Il ritorno del mullet di cui si parla in Australia
Il taglio di capelli corto sopra e lungo dietro è di nuovo molto popolare: per alcuni è brutto e disordinato, per altri un motivo di orgoglio nazionale
Il 20 agosto il minatore australiano Timmy Pinger ha vinto una gara di qualificazione per partecipare alla finale del “Mulletfest”, un concorso con cui dal 2018 vengono premiate le persone che hanno il miglior mullet, il taglio di capelli famosissimo tra gli anni Settanta e Ottanta e molto preso in giro nei decenni successivi. Con i capelli lunghi sulle spalle e corti ai lati e sul davanti, portato sia da uomini che da donne, il mullet (si legge mallet) è considerato il taglio brutto e goffo per eccellenza.
Da un paio di anni tuttavia è tornato a essere molto popolare, in particolare sulle passerelle, sui red carpet e in Australia, dove alcuni lo ritengono una specie di simbolo della cultura nazionale, mentre altri pensano che dovrebbe continuare a comparire solo sui vecchi album fotografici.
Come accadde un po’ dappertutto, anche in Australia il mullet rimase molto di moda fino ai primi anni Novanta. Fino a qualche anno fa era associato soprattutto alle persone che secondo gli stereotipi hanno un aspetto o un modo di comportarsi piuttosto rozzo e trasandato, vengono dalle aree rurali del paese oppure appartengono alle fasce meno istruite della popolazione (che in Australia sono indicate col termine dispregiativo “bogan”).
Adesso invece il mullet ha perso questa connotazione e ha cominciato a essere un taglio un po’ per tutti: hanno un mullet con capelli più o meno lunghi oppure con creste o i lati rasati moltissimi giocatori di rugby o di football australiano, così come anche musicisti, persone con uno stile alternativo, impiegati, studenti e ragazzini.
Alcune persone che si intendono di moda e acconciature sostengono che in Australia il mullet avesse cominciato a diffondersi di nuovo già prima della pandemia da coronavirus; secondo altre invece non era mai andato del tutto fuori moda, visto che aveva continuato a essere usato per esempio in molte aree rurali e da molte persone della comunità LGBT+.
Il fatto che durante la pandemia non ci si dovesse più tenere per forza in ordine per andare a scuola o al lavoro, comunque, sembra aver contribuito in maniera significativa a ravvivare l’interesse per questo taglio di capelli e a farlo diffondere in tutto il paese.
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La fondatrice del Mulletfest Laura Johnson ha detto che il mullet era considerato un taglio «decisamente da bogan», ma negli ultimi anni è stato ampiamente accettato nella cultura di massa. Come ha notato Timmy Pinger, che a dicembre parteciperà alla finale del concorso, è un taglio che sembra avere «molto a che fare con il tipico senso dell’umorismo anticonformista degli australiani».
Concorda anche Craig Smith, vincitore del premio come migliore parrucchiere australiano nel 2019, secondo cui un mullet dimostra che una persona «non si prende troppo sul serio»: viene visto come un taglio di capelli rilassato e pratico, che secondo molti addetti ai lavori spesso è scelto proprio perché dà nell’occhio e generalmente è considerato fuori moda.
Non tutti però concordano sul fatto che gli stereotipi legati a questo taglio di capelli siano stati effettivamente superati.
Le persone che non lo apprezzano lo ritengono semplicemente brutto e ridicolo, e al di là dei pregiudizi sostengono che non sia adatto a certi contesti. In alcune occasioni per esempio è stato segnalato che bar, locali e hotel australiani si sono rifiutati di far entrare persone che avevano un mullet per motivi legati al tipo di abbigliamento richiesto oppure per la convinzione che avrebbero avuto un comportamento inappropriato solo per via del loro taglio di capelli. Anche alcune scuole private hanno imposto il divieto per gli studenti maschi di presentarsi con un mullet, ritenendo che sia un taglio «estremo» oppure «disordinato, non convenzionale e non accettabile».
Sul caso di un ragazzo di 18 anni che non era potuto entrare in un pub per via del suo mullet si era espresso anche il premier dello stato dell’Australia Occidentale, Mark McGowan, che ha detto in più occasioni di essere “pro-mullet”.
McGowan aveva detto di avere molti amici con il mullet, e che portare questo taglio di capelli «non dovrebbe essere un motivo per impedire a qualcuno di andare a farsi una birra». McGowan, che aveva anche incoraggiato le persone con il mullet «a protestare e a ribellarsi» contro le «regole estreme imposte dai pub», di recente ha peraltro definito il taglio «un’invenzione tutta australiana – una che dovremmo vendere al mondo».
Nonostante sia popolarissimo è del tutto improbabile che il mullet sia stato inventato in Australia e fu probabilmente uno dei tagli di capelli più antichi di sempre.
Nel suo libro Mullet Madness, lo scrittore Alan Henderson ha notato che un taglio simile era portato già dagli uomini preistorici, che apprezzavano la comodità della frangia corta per lasciare gli occhi più liberi durante la corsa e la praticità dei capelli lunghi sulla nuca, che tenevano caldo e proteggevano dalla pioggia. Henderson ha scritto inoltre di aver individuato dei “proto-mullet” in alcune statue greche del VI secolo a.C.: portavano i capelli in questo modo anche i guidatori di carri tra i Romani così come i guerrieri Ittiti, Assiri ed Egizi, oltre ad alcuni gruppi di Nativi americani.
Nel mondo moderno questo taglio fu reso celebre dal noto cantante David Bowie nei primi anni Settanta. Il mullet rosso fiammante del suo alter ego Ziggy Stardust, una rock star androgina e aliena, fu qualcosa di rivoluzionario, che univa il maschile e il femminile, il corto e il lungo, e sfidava il perbenismo dei tempi: il suo taglio fu subito copiato dai musicisti più provocatori dell’epoca e poi si diffuse rapidamente tra la gente di mezzo mondo, oltre che tra attori, atleti e musicisti rock, country, punk e metal.
Sull’origine della parola “mullet” (che vuol dire triglia) per indicare il taglio di capelli però non c’è certezza. Il termine comunque divenne popolare grazie alla canzone del trio hip hop statunitense Beastie Boys Mullet head (1994), che parlava di ragazzotti rozzi e un po’ tonti che pensavano solo a fare a botte, alle belle macchine e alle ragazzine, portavano jeans slavati e quel taglio di capelli già passato di moda.
La scrittrice Rachael Gibson, che vive a Londra ed è conosciuta sui social network come la “storica dei capelli” per via della sua grande esperienza sul tema, ha spiegato ad ABC che il mullet è un taglio «che provoca, è strano ed è un po’ brutto»: caratteristiche che hanno fatto sì che diventasse una moda tra le sottoculture e quindi si diffondesse nella cultura di massa. Fino a poco tempo fa era un taglio che in Australia ricordava i punk e i ragazzini di campagna che si tagliavano i capelli con le forbici da cucina: adesso invece ci sono molte più persone interessate a vederlo come un’opportunità per esplorare la propria identità, ha aggiunto Laura Spinney, una parrucchiera di Sydney che ha creato così tanti mullet da farsi chiamare “la mamma dei mullet”.
Secondo Spinney oggi è un taglio molto popolare perché non inserisce «in una casella» chi lo porta. Come ha sintetizzato ABC, la «magia» del mullet potrebbe risiedere proprio nel fatto che «si rifiuta di essere una cosa sola. Maschile e femminile, lungo e corto, pratico e alla moda».
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