Il voto degli italiani all’estero ha vari problemi
Organizzativi, di sicurezza, e anche di principio, secondo molti: ma non sembra esserci la volontà di riformarlo
Da quando è stato introdotto il voto delle persone italiane all’estero, con le elezioni politiche del 2006, a ogni elezione sono stati segnalati molti problemi di sicurezza legati alle procedure di voto. Ci sono stati casi di più schede rubate e compilate da una sola persona, altre inviate a persone già defunte, oltre a tentativi di voto multiplo attraverso la richiesta di più schede elettorali. Nonostante i grossi limiti del voto per corrispondenza siano noti da tempo, negli ultimi anni le alternative proposte per modificare questo meccanismo sono state piuttosto trascurate, se non ignorate: il rischio di brogli è sempre significativo e i controlli continuano a essere limitati.
La legge elettorale italiana consente di votare a tutte le persone maggiorenni residenti all’estero iscritte all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, l’AIRE. Secondo gli ultimi dati aggiornati al 31 dicembre 2021, in tutti i paesi del mondo gli iscritti sono 5,8 milioni, da cui vanno esclusi i minorenni.
Il voto degli italiani all’estero venne introdotto con una legge nel 2001, sostenuta principalmente dall’allora ministro per gli Italiani all’estero, Mirko Tremaglia. Fino a quel momento le persone residenti all’estero dovevano tornare fisicamente in Italia perché risultavano iscritte nelle liste elettorali nell’ultimo comune italiano in cui avevano avuto la residenza. Nelle circoscrizioni chiamate “estero” vengono eletti 8 deputati e 4 senatori.
Già all’epoca della sua introduzione la legge venne criticata perché di fatto consente di votare a migliaia di persone che in Italia non sono mai state e che spesso non parlano nemmeno l’italiano. Per le persone che emigrano, infatti, è piuttosto semplice mantenere la cittadinanza italiana. Inoltre grazie allo ius sanguinis, che prevede che un bambino è italiano se lo è almeno uno dei genitori, la cittadinanza continua a venire trasmessa ai figli anche se nati all’estero, per generazioni.
In occasione del dibattito parlamentare che precedette l’introduzione della legge Tremaglia, l’allora capogruppo dei Socialisti democratici italiani (SDI) Ugo Intini fece un esempio piuttosto efficace. «Accadrà che un peruviano che abita in Italia da anni, che lavora in Italia, che parla italiano, che capisce la politica italiana, non potrà votare», disse Intini. «Mentre un peruviano che ha un nonno italiano su quattro, che ha chiesto il passaporto italiano – e lo ha ottenuto – non per venire in Italia, ma per andare a lavorare in Germania, che non parla italiano e che non è mai stato nel nostro paese, potrà invece votare per il parlamento italiano».
I problemi legati alla sicurezza, invece, riguardano soprattutto le procedure di voto, che avviene per corrispondenza. I consolati inviano una busta a tutti gli iscritti all’AIRE con dentro la scheda elettorale, una busta bianca piccola in cui inserire la scheda, un foglio di istruzioni, il certificato elettorale, una busta grande preaffrancata indirizzata al consolato e la lista dei candidati.
La scheda va compilata e poi chiusa nella busta piccola, a sua volta inserita nella busta grande all’interno della quale va inserito anche il tagliando elettorale ritagliato dal certificato. Questo sistema è stato pensato per garantire l’anonimato delle buste interne e quindi del voto. La busta grande a quel punto va spedita al consolato: è preaffrancata, quindi non c’è rischio di sbagliare indirizzo. Quest’anno le schede dovranno arrivare all’ufficio consolare entro le 16 di giovedì 22 settembre, altrimenti il voto non sarà valido.
Il meccanismo genera da sempre incertezze e sospetti sulla regolarità delle elezioni. Con il voto per corrispondenza, infatti, non è possibile verificare chi abbia compilato le schede: di fatto non è possibile garantire la segretezza che in Italia è assicurata nella cabina elettorale al momento della compilazione della scheda e di conseguenza il rischio di condizionamenti e coercizioni esiste. A differenza del voto nella cabina elettorale, inoltre, la scheda compilata rimane nella disponibilità dell’elettore fino alla spedizione al consolato: è molto semplice creare una prova della coalizione o del partito votato – con una foto – per un possibile voto di scambio, pratica illegale.
Un altro problema riguarda la spedizione delle schede: tracciare le buste e assicurarsi che non vengano manomesse nel tragitto dai consolati fino in Italia è complicato perché spesso vengono utilizzati sistemi di posta tradizionali, poco sicuri, che possono causare anche disservizi. Negli ultimi giorni, per esempio, ne sono stati segnalati diversi in Spagna, dove le persone italiane residenti all’estero hanno ricevuto il materiale elettorale con un’intestazione sbagliata, riferita all’ultimo referendum invece che alle elezioni del 25 settembre, oppure non l’hanno proprio ricevuto.
