Una canzone dei Wolf Alice
Tranquilli, non parla di voi
Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Roger Waters suonerà a Milano a fine marzo e a Bologna a fine aprile nel suo “primo tour d’addio” (espressione meno sbilenca di quanto sembri, per come ci siamo abituati ad addii e ritorni). I biglietti sono in vendita da dopodomani .
I My chemical romance sono tornati in tour negli Stati Uniti dopo un sacco di tempo, celebrati dal New York Times, e naturalmente fanno anche Welcome to the black parade – di cui parlammo – col pubblico piuttosto contento .
È uscita un’autobiografia di Jann Wenner, l’uomo che si inventò Rolling Stone , la rivista.
The last man on Earth
Wolf Alice
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Pensiamo sempre che si parli di qualcun altro, quando condividiamo le critiche per certi comportamenti diffusi, che ci sembrano particolarmente intollerabili proprio perché sono così diffusi. Tendiamo a pensare che il problema siano gli altri , senza riflettere che statisticamente è difficile che siamo noi gli unici esenti da quei comportamenti così intollerabili e così diffusi. Oppure ci congratuliamo e condividiamo battute critiche nei confronti di consuetudini di cui siamo noi stessi protagonisti, come quando applaudiamo i commenti contro i social network dentro i quali le nostre vite tornano subito dopo. È una cosa che mi fa trattenere spesso dei commenti critici – sì, ogni commento critico trattenuto è una buona cosa, sempre – che sarei tentato di fare, per esempio su Twitter (sto avendo rare ricadute, ma la mia generale astinenza da Twitter prosegue quasi integra; sarebbe proseguita anche quella dai quotidiani, ma ieri tutti mi parlavano di questa disgraziata intervista di Totti, e ieri sera sono andato a leggerla), ma poi realizzo che anche se scrivessi una cosa contro chi tiene l’audio dei video altissimo sui treni, mi direbbero “bravo!” anche diversi di loro, sinceramente convinti che non li riguardi (e adesso, pure).
Dovremmo diventare capaci di ascoltare i ritratti critici di questo o quel comportamento chiedendoci prima di tutto “sono io, quello? non è che io faccio quella cosa lì?”, invece di fare sì con la testa sentendoci sempre dalla parte di qua.
(ci sono sempre, su Twitter, quelli che quando uso il plurale per fare un tentativo di umiltà e attenuazione del tono accusatorio verso altri – tipo, ” siamo tutti schiavi di Sanremo” – mi rispondono fieri “parla per te, io non lo guardo!”)
Who were you to ask for anything more?
Do you wait for your dancing lessons to be sent from God?
You’d like his light to shine on you
You’ve really missed a trick when it comes to love
Always seeking what you don’t have, like what you do ain’t enough
You’d like a light to shine on you
E succede di certo anche quando ascoltiamo una canzone bellissima come questa, che parla della supponenza egocentrica e vanitosa degli individui umani: la storia la potete trovare nel testo , perché a questo punto mi fermo, che questa è una newsletter che vuole portare felicità e non depressioni o scoramenti: e ora che vi siete sorbiti questo pippone vi meritate di godervela in tutto il suo splendore.
Loro sono londinesi, in giro da più di dieci anni ma con soli tre dischi nel curriculum, con cui hanno vinto diversi premi e diversi cuori: l’ultimo era questo, uscito a primavera dell’anno scorso, e i più fedeli di voi ricorderanno che ci accorgemmo subito della canzone. Quella che si fa notare di più – anche con la stupenda ripetizione in “‘cause it’s lies after lies after lies ” – si chiama Ellie Rowsell e ha trent’anni, ma c’è tutto un bel lavoro di progressione musicale della canzone (benché sia combattuto se preferire l’originale o la ” lullaby version “, più notturna ancora). Qui è quando l’hanno fatta al festival di Glastonbury. Tranquilli, non parla di voi.
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