Non ci sono molte squadre come il Brighton
Come il piccolo club di un giocatore d’azzardo è arrivato a giocarsela in Premier League e a vendere giocatori a mezza Europa
di Pietro Cabrio
Se non per alcune modeste stagioni disputate dalla sua squadra di calcio tra gli anni Settanta e Ottanta, la città inglese di Brighton è sempre stata conosciuta principalmente per altro. Le spiagge, per esempio, e quindi come frequentato luogo di villeggiatura per il resto del Regno Unito. O per la sua movimentata e influente scena musicale di metà anni Sessanta, con i famosi scontri tra sottoculture che tra le altre cose ispirarono Quadrophenia, famoso disco poi diventato film degli Who, e altri brani come Brighton Rock dei Queen.
Tuttavia, dopo oltre un secolo passato nelle serie minori del calcio inglese, sette anni fa la squadra di calcio cittadina, il Brighton & Hove Albion, ha esordito in Premier League e da allora non è più retrocessa, anzi. L’arrivo del Brighton è coinciso con il periodo di massima prosperità del campionato inglese. I “gabbiani” — come vengono soprannominati — ne hanno saputo approfittarne per cambiare completamente la loro storia.
Dopo aver costantemente migliorato la loro posizione in campionato, il nono posto raggiunto nella passata stagione è stato il piazzamento più alto di sempre. Per una squadra già nota per l’efficacia del suo sistema di reclutamento e per i metodi di gestione analitici e innovativi della sua proprietà, il nono posto ha attirato ancora di più l’attenzione dei grandi club.
Il Chelsea è stato disposto a pagare oltre 20 milioni di euro soltanto per prendersi a stagione già iniziata l’allenatore, Graham Potter, diventato così il più pagato di sempre: più di José Mourinho e Julian Nagelsmann del Bayern Monaco. La vendita di giocatori in estate ha fruttato oltre 100 milioni di euro in entrate, costituite perlopiù dall’incredibile cifra pagata sempre dal Chelsea per l’esterno spagnolo Marc Cucurella, costato al Brighton meno di 20 milioni di euro e rivenduto a tre volte tanto dopo neanche una stagione in Inghilterra. E nonostante le cessioni, la squadra è al quarto posto dopo sei giornate di campionato.
Eppure soltanto una ventina di anni fa, il Brighton rischiò di sparire, tra debiti e continue retrocessioni. Fu in questa situazione che nel 1996 alla dirigenza di allora venne l’idea di cedere a un gruppo immobiliare la proprietà dello storico stadio cittadino, il Goldstone Ground, per evitare un probabile fallimento. La scelta fu disastrosa: tra i tifosi si scatenò il malcontento che prima portò a un’invasione di campo che costò due punti di penalità in classifica, e poi alle dimissioni della dirigenza.
La vendita però era stata conclusa e nel 1997 il Brighton si ritrovò senza uno stadio in cui giocare, cosa rara per il calcio inglese le cui squadre, anche le più piccole, hanno tutte un loro seguito affezionato e sono considerate un bene per le comunità. Senza stadio, la squadra dovette spostarsi settanta chilometri più a nord per giocare le sue partite a Gillingham, un paesino fuori Londra. Brighton rimase così senza calcio.
La nuova dirigenza ci mise due stagioni per mettersi d’accordo con l’amministrazione locale e far tornare la squadra nella sua città, dove iniziò a usare un piccolo stadio costruito per l’atletica.
Fu in quei primi anni Duemila che in società entrò la figura principale dietro i successi ottenuti di recente: Tony Bloom, fin lì conosciuto perlopiù come uno scommettitore professionista soprannominato “la lucertola” per le sue espressioni durante le partite di poker.
Laureato in matematica a Manchester, poi impiegato nella multinazionale Ernst & Young e nella finanza a Londra, nel 1998 aveva iniziato a far parlare di sé per una sua scommessa milionaria sui Mondiali di calcio, vinti come aveva previsto dalla Francia. Nel 2000 divenne azionista di minoranza del Brighton, la squadra per cui tifava, e nove anni dopo ne assunse il pieno controllo. Arrivato a quel punto, Bloom aveva già contribuito a espandere il mondo delle scommesse online nel Regno Unito, costituendo diverse agenzie private, spesso rivendute ad attività avviata. E le sue vincite ai tavoli di poker — più che altro un passatempo — erano diventate milionarie.
