La lunga marcia di Rahul Gandhi in India
Uno dei leader del principale partito di opposizione camminerà per cinque mesi da nord a sud, per "unire il paese" e trovare consensi
Mercoledì 7 settembre Rahul Gandhi ha iniziato una lunga marcia a piedi attraverso l’India con l’obiettivo dichiarato di «unire il paese» e di ridare forza e visibilità al partito di cui fa parte. Gandhi è uno dei leader del Partito del Congresso, il principale partito di opposizione del paese: si può descrivere come di centrosinistra e ha governato l’India per grandissima parte della sua storia post-coloniale. Da tempo è in declino, sia per la perdita costante di sostegno e consenso quasi ad ogni elezione tenuta negli ultimi anni, sia per gli scandali interni. Il viaggio di Rahul Gandhi durerà cinque mesi e sarà trasmesso in streaming.
Rahul Gandhi ha 52 anni ed è l’ultimo esponente di una dinastia politica di grande successo: suo padre, sua nonna e il suo bisnonno sono stati primi ministri del paese (nonostante l’omonimia, non hanno legami di parentela col Mahatma Gandhi). Camminerà per il paese da nord a sud per circa 3.570 chilometri e attraverserà dodici stati e due territori, accompagnato da centinaia di membri del partito e di suoi sostenitori.
Prima di partire per la sua “lunga marcia”, Rahul Gandhi è stato a Sriperumbudur, nello stato meridionale del Tamil Nadu, dove suo padre, l’ex primo ministro Rajiv Gandhi, venne ucciso in un attentato nel 1991 mentre faceva campagna elettorale per le imminenti elezioni generali. L’attentato era stato organizzato dalle Tigri Tamil, un gruppo terroristico dello Sri Lanka. «Ho perso mio padre a causa delle politiche di odio e di divisione. Non consegnerò a queste stesse politiche il mio amato paese», ha detto.
La marcia è un atto politico in vista delle elezioni generali previste per il 2024 e contro il partito nazionalista Bharatiya Janata Party (BJP) del primo ministro Narendra Modi, al potere dal 2014. Shashi Tharoor, un membro del Partito del Congresso, ha spiegato a BBC che l’obiettivo dell’iniziativa è «difendere l’idea dell’India sancita dalla Costituzione. Il messaggio è che siamo il partito che può unire il paese e fermare il processo di divisione interna basato su religione, casta e lingua che viene promossa dal partito al governo». Allo stesso tempo, la marcia è un tentativo per ridare forza e visibilità a un partito da tempo in crisi, e per riavvicinare al partito stesso i suoi elettori tradizionali.
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Dal 2014, le politiche messe in atto dal primo ministro Modi hanno cercato di creare una «nuova India», attraverso il rafforzamento del nazionalismo, la trasformazione dell’India da paese laico a paese induista, e l’indebolimento dei diritti delle minoranze e delle comunità musulmane. Fino ad oggi le politiche filo-nazionaliste e filo-indù del governo sono state accolte con grande favore, nonostante il peggioramento della condizione economica di gran parte della popolazione, la crisi dovuta alla pandemia, l’inflazione, l’aumento dei prezzi del petrolio e le proteste.
Secondo un recente sondaggio Modi si conferma come il leader più popolare nel paese (con il 53 per cento dei consensi). E non c’è nessuno dei suoi avversari politici che gli si avvicini: Gandhi è dato al 9 per cento. «Guardando qualsiasi parametro, l’incredibile popolarità di Modi e la fiducia che gli elettori hanno in lui a volte sfida la logica», ha commentato Yashwant Deshmukh, il sondaggista.
Molti credono che la marcia di Rahul Gandhi possa diventare la leva per la creazione di un nuovo movimento nazionale contro il governo, e per rilanciare Gandhi stesso come leader del paese. Durante le prime tappe del suo viaggio, Gandhi ha denunciato le difficoltà della popolazione di fronte a povertà, disoccupazione e inflazione, ha parlato del valore della laicità, di armonia sociale e ha attaccato le divisioni e le violenze su base religiosa.
In India le lunghe marce a piedi non sono una pratica politica nuova. La più celebre è “la marcia del sale” del Mahatma Gandhi che nel 1930 percorse 380 chilometri a piedi per protestare contro la tassa sul sale imposta dal governo britannico a tutti i “sudditi” dell’India. Lo scopo, simbolico, era raccogliere una manciata di sale dalle saline del paese, rivendicando per il popolo indiano il possesso di questa preziosa risorsa. Quell’azione diede inizio a un potente movimento di disobbedienza civile contro il potere coloniale del Regno Unito, che portò poi nel 1947 all’indipendenza dell’India.
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Nel 1983 il leader dell’opposizione di allora, Chandra Shekhar, intraprese un viaggio di 4mila chilometri durato sei mesi, ma l’iniziativa non gli procurò alcun guadagno politico. Nel 1990, ma su un furgone, fece la stessa cosa anche L.K. Advani, del Bharatiya Janata Party, per ottenere sostegno a una campagna organizzata per costruire, nell’Uttar Pradesh, un tempio indù sul sito di una moschea. L’assalto e la distruzione di quella moschea, nel 1992, causarono un periodo di enormi violenze religiose nel paese in cui morirono oltre 2mila persone, per la maggioranza musulmane.
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