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Negli ultimi anni sono stati documentati diversi casi di brogli e inadeguatezze del voto degli italiani all’estero. Alle ultime elezioni, nel 2018, durante lo scrutinio delle schede avvenuto in un grande capannone della Protezione civile a Castelnuovo di Porto, vicino a Roma, i funzionari si accorsero che molte schede erano state compilate con la stessa grafia. L’analisi delle schede, anche attraverso perizie calligrafiche, durò anni.
Il caso si è concluso il 2 dicembre del 2021 quando il Senato ha votato un ordine del giorno presentato dal PD per chiedere la mancata convalida dell’elezione di Adriano Cario, eletto con l’Unione sudamericana emigrati Italiani (USEI) nella circoscrizione Senato Sudamerica. Le perizie calligrafiche avevano dimostrato che molte delle schede erano state compilate dalla stessa persona. A Cario è subentrato Fabio Porta, esponente del PD.
Nel 2021 era stato organizzato un primo tentativo di riformare il voto degli italiani all’estero attraverso il voto elettronico, una modalità completamente nuova che risolverebbe alcuni dei problemi del voto per corrispondenza e che però ne creerebbe molti altri. La sperimentazione è stata fatta con le elezioni dei Comites, organismi elettivi che hanno funzioni di rappresentanza nei rapporti tra le persone italiane residenti all’estero e gli uffici diplomatici. Le elezioni si sono tenute il 3 dicembre 2021. Il voto elettronico ha coinvolto 7.756 persone: di queste solo 1.236 avevano lo SPID di secondo livello indispensabile per votare, e alla fine gli elettori sono stati 672.
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Secondo Luigi Maria Vignali, direttore generale per gli italiani all’estero del ministero degli Esteri, il voto elettronico è particolarmente adatto per il voto degli italiani all’estero perché consente a tutte le persone di votare da casa ed evitare il voto per corrispondenza. Come ha spiegato durante un’audizione alla commissione Affari esteri della Camera, questa modalità comporta però nuovi problemi: per garantire la sicurezza e la privacy delle persone è necessario che tutti i dati siano ospitati su un cloud nazionale, che al momento non c’è. Inoltre un attacco informatico rischierebbe di annullare le elezioni.
«Le garanzie costituzionali richieste in Italia per il voto non sono compatibili con il voto elettronico», spiega Stefano Quintarelli, imprenditore, ideatore dello SPID e tra i massimi esperti italiani di innovazione digitale e pubblica amministrazione. «Servono segretezza, integrità del processo di voto e verificabilità del voto da parte dell’elettore. La procedura cartacea consente di vedere che il voto è trascritto sulla scheda, infilata in uno scatolone e infine conteggiata. È più complicato, invece, conteggiare e verificare un voto elettronico. Cosa sarebbe successo alle ultime elezioni negli Stati Uniti se non ci fossero stati i cartacei? Se ci sono stati dubbi con i cartacei, poi risolti, figuriamoci con il voto immateriale».
Nel 2021 Quintarelli aveva pubblicato uno studio realizzato in collaborazione con Maurizio Napolitano, ricercatore della Fondazione Bruno Kessler, e Fabio Pietrosanti, fondatore Centro Hermes per la trasparenza e i diritti umani digitali, per individuare una possibile alternativa al voto per corrispondenza escludendo i rischi del voto elettronico su larga scala. Secondo lo studio, sarebbe possibile raggiungere la maggior parte delle persone italiane residenti all’estero allestendo seggi elettorali in 43 grandi città.
La soluzione è stata ipotizzata grazie a un’analisi geospaziale realizzata partendo da dati molto dettagliati degli iscritti all’AIRE: è stata ricavata la percentuale di popolazione residente in un raggio di 20 chilometri dalle grandi città e in fasce di distanza successive fino alla percentuale di popolazione residente oltre 80 chilometri. I risultati dell’analisi dicono che allestendo i seggi in 43 grandi città sarebbe possibile coprire l’84,3 per cento della popolazione perché residente a meno di 20 chilometri dal possibile seggio.
Anche questa soluzione avrebbe qualche limite, soprattutto nelle grandi città dove abitano decine di migliaia di persone italiane residenti all’estero: si dovrebbero allestire molti seggi oppure prevedere più giorni per votare. «Far votare migliaia di persone in sedi all’estero, nelle ambasciate, nei consolati o negli istituti di cultura, sarebbe comunque uno sforzo organizzativo notevole», dice Quintarelli. «Però, come accade oggi per gli elettori all’estero, non è indispensabile votare in una sola giornata. L’allestimento dei seggi è una soluzione, senza i rischi del voto per corrispondenza e del voto elettronico online, che potrebbe essere comunque sperimentata per la quota residuale di iscritti all’AIRE residenti a oltre 20 chilometri dal seggio».