Per gli studenti trovare casa a Bologna è diventata un’impresa
Dopo la pandemia i prezzi sono aumentati e le case disponibili sono sempre di meno, per via della concorrenza di Airbnb
di Isaia Invernizzi
Negli ultimi sette giorni oltre 600 persone si sono iscritte al gruppo Facebook chiamato “Offro/cerco casa a Bologna”, il punto di riferimento per chi cerca o offre un appartamento o una stanza in città. Sono quasi tutti studenti e studentesse in cerca di una sistemazione in vista dell’inizio delle lezioni universitarie. Sotto ogni annuncio, che sia di una stanza di pochi metri quadrati o di un appartamento fuori città, si legge lo stesso commento ripetuto molte volte: «Ti ho scritto». Funziona come una sorta di prenotazione, una coda virtuale la cui lunghezza varia a seconda dell’attrattiva e della convenienza della casa.
Negli ultimi giorni, con l’inizio dell’anno accademico, bastano pochi minuti perché gli annunci si riempiano di commenti. Per chi li vede in ritardo, le speranze di fissare un appuntamento per vedere le case sono poche. Trovare casa a Bologna è diventata un’impresa che molti definiscono disperata.
Il problema non è nuovo e riguarda molte altre città universitarie, ma quest’anno a Bologna sembra essere particolarmente grave per via delle caratteristiche della città e di molti cambiamenti avvenuti negli ultimi anni: gli studenti universitari sono sempre in aumento, oggi sono 90mila (compresi circa 20mila nelle sedi di Forlì, Cesena, Ravenna e Rimini), e le case sono sempre di meno perché molte sono sfruttate per gli affitti brevi su Airbnb, la piattaforma usata soprattutto dai turisti.
Da quando è nata, nel 2008, Airbnb ha contribuito a trasformare il mercato immobiliare di molte città italiane e di tutto il mondo. La maggior parte delle case nei centri storici di Venezia, Firenze, Roma, ma anche di città come Milano, Napoli e altre più piccole è stata convertita in alloggi per gli affitti brevi e quindi tolta dal mercato degli affitti per le persone residenti. Con pochissime regole e scarsi controlli, il fenomeno ha raggiunto dimensioni enormi contribuendo al cosiddetto overtourism, cioè il sovraccarico di turisti in alcuni periodi dell’anno, e all’aumento dei prezzi per affittare una casa o una stanza.
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Bologna soffre in modo particolare le conseguenze di questo sviluppo incontrollato. La notevole crescita del turismo ha modificato gli equilibri immobiliari e per certi versi sociali di una città storicamente molto attrattiva per la sua università, abituata ad accogliere ogni anno migliaia di nuovi iscritti da ogni parte d’Italia e anche dall’estero. Le conseguenze sono evidenti non soltanto sui prezzi degli affitti, ma anche sulla disponibilità di stanze e appartamenti: la domanda di case è molto più alta dell’offerta.
Gaia Sallemi, 28 anni, laureata in Giurisprudenza nel 2018 e ora lavoratrice, nei giorni scorsi ha scritto una lettera al sindaco Matteo Lepore, un appello per chiedere un intervento diretto del comune. «In questi giorni sono impegnata in prima persona nella ricerca di una sistemazione temporanea, e quello che ho osservato è uno scempio dal punto di vista umano, prima che legale», ha scritto Sallemi. «Prima tra tutti, colpisce la scarsissima disponibilità di immobili, che i proprietari preferiscono gestire tramite Airbnb. Le poche alternative disponibili hanno prezzi inaccettabili in proporzione alla qualità di quanto offerto».
Sallemi ha segnalato alcune delle condizioni estreme che gli studenti sono costretti ad accettare per trovare una sistemazione nel giro di pochi giorni: per esempio c’è chi propone in affitto il soggiorno di casa a 500 euro al mese, spese escluse. È circolata molto anche la richiesta di aiuto diffusa da uno studente, disposto a offrire 100 euro in cambio della segnalazione di buoni annunci. «A prescindere che l’aspirante locatario sia uno studente o un lavoratore con contratto a tempo indeterminato e posizione stabile, in assenza di “garanzie” dei genitori o fideiussioni bancarie è impossibile superare le “selezioni” a cui si è sottoposti», ha scritto Sallemi.
Un mercato così anomalo ha favorito tra le altre cose la diffusione di agenzie di intermediazione, non sempre legali, che promettono ricerche accurate di annunci con costi fissi non trascurabili, ma senza certezze sui risultati. «Gli studenti, di fatto, in questo momento sono quasi espulsi dal mercato immobiliare», ha detto Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma, nota società di consulenza di Bologna, in un’intervista a Repubblica. «Serve un patto con i proprietari, altrimenti i giovani sceglieranno altre università il prossimo settembre».