Quando nel calcio la raccolta dati e l’analisi statistica non erano ancora diffuse come in altri sport, Bloom fu tra i primi ad adottare le strategie analitiche come standard aziendale, e a cercare di pensare e agire fuori dagli schemi esistenti, quindi diversamente da come facevano gli altri. Nel farlo si servì della Starlizard, la società che aveva creato in precedenza per fornire consulenze e previsioni accurate sul mondo del calcio tramite l’uso di modelli statistici sviluppati in proprio.
Il Brighton, nel frattempo risanato e dotato di un suo nuovo stadio da 75 milioni di euro, iniziò così a setacciare i campionati meno presi in considerazione, a cercare e incrociare giocatori con caratteristiche che altri ignoravano. Nella sua rincorsa alla Premier League portò in Inghilterra il centravanti argentino Lenoardo Ulloa, che poi fece parte del Leicester City vincitore del campionato con Claudio Ranieri. Lanciò le carriere di Jesse Lingard, poi richiamato dal Manchester United, e di Ben White, ingaggiato a 17 anni e venduto la scorsa estate all’Arsenal per 58 milioni di euro.
A Brighton non sono mai arrivati giocatori affermati, neanche in Premier League: la linea della società è stata sempre dettata dai numeri, nel far funzionare giocatori che altrove non erano stati capiti, come nel caso del trentenne difensore centrale Dan Burn, comprato già in età avanzata per meno di 4 milioni di euro e rivenduto la scorsa estate per 15 milioni al Newcastle di proprietà saudita. O come Leo Østigård, comprato diciannovenne in Norvegia e venduto di recente in Italia: prima in prestito al Genoa, poi al Napoli per 5 milioni di euro.
Lo stesso è stato fatto con Graham Potter, che dopo aver smesso di giocare nei campionati minori inglesi aveva accettato l’offerta dell’Östersund, squadra di una piccola città svedese in quarta divisione. In otto stagioni portò l’Östersund fino alla prima divisione nazionale e alla qualificazione alle coppe europee. Dopo questa scalata, nel 2018 Potter fu richiamato in Gran Bretagna dallo Swansea, e l’anno successivo fu scelto dal Brighton come sostituto di Chris Hughton.
I metodi di gestione e le innovazioni portate dal Brighton sono testimoniate anche dall’influenza che ha avuto e sta avendo in altre realtà. Matthew Benham, per esempio, è considerato l’alter ego calcistico di Billy Beane, il general manager degli Oakland Athletics la cui visione innovativa del baseball attraverso l’uso delle statistiche costrinse tutte le altre squadre a riconsiderare i loro metodi di valutazione (storia che poi ispirò un libro di successo e il film Moneyball).
Ma prima di portare una piccola squadra di Londra senza settore giovanile in Premier League, e prima di scombussolare il campionato danese con lo sconosciuto Midtjylland, Benham, laureato in fisica a Oxford, era stato uno dei soci nelle attività di Bloom.
Dal 2018 il Brighton ha inoltre una società satellite in un quartiere di Bruxelles, Saint-Gilles. Nel suo investimento belga, Bloom non si è limitato a usare il piccolo Union Saint-Gilloise come succursale. Insieme a un socio a cui ha affidato la gestione quotidiana ha replicato i metodi alla base delle fortune del Brighton avendo però molta più libertà d’azione, peraltro in un contesto in cui approcci simili sono ancora inesplorati. In meno di quattro anni l’Union ha messo sottosopra il campionato belga e nella passata stagione ha rischiato di vincere il titolo nazionale, da neopromossa, con una squadra di seconde scelte che gioca ancora in mezzo a un bosco, e che nessuno aveva visto arrivare, quasi come il Brighton.
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