Perché è così difficile far partire Artemis 1

I lanci spaziali non sono mai semplici, soprattutto se il razzo che vuoi usare non ha mai volato prima e vuoi usare l'idrogeno

di Emanuele Menietti

(Joe Raedle/Getty Images)
(Joe Raedle/Getty Images)
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Lo Space Launch System (SLS), l’enorme nuovo razzo della NASA per tornare a esplorare la Luna con il programma Artemis, non riesce a partire e continua a rimanere saldamente sulla Terra soprattutto a causa dell’idrogeno, l’elemento più leggero e abbondante nell’Universo. Alquanto sfuggente, sabato scorso ha rovinato i piani dell’agenzia spaziale statunitense, fuoriuscendo dal sistema impiegato per rifornire i serbatoi del razzo. Consapevoli di quanto sia difficile avere a che fare con l’idrogeno, gli ingegneri della NASA hanno provato per tre volte a risolvere il problema, prima di rassegnarsi a un rinvio del lancio dopo quello del lunedì precedente.

Scienza dei razzi, in breve
“Space is hard”, “lo Spazio è difficile”, è una frase che si sente dire spesso nell’industria spaziale: superare l’atmosfera terrestre richiede un enorme dispendio di energia e, se qualcosa non va per il verso giusto, gli esiti sono quasi sempre catastrofici con la distruzione del razzo e di ciò che sta trasportando. Nonostante molte delle tecnologie di SLS siano derivate dagli Space Shuttle, uno dei programmi spaziali di maggior successo, il nuovo razzo non ha mai volato prima e molti dei suoi sistemi sono stati sperimentati in condizioni diverse da quelle della rampa di lancio.

Proprio come per gli Shuttle, anche SLS utilizza due diversi tipi di propulsione per raggiungere l’orbita trasportando Orion, il veicolo spaziale che poi prosegue il proprio viaggio verso la Luna. Nei primi due minuti dopo il lancio, la maggior parte della spinta viene fornita dai due Solid Rocket Booster (SRB), razzi che utilizzano un propellente solido e che possiamo immaginare come potentissimi fuochi d’artificio alti come un palazzo di 15 piani. Quando si accendono, bruciano circa sei tonnellate di propellente ogni secondo e producono più di tre quarti della spinta necessaria per la prima fase di lancio. Terminato il loro lavoro, si spengono e si separano dal resto di SLS per tornare sulla Terra, tuffandosi nell’oceano Atlantico dove non vengono recuperati.

Lo Space Shuttle Discovery a confronto con SLS, i SRB sono i due cilindri bianchi ai lati del “Core Stage”, il cilindro arancione centrale (NASA)

Il principio di funzionamento dei due SRB è relativamente semplice, così come la gestione del propellente che viene mantenuto al loro interno. Offrono una grande potenza, ma hanno lo svantaggio di essere difficili da governare, e nel caso in cui i segmenti che li costituiscono non siano ben collegati, si possono verificare esplosioni e incidenti come avvenne allo Shuttle Challenger nel 1986. Il secondo sistema utilizzato da SLS è più governabile, ma anche per questo più complicato da gestire.

Invece di utilizzare propellente solido, lo stadio centrale (“Core Stage”) di SLS, il grande cilindro arancione, impiega propellenti in forma liquida. È a tutti gli effetti un enorme serbatoio alto quasi 65 metri e con un diametro di oltre 8 metri, cui sono assicurati quattro motori nella sua parte bassa. Il cilindro è formato da due distinti serbatoi: uno per l’ossigeno e l’altro per l’idrogeno. Come sappiamo, questi due elementi a temperatura e pressione ambiente si presentano in forma gassosa e sono piuttosto rarefatti, occupano quindi molto volume. Raffreddando a temperature estremamente basse le quantità necessarie per il lancio, questi gas diventano liquidi (LH2 e LOX) e occupano molto meno spazio, rendendo possibile il loro immagazzinamento a pressione nel serbatoio del Core Stage.

