, secondo il fornitore di dati Spins, sempre citato dal Financial Times, dopo essere diminuite dello 0,5 per cento lo scorso anno. Ma nel 2020 le vendite erano aumentate del 46 per cento.
In Italia, invece, il mercato dei prodotti alternativi alla carne sembra ancora tenere. Secondo i dati Ismea, le vendite di questi prodotti sono cresciute del 21,6 per cento nel 2021 e nei primi cinque mesi del 2022 sono aumentate del 14,8 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Si tratta di incrementi resi facili anche dalle piccole dimensioni del settore, che però è arrivato a rappresentare il 4 per cento del mercato totale delle carni.
Sempre più ristoranti e catene hanno aumentato negli anni la varietà di piatti nei menù dei ristoranti, oppure offrono una variante senza proteine di origine animale. Anche alcuni fast food hanno cominciato a farlo. In Italia, per esempio, la catena Bun Burger, che è presente a Torino e a Milano, offre tutti i suoi panini sia nella versione classica con carne bovina o pollo che nella versione con i burger vegetali di Beyond Meat.
Proprio l’azienda Beyond Meat può essere rappresentativa di un settore che si trova in un momento di difficoltà. Esiste dal 2009 ed è finanziata, tra gli altri, da Bill Gates; non rifornisce solo i ristoranti, ma vende i suoi prodotti in moltissimi supermercati in tutto il mondo.
Beyond Meat si quotò a Wall Street nel 2019, con la quotazione di maggior successo dell’anno. Le sue azioni raggiunsero il prezzo massimo di 234,90 dollari nel luglio 2019, quando gli investitori erano entusiasti del suo potenziale di crescita per i suoi prodotti a base di carne vegetale. Oggi, però, il titolo è scambiato a meno di un decimo di quella cifra, perché le cose non si stanno mettendo bene, né per l’azienda né per il settore in generale.
Ad agosto Beyond Meat, dopo avere chiuso il secondo trimestre 2022 con un debito residuo di 1,1 miliardi di dollari, ha tagliato le sue previsioni di fatturato per l’intero anno, sostenendo che i consumatori, con l’inflazione che incalza, preferiscano proteine animali più economiche. L’azienda prevede che i suoi ricavi cresceranno solo dell’1-1,2 per cento quest’anno, rispetto alla crescita del 14 per cento nel 2021, del 37 nel 2020 e del 239 nel 2019. Ha anche annunciato un taglio del 4 per cento dei suoi 1.400 dipendenti.
Inoltre, oltre al fatto che i consumatori rinunciano alla carne di origine vegetale, sempre più concorrenti si dividono il mercato in contrazione, come Impossible Foods e Tyson Foods, un grosso produttore di carne negli Stati Uniti che ha lanciato i propri prodotti vegetali in Asia l’anno scorso. Poi c’è Kellogg, che ha in programma di scorporare la propria divisione di carne vegetale, Morningstar Farms.
Ma ci sono anche problemi di strategia e comunicazione. Beyond Meat ha annunciato nel 2019 una collaborazione con McDonald’s, che ha iniziato a proporre in via sperimentale un’alternativa vegetale ai classici hamburger, i McPlant. Negli Stati Uniti però il test si è interrotto ad agosto a causa dei risultati deludenti.
Probabilmente parte della responsabilità va attribuita a una strategia non chiara da parte di McDonald’s nel lancio di questa proposta, che non contiene carne ma che ha formaggio e maionese, rendendola di fatto non adatta ai vegani. Inoltre, l’hamburger vegetale viene cotto sulla stessa griglia degli hamburger di manzo, cosa non gradita ai vegetariani più rigorosi. Nello stesso errore è caduto anche Burger King con il suo Plant Based Whopper: la catena ha dovuto specificare che il prodotto non è adatto a vegani e vegetariani.
Anche altre aziende che avevano iniziato a vendere i prodotti di Beyond Meat, tra cui Del Taco, TGI Fridays e Dunkin’, hanno gradualmente smesso di farlo.
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