Il PNRR si può cambiare?
Meloni lo chiede quasi ogni giorno, ma le sue proposte sono piuttosto in linea con quanto è già previsto dalla Commissione Europea
di Luca Misculin
Dall’inizio della campagna elettorale per le elezioni politiche del 25 settembre la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni promette che in caso di vittoria la coalizione di destra proporrà di modificare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), cioè il documento con cui il governo spiega come intende spendere i finanziamenti del Next Generation EU, chiamato anche Recovery Fund, approvato dall’Unione Europea.
Meloni lo ha definito in più occasioni «un tagliando», un «perfezionamento» del piano presentato dal governo uscente guidato da Mario Draghi, senza fornire molti altri dettagli. I margini per modificare il PNRR sono in realtà molto ristretti, e fare modifiche radicali è praticamente impossibile. Lo ha fatto capire anche Draghi venerdì durante una conferenza stampa.
È per questo, verosimilmente, che Meloni si sta mantenendo vaga: sia per non fare promesse che non potrà mantenere, sia per potere descrivere come una vittoria le piccole concessioni che l’Unione Europea sta già valutando di garantire a tutti gli stati.
Il PNRR dell’Italia prevede in tutto finanziamenti per 221,1 miliardi di euro, da spendere tassativamente entro il 2026: sono più del 12 per cento del PIL 2021. Comprende sei grandi ambiti chiamati “missioni”: Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; Rivoluzione verde e transizione ecologica; Infrastrutture per una mobilità sostenibile; Istruzione e Ricerca; Inclusione e Coesione; Salute. Ciascuna delle sei missioni comprende una serie di progetti. Il piano descrive nel dettaglio i tempi di realizzazione e la spesa prevista, da rispettare per continuare a ricevere i fondi, che arrivano in tranche da svariati miliardi di euro ogni sei mesi.
Il PNRR comprende moltissime riforme e investimenti, alcuni dei quali tutto sommato neutri dal punto di vista politico – come il rafforzamento dei Centri per l’impiego – altri più delicati. Per esempio prevede 23,8 miliardi da investire nelle energie rinnovabili, su cui la destra è tradizionalmente più scettica del centrosinistra. E chiede di attuare ogni anno una legge sulla concorrenza, un tema su cui Fratelli d’Italia e Lega prendono spesso posizione per difendere le associazioni di categoria, come i proprietari di stabilimenti balneari o i venditori ambulanti. Ma Meloni non è mai scesa nei dettagli di cosa esattamente vorrebbe cambiare del PNRR.
«Non abbiamo capito quale sia la rinegoziazione di cui si parla, e dal punto di vista delle policy non abbiamo letto alcuna richiesta», fa notare una fonte della Commissione Europea.
Il Regolamento europeo che definisce il Dispositivo per la ripresa e la resilienza, cioè il principale serbatoio finanziario del Next Generation EU, all’articolo 21 disciplina i casi in cui i governi nazionali possono chiedere di modificare il PNRR. In realtà è contemplato un solo caso: quello in cui il piano «non può più essere realizzato, in tutto o in parte, dallo Stato membro interessato a causa di circostanze oggettive».
Il cambio di governo non viene considerato una «circostanza oggettiva» dalla Commissione Europea, che ha il compito di supervisionare l’attuazione dei PNRR nazionali. Una fonte della Commissione Europea spiega che nell’ultimo anno vari paesi europei hanno cambiato il colore politico del proprio governo, senza per questo richiedere una modifica del PNRR: «prevediamo che i PNRR siano i piani di un paese, non di un governo», ha spiegato.
In realtà la Commissione ammette che i PNRR possano essere cambiati in altre due circostanze: nel caso un paese scelga di accedere alla quota di prestiti a tassi agevolati prevista dal Dispositivo per la ripresa e la resilienza – alcuni paesi, come la Francia, per ora hanno deciso di non farlo; l’Italia ha già chiesto l’accesso alla propria quota di prestiti – oppure se per una revisione dei calcoli a un certo paese spettino più o meno soldi di quelli concordati. In base a un recente ricalcolo di uno dei fattori che determinano i finanziamenti del Dispositivo per la ripresa e la resilienza, cioè la riduzione del PIL fra 2020 e 2021, all’Italia spettano 146 milioni di euro in più di quelli previsti in origine, che dovranno essere integrati in una versione aggiornata del PNRR.
Nessuna di queste due circostanze però permetterebbe al nuovo governo italiano di modificare radicalmente il PNRR. L’unica strada per fare cambiamenti di rilievo passa per le «circostanze oggettive» citate dall’articolo 21 del Regolamento europeo.
In una delle rare volte in cui ha parlato più approfonditamente dei suoi piani per il PNRR, Meloni ha citato proprio l’articolo 21 e spiegato al Corriere della Sera che per esempio servirebbe utilizzare «di più» i soldi in arrivo dall’Europa «per l’approvvigionamento energetico», cioè per contrastare l’aumento dei prezzi dell’energia innescato dall’invasione russa in Ucraina.
È esattamente la direzione nella quale la Commissione Europea sta andando da qualche mese. A maggio la Commissione Europea ha proposto un piano chiamato REPowerEU per eliminare gradualmente la dipendenza dai combustibili fossili importati dalla Russia. REPowerEU prevede la possibilità di spostare nei PNRR alcuni fondi strutturali per l’agricoltura e le politiche di coesione e i prestiti non utilizzati del Dispositivo per la ripresa e la resilienza, in modo da avere più soldi a disposizione per finanziare progetti il cui costo, nel frattempo, potrebbe essere aumentato.
Un’altra fonte della Commissione Europea ha spiegato che i funzionari della Commissione sono già in contatto con i governi degli stati membri per spiegare loro come integrare le misure previste da REPowerEU nei PNRR nazionali, nel caso venga approvato definitivamente (serve l’assenso del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea).
Sempre a maggio la Commissione ha pubblicato alcune linee guida che includono esplicitamente l’inflazione tra le «circostanze oggettive» che possono ostacolare il raggiungimento di traguardi e obiettivi intermedi. Insomma la Commissione ha già dimostrato di essere disponibile a una certa flessibilità per quanto riguarda l’aumento dell’inflazione, dovuto in larga parte ai costi dell’energia.
La flessibilità però riguarda soltanto i finanziamenti dei vari progetti, e non la loro natura. «Non vogliamo che la revisione porti a un abbassamento del livello di ambizione dei piani e torni indietro rispetto ai traguardi e agli obiettivi concordati», ha detto di recente il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis alla Stampa. In altre parole: la Commissione sta cercando di venire incontro ai paesi membri sul probabile aumento dei costi per realizzare i progetti dei PNRR, ma in cambio chiede che i progetti e le riforme promesse non vengano toccati.
Meloni sembra averlo capito, e per questo non cita mai modifiche strutturali al PNRR approvato dal governo Draghi. Se poi cambiasse idea, la strada sarebbe molto in salita. Prima dovrebbe convincere la Commissione della necessità di cambiare il piano e presentarne uno nuovo. La richiesta finirebbe davanti al Consiglio dell’Unione Europea, all’interno del quale ogni parola del piano verrebbe sezionata in un negoziato verosimilmente lunghissimo e che guasterebbe il clima fra le istituzioni europee e il nuovo governo di destra. È una eventualità che al momento Meloni non sembra considerare.