(NASA)

L’idrogeno liquido è il combustibile, mentre l’ossigeno liquido è l’ossidante: insieme formano quello che chiamiamo propellente. Quando i due elementi vengono fatti fluire dai rispettivi serbatoi e si incontrano, producono una reazione chimica altamente energetica il cui prodotto di scarto è vapore d’acqua (due atomi di idrogeno e uno di ossigeno sono i costituenti dell’acqua). Utilizzando sistemi per far circolare i due fluidi ad alta pressione nei motori, si produce la combustione necessaria per spostare la grande massa del razzo e fargli proseguire il viaggio oltre l’atmosfera terrestre cui inizialmente avevano provveduto i due SRB.

Idrogeno
Nei razzi a propellente liquido si possono utilizzare vari tipi di combustibili e negli anni ne sono stati sperimentati a decine, ma l’idrogeno è tra quelli che offrono le migliori prestazioni in rapporto al peso specifico e alla resa. Il problema è che tenere sotto controllo l’idrogeno è molto difficile, perché è molto leggero e tende a infilarsi un po’ dappertutto. Rimane allo stato liquido a -253 °C circa, ma bastano lievi variazioni di temperatura o pressione perché evapori velocemente. Conservarne 800 tonnellate in un serbatoio per qualche ora può essere un bel grattacapo.

I serbatoi dei razzi che utilizzano propellente a bassissima temperatura hanno al proprio esterno schiume e altri materiali isolanti, per ridurre le dispersioni termiche. Visto che tra il rifornimento e il lancio passa di solito qualche ora, il razzo rimane collegato fino all’ultimo momento utile alle tubature che dai sistemi di terra portano il propellente liquido ai suoi serbatoi. È un po’ come se dal benzinaio lasciassimo l’erogatore attaccato all’automobile per compensare la minima evaporazione di benzina fino all’ultimo secondo prima di partire (ma non fatelo).

La parte inferiore di SLS con alcuni dei sistemi di terra collegati al razzo (Joe Raedle/Getty Images)

Nell’ultimo istante prima della partenza del razzo, un sistema di distacco rapido (“quick disconnect”) fa staccare le tubature per il rifornimento dal razzo, in modo che questo possa partire senza portarsele dietro. Il distacco deve avvenire nel modo meno traumatico possibile, di conseguenza l’equivalente dell’erogatore della benzina non può essere avvitato al razzo e deve essere libero di sfilarsi facilmente. Vengono quindi utilizzate guarnizioni e altri sistemi per far rimanere attaccata la tubatura per il rifornimento al razzo, ma è pressoché impossibile sigillarla completamente soprattutto se si ha a che fare con l’idrogeno liquido, che come abbiamo visto si intrufola facilmente nelle fessure.

Essendo un problema noto e con cui convivere, gli ingegneri della NASA hanno un limite di tolleranza per la perdita di idrogeno sulla rampa di lancio, che viene rilevata da alcuni sensori nei pressi del sistema di distacco rapido. Se intorno a questo la concentrazione di idrogeno è inferiore al 4 per cento si può proseguire con la preparazione del lancio, altrimenti occorre fermarsi perché all’aumentare della quantità di idrogeno disperso aumentano i rischi di un incendio che potrebbe distruggere il razzo.

Rinvio
Nel caso del lancio di sabato poi rinviato, la NASA aveva rilevato circa il doppio e in alcuni casi il triplo della concentrazione massima di idrogeno consentita. I tecnici avevano quindi interrotto per due volte il rifornimento del serbatoio che doveva contenere l’idrogeno, confidando che in questo modo il sistema di distacco rapido si scaldasse un poco, portando a una nuova espansione dei materiali che lo collegano al razzo. I tentativi si erano rivelati vani e nemmeno un’altra prova per aumentare la pressione nelle tubature, sperando di far aderire meglio il connettore, aveva portato a progressi rendendo necessario il rinvio del lancio.