Secondo diversi report, realizzati da Nomisma e da Immobiliare.it, dal 2020 il prezzo degli affitti a Bologna è cresciuto in media del 5 per cento ogni anno. Tuttavia l’andamento dei prezzi negli ultimi due anni è poco indicativo per via delle condizioni eccezionali dovute alla pandemia: gli effetti delle restrizioni, soprattutto le lezioni da remoto e l’impossibilità di viaggiare per turismo, hanno parzialmente nascosto i problemi tornati evidenti nelle ultime settimane con l’inizio del nuovo anno accademico.
In generale, un posto letto in una stanza doppia in zona universitaria ha raggiunto i 450 euro al mese, anche in questo caso al netto delle spese. È un prezzo più basso rispetto ad altre città, come Milano, ma molto più alto rispetto al passato. «La sensazione è che la situazione sia nettamente peggiorata», ha detto Federico Condello, professore dell’università di Bologna delegato dall’ateneo ai rapporti con gli studenti. «Ora i problemi sono due: i prezzi e la casa che non trovano nemmeno gli studenti che hanno piena disponibilità finanziaria. L’urgenza è monitorare il fenomeno dei B&B. Il fenomeno va quantomeno mappato e normato».
Dati interessanti sugli affitti brevi a Bologna ci sono già, come quelli pubblicati da Inside Airbnb, un progetto indipendente che misura l’impatto degli affitti brevi in molte città. Secondo l’ultimo aggiornamento, risalente all’11 giugno, a Bologna sono disponibili 3.685 alloggi sulla piattaforma, a un prezzo medio di 135 euro a notte.
Negli ultimi anni la richiesta di controllare lo sviluppo del mercato degli affitti brevi è arrivata da molte associazioni. Pensare Urbano, un gruppo informale di persone che ha organizzato diversi incontri sul tema dell’abitare, ha promosso una raccolta firme per chiedere al comune di introdurre nuove regole per limitare l’influenza delle piattaforme sul mercato. In Consiglio comunale è stato presentato un ordine del giorno, approvato, ma finora gli interventi sono stati limitati perché gli enti locali hanno poco potere. «I comuni devono immaginarsi in fretta strumenti nuovi, altrimenti il territorio sarà sempre più ingovernabile», dice Fabio D’Alfonso, portavoce di Pensare Urbano. «Purtroppo i problemi sono peggiorati per gli studenti e ora coinvolgono anche molte famiglie che a causa degli effetti della pandemia hanno redditi più bassi. Le città devono decidere dove investire, se mettere i soldi a disposizione del turismo di massa o a favore dei loro abitanti».
Finora il comune ha cercato di intervenire soprattutto per aumentare l’offerta abitativa con l’obiettivo di calmierare i prezzi. È stata fermata la vendita del patrimonio pubblico, cioè delle case popolari, che il comune vuole ristrutturare e aumentare. Recentemente è stato rinnovato l’accordo per incentivare il canone concordato, un contratto di affitto regolato a prezzi generalmente più bassi rispetto al mercato: il comune ha stanziato 1,3 milioni di euro come compensazione per i proprietari che vi aderiscono.
Per limitare lo sviluppo delle piattaforme servirebbe un intervento del governo a livello nazionale, come chiesto da molte città italiane negli ultimi anni. «Stiamo facendo pressione a livello nazionale affinché si legiferi sugli affitti turistici e stiamo creando un osservatorio metropolitano per studiare la condizione abitativa in città e analizzare questo fenomeno», ha detto Emily Clancy, vicesindaca di Bologna e assessora alla Casa e all’emergenza abitativa. «Con altre 15 città europee, inoltre, abbiamo scritto alla Commissione europea per chiedere anche una legge europea che vada a regolamentare questo mercato perché, come Bologna, tante città si trovano ad affrontare un effetto distorsivo di una piattaforma che era nata con un altro scopo e ora viene usata anche dalla grande speculazione: questa va colpita».
Anche l’università di Bologna ha introdotto nuovi aiuti per gli studenti in difficoltà economiche, come un contributo per l’affitto da mille euro per 600 studenti. Questo sostegno si aggiunge alle borse di studio regionali, chiamate Er.go, con contributi diversi a seconda del valore di ISEE. Ma tutte queste misure, comunque apprezzate dagli universitari, non servono a risolvere la mancanza di appartamenti. Le nuove residenze universitarie finanziate dall’università, per un totale di poco meno di 600 posti letto, saranno pronte nei prossimi anni. «Per incidere sul mercato degli affitti sono necessari anche altri interventi, soprattutto limitare l’espansione degli Airbnb», spiega Stefano Dilorenzo, segretario di Sinistra universitaria. «Una delle misure meno considerate è l’aumento del trasporto pubblico: rendere i collegamenti più veloci ed efficienti, anche nelle ore notturne come sta cercando di fare il comune, può contribuire ad allargare il raggio delle abitazioni accessibili».
Le soluzioni, anche ingegnose, non mancano: il vero problema è capire quale può essere il loro impatto su un mercato particolare come quello di città universitarie come Bologna. Il rischio, come già accaduto finora, è che il mercato trovi il modo per aggirare le poche regole e gli affitti brevi continuino a essere più redditizi per i proprietari, rendendo vani i tentativi pubblici di incidere sui prezzi.