Perché è stata bocciata la Costituzione in Cile
È stata considerata troppo ambiziosa e progressista da un grosso pezzo di elettori, in un paese ancora molto conservatore nonostante le proteste degli ultimi anni
L’ampia vittoria del “no” al referendum sulla nuova Costituzione in Cile, che si è tenuto domenica, è stata relativamente inaspettata: nonostante i sondaggi realizzati nei giorni precedenti avessero previsto il rifiuto del nuovo testo, in pochi si attendevano una sconfitta così netta del sì (cioè del fronte dell’Apruebo, “approvo”). In parte la sorpresa è stata dovuta al fatto che nel referendum tenuto soltanto due anni fa sulla possibilità di introdurre una nuova Costituzione, che doveva sostituire quella scritta nel 1980 durante la dittatura militare di Augusto Pinochet, il 78 per cento dei votanti si era detto favorevole: sembrava quindi esserci un ampio consenso verso l’introduzione di un nuovo testo.
Poi le cose erano cambiate e le critiche al nuovo testo erano man mano aumentate.
Alcuni hanno sostenuto che la nuova Costituzione fosse molto ambiziosa e progressista, troppo per un paese così conservatore come il Cile. Il suo contenuto è stato vissuto da molti come divisivo su alcune questioni ritenute assai centrali, come la plurinazionalità introdotta per salvaguardare i diritti delle popolazioni indigene; ed è sembrato voler comprendere troppi temi e garantire tutti i principi ma senza definire chiaramente i metodi per renderli poi effettivi.
Lo stesso processo di redazione è stato contestato in diversi momenti, soprattutto dai conservatori, che hanno partecipato poco all’intero processo.
Alle elezioni di giugno 2021 per eleggere i 155 membri dell’Assemblea costituente che doveva scrivere il testo (78 uomini e 77 donne), la partecipazione dei cileni conservatori era stata molto ridotta. L’Assemblea costituente era stata vista come una sovrarappresentazione delle componenti più radicali, le cui esternazioni nel corso dei lavori avevano alimentato polemiche e aumentato le diffidenze sul testo.
Secondo un sondaggio del Centro di Studi Pubblici (CEP), oltre la metà dei motivi elencati dalle persone che volevano votare per il “no” erano legati a una visione critica della composizione dell’Assemblea costituente.
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La necessità di raccogliere tutte le istanze aveva poi portato alla redazione di un testo di grandi dimensioni, con 388 articoli: si garantivano diritti sociali più ampi, si definiva una piena parità di genere, si salvaguardavano le peculiarità delle popolazioni indigene, si introduceva una rigida regolamentazione ambientale, si impegnava il governo a una maggiore responsabilità nei programmi di welfare. I critici avevano sostenuto che fossero troppe cose tutte insieme, e che principi generali inattaccabili non fossero affiancati a dettagli sulla loro applicazione reale.
Guillermo Hoffmann, analista politico cileno, ha detto a CNN: «Hanno creato soprattutto incertezza su come la Costituzione potesse poi essere messa in pratica».
Alcuni temi e alcune innovazioni avevano diviso l’elettorato anche nel merito: il principale tema di discussione era stato la plurinazionalità del Cile futuro. Il concetto, introdotto per garantire i diritti delle popolazioni mapuche e sanare il conflitto in corso da tempo nelle regioni meridionali, era stato vissuto da parte dell’elettorato come un pericolo per l’unità del paese, complici anche alcune strumentalizzazioni e fake news. Nella regione meridionale dell’Araucanía, dove la comunità mapuche è numerosa e le sue rivendicazioni sui diritti della terra sono viste da molti con sospetto, il “sì” non ha raggiunto il 27 per cento.
L’introduzione in ambito giuridico di alcuni elementi della giustizia indigena era stato criticato perché rischiava di mettere in crisi il principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. La sostituzione del Senato con una camera delle regioni, dai poteri non chiaramente definiti, era stato definito dai critici un “bicameralismo asimmetrico” di difficile gestione a livello politico.
Alcuni principi garantiti, come la salvaguardia della salute dalla nascita alla morte e il diritto a un’alimentazione adeguata, seppur chiaramente condivisibili, si prestavano a problemi anche legali nella loro fase attuativa. Le riforme ambientali presupponevano che l’acqua diventasse bene pubblico, sollevando l’opposizione non solo delle imprese private, ma anche di parte dell’importante settore agricolo, preoccupato di come il cambiamento potesse coinvolgere proprietà e utilizzo dei terreni, spesso concentrati in latifondi.
La campagna elettorale era stata poi caratterizzata da un’ampia diffusione di fake news, specialmente sui social network. Una delle più circolate riguardava il fatto che la nuova Costituzione non difendesse la proprietà privata delle abitazioni. Il fronte del sì ha dovuto esprimersi pubblicamente per smentire questa tesi, nonché la falsa denuncia che l’aborto sarebbe stato permesso fino al nono mese.
Lo stesso fronte favorevole all’approvazione aveva più volte fatto intendere che qualche revisione sarebbe stata necessaria dopo l’eventuale sì al referendum, e nel corso dei mesi era passato il messaggio che l’approvazione non fosse l’unica strada percorribile.
Domenica, dopo la diffusione dell’esito del referendum, il presidente cileno Gabriel Boric, eletto lo scorso dicembre e capo di governo più di sinistra in Cile dai tempi di Salvador Allende, ha detto di non considerare finito il processo costituente. Non sarà facile ricominciare daccapo dopo le fatiche e le tensioni degli ultimi anni, ma una via alternativa potrebbe essere il lavoro di una commissione più ristretta di politici ed accademici che lavorino a un nuovo testo. Intanto lo schieramento di destra si è detto disponibile a modifiche della Costituzione in vigore.
Quest’ultima scelta parrebbe un ridimensionamento degli obiettivi eccessivo per Convergencia Social, il partito di Boric, e per la maggioranza che sostiene le istanze di rinnovamento che hanno portato alla sua elezione.