Queste manovre, come tutte le altre di preparazione del razzo nelle ultime ore prima del lancio, possono essere svolte solamente a distanza per motivi di sicurezza e ciò riduce le possibilità di intervento da parte dei tecnici. Nelle ore e nei giorni dopo il rinvio, la NASA ha analizzato dati e stato del sistema di distacco, notando che alla perdita di idrogeno potrebbe avere contribuito un comando errato verso una valvola, che avrebbe poi compromesso la tenuta del connettore per trasferire l’idrogeno nel razzo.

Officina
Lunedì 6 settembre, la NASA ha deciso di procedere con alcuni interventi direttamente sulla rampa di lancio, ora che è di nuovo avvicinabile, evitando di riportare SLS all’interno del Vehicle Assembly Building (VAB), il grande edificio dove viene assemblato e configurato il razzo. Rimanendo sulla rampa si potranno effettuare alcuni test con il propellente liquido che non possono essere eseguiti nel VAB. Ci sono però alcuni sistemi di sicurezza che possono essere revisionati solo all’interno dell’edificio, come le cariche esplosive che possono distruggere il razzo se questo dovesse finire fuori controllo subito dopo il lancio: devono essere controllate ogni 25 giorni ed è quindi probabile che ci sia comunque nelle prossime settimane un trasferimento al VAB.

Problema noto
Che l’idrogeno fosse uno dei punti più delicati di SLS era noto da tempo, considerato che lo stesso elemento era stato la principale causa di problemi ricorrenti con gli Shuttle. In media, ogni lancio dello Shuttle fu rinviato una volta e in alcuni casi si arrivò a cinque rinvii per una stessa missione. Spesso la responsabilità era del sistema di rifornimento dell’idrogeno e delle difficoltà nel contenere le perdite.

Alcuni hanno osservato che con SLS si sarebbero potuti evitare molti problemi se si fossero scelti combustibili di altro tipo come il metano o il cherosene. La NASA non aveva però grandi possibilità di scelta: quando nel 2010 il Congresso – che decide periodicamente quanti soldi dare all’agenzia spaziale – autorizzò lo sviluppo di SLS chiese che fossero impiegate tecnologie già disponibili a partire da quelle degli Shuttle e che fossero mantenute le stesse storiche aziende appaltatrici del settore spaziale statunitense molto influenti a Washington, DC. In molti stati ci sono società che da decenni lavorano per la NASA e che sono tenute in grande considerazione dai rappresentanti politici, perché danno lavoro a migliaia di persone.

Persone in attesa del lancio di Artemis 1 di lunedì 29 agosto, poi rinviato, nei pressi di Cape Canaveral, Florida (AP Photo/Phelan M. Ebenhack)

Vincolando la NASA all’uso di tecnologie già sviluppate, il Congresso confidava di poter risparmiare sullo sviluppo del nuovo razzo e al tempo stesso di garantire all’industria spaziale una certa continuità con i contratti. Quella scelta avrebbe condizionato le successive evoluzioni del programma lunare statunitense, da pochi anni diventato Artemis con un ambizioso progetto di coinvolgimento di altri soggetti privati. SLS avrebbe nel frattempo accumulato enormi ritardi sforando di svariate decine di miliardi di dollari i piani di spesa iniziali.

Nonostante queste e altre difficoltà, negli ultimi anni lo sviluppo di SLS è proseguito e ha riguardato vari test prima di arrivare sulla rampa di lancio, che hanno riguardato anche il sistema di rifornimento del razzo. Comprendendo i tentativi di lunedì 29 agosto e di sabato 3 settembre, la NASA ha provato almeno per sei volte a fare il pieno al razzo, senza riuscire a completare l’operazione. I fallimenti e i rinvii, non così insoliti nei lanci spaziali, hanno comunque permesso alla NASA di raccogliere dati e fare analisi che si potranno rivelare utili in vista del prossimo tentativo di lancio. Una data non è stata ancora comunicata, ma ormai è probabile che la nuova avventura verso la Luna non inizi prima del prossimo ottobre. Lo Spazio è difficile.