Piombino non è una città come le altre per costruire un rigassificatore
La compatta e trasversale opposizione locale al progetto deriva da frustrazioni e promesse non mantenute vecchie di decenni
di Isaia Invernizzi
Il luogo dell’ultima assemblea pubblica organizzata a Piombino contro il rigassificatore non è stato scelto a caso: il Rivellino è una struttura fortificata che si trova in centro, accanto a una torre possente chiamata Torrione. Dentro le alte mura, lunedì sera, circa trecento persone hanno ascoltato gli interventi del sindaco e degli esperti chiamati a spiegare cosa significa mettere una grande nave rigassificatrice nel porto, a poche centinaia di metri dalla città. C’erano giovani, anziani, genitori con i loro figli, qualcuno impegnato nella politica locale, altri che non votano da anni. Negli ultimi due mesi la protesta è stata molto partecipata, compatta e trasversale. Ha unito e portato in piazza persone che la pensano in modo diverso, da Rifondazione comunista a Fratelli d’Italia.
Vista da lontano, la decisa opposizione al rigassificatore potrebbe sembrare la classica protesta di una comunità Nimby (acronimo di Not in my backyard, non nel mio giardino), contraria a qualsiasi intrusione nel proprio territorio. In realtà Piombino è un caso unico e non semplice da decifrare perché la rabbia non riguarda un gruppo ristretto di persone, ma coinvolge tutti e viene da lontano, da decenni di mancate promesse e da un’attesa illusoria per il futuro delle acciaierie, qui chiamate semplicemente “la Fabbrica”.
L’enorme polo siderurgico attorno al quale si è sviluppata la città è considerato il simbolo del fallimento locale della politica. Mancano risposte da troppo tempo: non si sa come si potrà uscire da una lunga e logorante cassa integrazione, non si sa come si potranno bonificare centinaia di ettari di territorio inquinato da rifiuti e scarti accumulati in oltre cent’anni. «Piombino ha già dato», è uno degli slogan che si sente ripetere più spesso.
L’imposizione del rigassificatore da parte del governo è stata accolta dagli abitanti come l’ennesimo affronto troppo grave da sopportare. Nelle ultime settimane le pressioni sono aumentate, così come la tensione. Le procedure vanno avanti velocemente e quasi tutti i partiti a livello nazionale dicono che il rigassificatore va fatto. Mercoledì Carlo Calenda, leader di Azione, ha tentato un dialogo con gli abitanti e i comitati per convincerli che non ci sono altre possibilità per il bene dell’Italia. «Persone preparate e perbene», ha detto prima di tornare a Roma. L’impressione è che niente e nessuno potrà far cambiare idea ai piombinesi.
Dalla località Tolla Alta, in fondo a una strada sterrata che porta ai ripetitori su una collina, si ha una visuale perfetta sul porto e sull’area delle acciaierie che con i suoi quasi 12 chilometri quadrati occupa gran parte del paesaggio. È così dalla metà dell’Ottocento.
Negli anni Ottanta, considerato il periodo di massima espansione, quasi diecimila persone lavoravano nell’altoforno e nei cosiddetti treni di laminazione: si producevano molte cose, tra cui tondini di acciaio per il cemento armato e binari per le ferrovie. La proprietà rimase pubblica fino al 1993, quando il governo privatizzò la siderurgia italiana. Le acciaierie furono vendute al gruppo Lucchini, che in poco tempo comunicò ai sindacati la volontà di licenziare 900 persone.
Seguirono 35 giorni di duri scioperi e manifestazioni. Venne occupata per quattro volte la ferrovia che collega Roma a Genova, ci furono molti blocchi stradali a cui seguirono denunce, richieste di risarcimenti e processi per i sindacalisti della FIOM, la federazione dei metalmeccanici della Cgil. Tutti i sindaci della Val di Cornia, l’area in cui si trova Piombino, parteciparono alle manifestazioni dei sindacati e gli abitanti iniziarono a portare ai lavoratori sacchi di cibo, damigiane di vino, soldi.
La lotta sindacale unì tutta la città in un movimento di solidarietà e protesta che a molti ricorda lo spirito con cui oggi le persone si oppongono al rigassificatore.
I licenziamenti furono poi trasformati in cassa integrazione, ma il declino delle acciaierie era già iniziato. I mancati investimenti sugli impianti e sui prodotti, uniti alla competizione di aziende indiane, brasiliane e giapponesi, contribuì alla crisi che portò al fallimento. Nei cinque anni tra il 2005 e il 2010 una quota dell’azienda passò ai russi di Sevestral. La situazione non migliorò, anzi, le acciaierie vennero commissariate: nel 2014 l’altoforno fu spento e da allora non è mai più stato acceso.
