Di quali stati Carlo III è re
Oltre che del Regno Unito anche di altri 14 paesi, i cosiddetti "reami del Commonwealth", che mantengono comunque grandi autonomie
Giovedì 8 settembre, con la morte della regina Elisabetta II, il principe Carlo ha ereditato automaticamente il trono: col nome di Carlo III è diventato il nuovo sovrano non solo del Regno Unito, ma anche di altri 14 paesi. Sono i cosiddetti “reami del Commonwealth”: un’eredità dell’Impero britannico, il più grande della storia, la cui progressiva dismissione è in gran parte coincisa col regno di Elisabetta II.
I 15 paesi di cui Carlo III è diventato re sono quindi:
• Regno Unito,
• Australia,
• Canada,
• Giamaica,
• Grenada,
• Nuova Zelanda,
• Papua Nuova Guinea,
• Isole Salomone,
• Tuvalu,
• Antigua e Barbuda,
• Isole Bahamas,
• Belize,
• Saint Kitts e Nevis,
• Santa Lucia,
• Saint Vincent e Grenadine (nelle Antille).
I “reami del Commonwealth” non devono essere confusi con quello che normalmente chiamiamo “Commonwealth”, o più correttamente il “Commonwealth delle Nazioni”: cioè la più ampia organizzazione politica – di cui questi 15 stati fanno parte – composta in tutto da 56 stati sovrani e indipendenti, formalmente «liberi e uguali», la maggior parte dei quali erano territori di quello che fu l’Impero britannico.
Di questi 56 stati, 36 sono repubbliche (India, Pakistan, Singapore e Kenya, tra le altre) e 5 hanno un altro sovrano. Dopo la morte di Elisabetta II, il ruolo di capo formale del Commonwealth è passato a Carlo III, ma non perché sia ereditario: nel 2018 i leader dei paesi membri lo avevano scelto come successore, sebbene dopo un esplicito auspicio della regina. In ogni caso è un ruolo che non implica nessun potere politico né decisionale, ma che era stato pensato per fare del sovrano inglese il simbolo di ciò che restava dell’Impero britannico, impegnandolo a mantenerne e rappresentarne l’unità e la coesione.
I restanti 15 stati sono appunto i “reami del Commonwealth”, cioè quelli in cui il sovrano inglese, in questo caso Carlo III, non è solo il capo del Commonwealth ma anche il monarca formale.
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Anche in questo caso però il fatto che Carlo III sia formalmente il sovrano di questi paesi non significa che detenga un qualche potere politico su di loro, o che sia più di tanto in grado di influenzarne direttamente la politica interna. Il grado di coinvolgimento del re nella vita di questi 15 stati varia da caso a caso, ma complessivamente si può dire che sia minimo e molto indiretto, e che il suo ruolo sia ampiamente simbolico.
Ognuno di questi 15 stati è una monarchia costituzionale con un parlamento autonomo e un governo guidato da un primo ministro. Il ruolo del re non è nemmeno paragonabile del tutto a quello di un presidente di una repubblica parlamentare: a parte il Regno Unito, negli altri infatti il sovrano inglese è a sua volta rappresentato da un governatore locale, generalmente nominato sotto consiglio del primo ministro del singolo paese.
Il ruolo del re è limitato allo svolgimento di particolari doveri – il più importante dei quali è l’approvazione finale delle leggi varate dal parlamento nazionale (il cosiddetto royal assent) – che vengono comunque generalmente assolti dal suo rappresentante in loco, il governatore locale. Il re può essere invitato a presenziare in occasioni di particolare importanza, magari per motivi storici, o talvolta a svolgere di persona i propri doveri costituzionali, ma sono casi eccezionali.
In circostanze ancora più eccezionali il sovrano inglese può decidere di mettere in atto i cosiddetti “poteri di riserva”, che comportano l’autorità di scavalcare unilateralmente il governo eletto. Un esempio fu la crisi costituzionale australiana del 1975, in cui il governatore locale che rappresentava la regina Elisabetta II tolse l’incarico di primo ministro al Laburista Edward Gough Whitlam nel tentativo di porre fine a una situazione di stallo dovuta agli scontri con l’opposizione che si protraeva da mesi e impediva al governo di legiferare.
Dato il ruolo ampiamente cerimoniale che il sovrano del Regno Unito ha nei reami del Commonwealth, si ritiene che non ci saranno grossi cambiamenti ora che il regno è passato a Carlo III.
Allo stesso tempo però secondo alcuni analisti la successione del regno potrebbe rappresentare un punto di rottura per i paesi che da tempo esprimono l’intenzione di trasformarsi in repubbliche, dando quindi un nuovo impulso a questa spinta. Tra questi ci sono Giamaica, Belize e Antigua e Barbuda: il governo di quest’ultimo paese ha dichiarato in più occasioni e ribadito proprio oggi la volontà di organizzare entro tre anni un referendum per trasformare il paese in una repubblica.