La pessima estate delle centrali idroelettriche
Il calo della produzione di energia dovuto alla siccità è stato significativo e ha avuto conseguenze notevoli sulle politiche energetiche
Nelle ultime settimane gli impianti della centrale idroelettrica di Isola Serafini, nel comune di Monticelli, tra le province di Piacenza e Cremona, sono stati accesi soltanto per brevi periodi perché la portata del fiume Po non è sufficiente a garantire la produzione di energia idroelettrica. Per la centrale di Isola Serafini, come per moltissime altre centrali idroelettriche in Italia, è stata un’estate pessima: la produzione è rimasta ferma o comunque molto limitata dall’inizio di luglio a causa della grave siccità che ha interessato soprattutto le regioni del nord.
La diminuzione della produzione è stata certificata da Terna, l’operatore che si occupa della gestione delle reti per la trasmissione dell’energia elettrica. Da gennaio ad agosto sono stati prodotti 20.981 gigawattora (GWh) di energia elettrica da impianti idroelettrici contro i 34.105 nello stesso periodo dello scorso anno: il calo è stato del 38,5 per cento.
Come si può osservare dal grafico qui sotto, da febbraio di quest’anno c’è stata una forte diminuzione della produzione, legata alla siccità dei mesi invernali e alla conseguente carenza di acqua accumulata nei laghi e nei bacini artificiali e dovuta allo scioglimento dei ghiacci.
Quest’anno, al di là di qualche pioggia avvenuta nelle ultime settimane, la situazione climatica è rimasta per lo più la stessa a partire da gennaio: i flussi atlantici che solitamente portano perturbazioni verso il mar Mediterraneo sono stati bloccati da insistenti e anomali anticicloni, aree di alta pressione, generalmente associata al bel tempo.
In queste condizioni così particolari le piogge sono state insufficienti a migliorare la situazione perché le alte temperature hanno fatto evaporare la poca acqua presente nel suolo. L’evaporazione è stata particolarmente precoce perché molto intensa fin dalla seconda settimana di maggio, quando sono state registrate temperature tipiche di fine luglio.
Secondo l’ultimo report dell’ANBI, l’Associazione nazionale dei consorzi di bonifica, di irrigazione e di miglioramento fondiario, la crisi idrica non è stata risolta dalle piogge cadute in maniera disomogenea e con diversa intensità sulle regioni italiane. Le portate dei fiumi, essenziali per la produzione di energia idroelettrica, sono ancora molto ridotte. «L’Italia è di fronte ad un drammatico dilemma meteorologico per le prossime settimane», ha detto Francesco Vincenzi, presidente dell’ANBI. «Auspicare copiose piogge, esponendo però il territorio ai gravi rischi, conseguenza di anni di mancati investimenti nella prevenzione idrogeologica oppure sperare in condizioni climatiche regolari, ben sapendo però di permanere in una condizione idrica di forte sofferenza».
La siccità e il conseguente calo dell’energia elettrica prodotta incidono in modo significativo sulle politiche energetiche italiane in un periodo di crisi dovuto alle conseguenze dell’invasione russa in Ucraina. Nel mese di agosto, infatti, l’energia prodotta da fonti rinnovabili ha coperto soltanto il 35 per cento del fabbisogno totale contro il 42 per cento dello scorso anno. A fronte di un calo della produzione delle centrali idroelettriche, non c’è stata una crescita significativa di eolico e fotovoltaico.
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Avere una buona quantità di energia prodotta da fonti rinnovabili avrebbe consentito al governo di limitare ulteriormente il consumo di gas per la produzione di energia elettrica in seguito alla riduzione delle forniture russe e al conseguente aumento dei prezzi. Molte centrali elettriche italiane, infatti, utilizzano il gas per la loro produzione.
Per bilanciare la mancata energia prodotta da fonti rinnovabili il governo ha fatto ricorso a fonti molto più inquinanti. Nei giorni scorsi il ministero della Transizione ecologica ha pubblicato un piano nazionale di contenimento dei consumi di gas che prevede la «massimizzazione della produzione di energia elettrica da impianti che usano combustibili diversi dal gas» cioè carbone, olio combustibile e bioliquidi fino al 31 marzo del 2023.
Le centrali a carbone in Italia sono sei e molte erano in via di dismissione perché il carbone è il più inquinante dei combustibili fossili e causa grandi emissioni di anidride carbonica (CO2) ma anche di sostanze nocive per la salute. Lo stato italiano aveva già deciso nel 2019 di smettere di usare centrali a carbone: il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC) parlava infatti del 2025 come limite entro cui dismettere tutte le centrali termoelettriche a carbone, o riconvertirle in centrali a gas naturale.
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