Negli anni successivi l’impianto passò prima al gruppo algerino Cevital e in seguito al colosso indiano Jindal, l’attuale proprietario. Tutti questi passaggi furono accompagnati da progetti di riqualificazione e rilancio, mai finanziati. Oggi i dipendenti delle acciaierie sono circa 1.200, tutti in cassa integrazione rinnovata ogni due anni dal 2014. Ogni giorno nella fabbrica entrano circa 300 persone. Lavorano l’acciaio importato dall’estero.
Giuseppe Bartoletti, che da segretario della FIOM e della Cgil ha vissuto tutti questi cambiamenti, spiega che la disillusione vissuta negli ultimi 30 anni da migliaia di lavoratori e dalle loro famiglie ha contribuito in modo determinante all’origine della protesta contro il rigassificatore. «Non è una bomba arrivata all’improvviso», dice Bartoletti. «L’opposizione al rigassificatore è il segnale di un disagio generale che tocca moltissime persone da molto tempo».
Un segnale evidente era già arrivato alle ultime elezioni vinte da Francesco Ferrari, avvocato, esponente di Fratelli d’Italia. A Piombino, medaglia d’oro alla Resistenza, la destra non aveva mai governato. «La sua vittoria non è stata un caso», dice Bartoletti. «Le mancate promesse hanno innescato delusione e rabbia, sfociate in una posizione antagonista che oggi continua contro il rigassificatore. Al di là del passato, il governo ha gestito quest’ultima partita in malo modo, calando tutto dall’alto. È logico che qui le persone si oppongano, anche solo per principio».
Il passato e il presente si legano però per via delle cosiddette compensazioni che il commissario per il rigassificatore, il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, ha presentato al governo in un memorandum di impegni e finanziamenti chiesti allo stato. Non era facile far arrabbiare gli abitanti di Piombino più di quanto lo fossero già, eppure Giani sembra esserci riuscito, perché nelle compensazioni sono state inserite tante delle promesse non mantenute negli ultimi decenni. Sono progetti che i piombinesi attendevano di diritto e che ora considerano un ricatto.
C’è una strada, la statale 398, di cui si discute dagli anni Settanta, essenziale come secondo accesso alla città e al porto, oggi raggiungibili da una sola via tra lunghe code, rischi e disagi. Ci sono soprattutto le bonifiche attese da anni, un problema così vasto e nascosto che è difficile capire quanti soldi serviranno per farle. «Negli anni Cinquanta e Sessanta, e ancora di più nella prima metà del Novecento, non ci si preoccupava molto dell’ambiente», dice Bartoletti. «Se c’era un rifiuto si buttava dove c’era spazio. Nello stabilimento ci sono cumuli di materiale di scarto, acidi e altro, coperti da altri rifiuti e poi da terra. Le bonifiche fanno parte degli interventi che dovevano essere fatti nei piani mai finanziati. Si dovevano fare prima».
Da “fumo = pane”, la frase che serviva a giustificare il notevole impatto della fabbrica, negli ultimi anni la sensibilità degli abitanti è aumentata. C’è più attenzione nei confronti del mare e del territorio maltrattato dalle acciaierie. Ma la contrapposizione più evidente tra i comitati e i sostenitori del rigassificatore, come Calenda, è legata alla sicurezza del porto e della città.
La Golar Tundra è una nave lunga 300 metri e larga 40. È una FSRU, che sta per floating storage and regasification units, “unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione”: serve per riportare allo stato gassoso il gas naturale liquefatto, in sigla GNL o LNG. La Golar Tundra può immettere nella rete fino a 5 miliardi di metri cubi di gas in un anno. I rigassificatori vengono definiti onshore se posizionati sulla terraferma, e offshore se installati in mare, collegati alla rete con un gasdotto. A Piombino si è scelta una soluzione ibrida, con una nave attraccata al porto, principalmente per via dei tempi ristretti: SNAM e il governo vorrebbero metterla in funzione entro la primavera del prossimo anno.
La nave verrebbe installata accanto alla banchina est del porto, realizzata per l’approdo e lo smontaggio del relitto della Costa Concordia, poi dirottato a Genova. La necessità di trovare nuove forniture di gas in tempi brevi per sostituire quello proveniente dalla Russia ha portato il governo a fare tutto molto in fretta: non verrà fatta la valutazione di impatto ambientale (VIA) e molti passaggi tecnici saranno molto veloci o non sono proprio previsti.
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Il commissario ha fissato la conferenza dei servizi il 19 settembre e l’approvazione finale è prevista entro il 29 ottobre. «A Livorno, dove il rigassificatore è stato fatto a 22 chilometri dalla costa, ci sono zone di interdizione dove non è possibile navigare per questioni di sicurezza. Qui la città sarebbe in zona di interdizione», spiegano Ugo Preziosi del gruppo di cittadini “La Piazza della Val di Cornia” e Maria Cristina Biagini, ex dirigente del comune, fondatrice del gruppo di cittadini “Gazebo 8 giugno”, che ha preso il nome dal giorno della prima manifestazione. «Con l’approvazione del decreto Aiuti il governo ha deciso che può fare quello che vuole. Basta dire che c’è un’emergenza. Di fatto è una sospensione della democrazia. Siccome ci hanno preso in giro su tutto – fabbrica, bonifiche e strada – pensavano che avremmo ingoiato anche questa».
Il progetto presentato pochi giorni fa da SNAM è già stato esaminato con attenzione da esperti contattati dai comitati. In totale sono state presentate 62 osservazioni da comuni, aziende, comitati e persone che non fanno parte di nessun movimento. Anche Maria Concetta Mondello, che abita vicino al porto, ne ha scritte alcune per chiedere a SNAM certezze sulla sicurezza. Le principali preoccupazioni riguardano le manovre delle metaniere che arriveranno in porto per rifornire il rigassificatore di GNL, la compatibilità con il traffico di traghetti che collegano Piombino con l’isola d’Elba e la Sardegna, l’utilizzo dell’ipoclorito di sodio per mantenere gli impianti puliti dai residui del gas. «Con quel coso nel porto non sono tranquilla», dice Mondello.
I tentativi di SNAM di rassicurare la popolazione sono stati vani. Già da luglio Elio Ruggeri, amministratore di SNAM FSRU Italia e responsabile del progetto, in un’intervista al Tirreno aveva assicurato che non ci sarà alcun problema di sicurezza. Gli incidenti, lo dicono i dati, sono molto rari. «È un’attività iper-testata, iper-sicura, iper-controllata», ha detto. «Non ci sono rischi non controllati né per l’ambiente, né per il territorio, né tanto meno per la popolazione, altrimenti non lo avremmo neanche proposto».
La sfiducia degli abitanti nei confronti delle istituzioni ha coinvolto da subito anche SNAM che ha presentato un’istanza per 25 anni, nonostante le rassicurazioni sul fatto che la nave rimarrà in porto per soli 3 anni. Oltre ai comitati, anche il comune si è opposto in modo deciso al rigassificatore. Sono stati coinvolti tecnici e avvocati. «La nostra non è una posizione ideologica o di egoismo», ha detto il sindaco Ferrari durante l’ultimo incontro pubblico. «Voglio essere ottimista: la conferenza dei servizi ha paletti e regole che impongono un attento esame delle problematiche legate alla sicurezza e all’ambiente. Nessuno potrà ignorare le criticità. Siamo di fronte a un attacco contro un territorio che si vuole riqualificare».
Ferrari parla dei faticosi tentativi di trovare nuove opportunità di sviluppo per guardare oltre la siderurgia e alla Fabbrica. Da qualche anno alcuni imprenditori hanno creato allevamenti ittici che in poco tempo hanno conquistato una significativa quota di mercato a livello nazionale. Si è tornati a coltivare la campagna. Sono stati aperti nuovi stabilimenti balneari e attività legate al turismo. Sul porto ci sono diversi piani già finanziati, come l’apertura di un porticciolo turistico e l’insediamento di nuove aziende.
Il timore è che il rigassificatore rovinerà tutto. «Piombino deve porsi l’obiettivo di diventare una bella città post industriale, però bisogna programmare da qui ai prossimi 15 o 20 anni», dice Rossano Pazzagli, direttore della scuola del paesaggio “Emilio Sereni”, professore di storia dell’ambiente dell’università del Molise, nato e cresciuto a Suvereto, a pochi chilometri da Piombino. «Molti paesi della Val di Cornia sono riusciti a recuperare l’agricoltura e sviluppare turismo sostenibile. Piombino no, perché è stata bloccata dalle acciaierie. Ha il mare, un entroterra notevole, tradizione e cultura civica grazie al lavoro operaio. Invece con il rigassificatore continuerà a essere la città dell’incertezza».
Nei giorni scorsi Calenda aveva detto che nel caso si sarebbe dovuto “militarizzare” Piombino, cioè trasformare il porto in un’area militare dove lo stato potrebbe agire senza bisogno di ulteriori autorizzazioni. Arrivato in città, mercoledì, non ha mai pronunciato la parola “militarizzare”. Anzi, pur continuando a sostenere il progetto, ha sottolineato e quasi giustificato la rabbia degli abitanti di Piombino. «È una città difficile, che ha avuto un sacco di delusioni e inquinamento», ha detto. «Il lavoro di un politico è dire la verità e spiegare. Quando succede si comincia a ragionare e i cittadini capiscono: le non scelte di oggi si pagano domani».
Calenda non aveva molto da perdere, mentre tutti gli altri partiti sono in imbarazzo per via della contrapposizione tra la linea nazionale, favorevole ai rigassificatori, e l’opposizione locale, anche se con qualche sfumatura. Anche il sindaco Ferrari ha qualche problema politico, perché Giorgia Meloni si è convinta che il rigassificatore vada fatto. Lui continua a opporsi, sostenuto dai suoi abitanti. Per evitare che la rabbia continui a crescere, però, serviranno risposte più convincenti sulla sicurezza e sul rilancio della città.