Gli umani che insegnano a migrare agli ibis eremiti
26 uccelli di una specie che si era estinta in Europa hanno volato dall'Austria alla Toscana dietro a due donne in paraplano
di Ludovica Lugli
Nelle ultime settimane nei cieli dell’Alto Adige, del Veneto, della Romagna e della Toscana qualcuno potrebbe aver visto qualcosa di inconsueto: due paraplani, piccoli mezzi aerei che somigliano a parapendii ma hanno un motore, seguiti da più di venti uccelli neri. Dal 16 agosto al 2 settembre si è infatti svolta la quindicesima migrazione a guida umana degli ibis eremiti, una specie a forte rischio di estinzione che un gruppo di scienziati austriaci e tedeschi sta cercando di reintrodurre in Europa.
Gli ibis del gruppo hanno circa cinque mesi e sono nati in uno zoo. Sono stati separati dai genitori a pochi giorni dalla nascita, per essere cresciuti da due “madri adottive” umane e poter imparare a migrare verso sud in vista del periodo più freddo dell’anno. La migrazione infatti non è un processo del tutto istintivo, gli uccelli che la praticano devono seguire i propri genitori per conoscere in che direzione andare, e se cresciuti in cattività non hanno riferimenti. Per questo per aumentare la popolazione selvatica di ibis eremiti si usa il metodo della migrazione a guida umana.
Il viaggio, cominciato a Seekirchen am Wallersee, a nord-est di Salisburgo, si è svolto in diverse tappe. Gli ibis possono volare anche per 350 chilometri al giorno, ma la migrazione è necessariamente scandita da varie pause: in parte dovute al rifornimento dei paraplani, al riposo e ai pasti di ibis e umani, in parte alle condizioni meteorologiche.
L’ultima settimana di agosto gli ibis e le persone che li hanno guidati e accompagnati sono rimasti per qualche giorno in un piccolo aeroporto sportivo nella campagna di Lugo, in Romagna. La quindicina di ricercatori e assistenti poteva sembrare un gruppo di campeggiatori in vacanza, per via delle tende in cui dormiva e di un paio di piccoli furgoni, se non fosse stato per la grande voliera – una gabbia molto spaziosa e attrezzata con pali su cui appollaiarsi – allestita vicino agli hangar e per i 26 ibis al suo interno.
A frequentare sia il gruppo umano che quello di volatili erano solo due giovani donne con indosso magliette gialle, le madri adottive degli ibis.
«Loro sono la ragione per cui ci seguono», ha spiegato Bernhard Gönner, zoologo e amministratore del Waldrappteam, il gruppo di ricerca. La migrazione a guida umana infatti funziona grazie allo stretto legame tra gli ibis e le donne che li hanno nutriti e accuditi finora, che si basa sul meccanismo dell’imprinting filiale: è quel fenomeno per cui gli uccelli imparano a riconoscere un oggetto o un altro animale – che normalmente è la madre, o entrambi i genitori biologici – nel primo periodo di vita. Per questo possono essere indotti a seguire ovunque una persona. Con uno specifico allenamento, anche se questa sale su un mezzo volante a motore.
Gli ibis eremiti (Geronticus eremita secondo la nomenclatura scientifica, mentre Waldrapp è il nome in tedesco) sono una delle tante specie di ibis (uccelli diffusi in tutto il mondo), ma tra le poche a vivere in Europa. Come gli altri ibis, hanno un becco lungo e ricurvo, adatto per la ricerca di insetti, lombrichi e altri invertebrati nel terreno: sono uccelli che pascolano.
Il piumaggio è nero e non c’è dimorfismo sessuale: significa che femmine e maschi sono fatti allo stesso modo, e anche se in media i maschi sono più grandi, non è possibile distinguere il sesso solo osservandoli. Anche gli ornitologi hanno bisogno di un test genetico per sapere se uno specifico ibis eremita è femmina o maschio.
Si possono però distinguere facilmente gli uccelli più giovani da quelli adulti. I primi infatti hanno la testa coperta da piume grigie, che perdono crescendo. Gli adulti sono calvi, hanno una specie di ciuffo sulla nuca fatto di lunghe penne che si allargano nei momenti di eccitazione e un piumaggio più lucente.
Sono uccelli sociali: vivono in colonie che in passato contavano anche migliaia di individui e tendenzialmente si spostano in gruppo. Si salutano alzando e poi abbassando il collo, un movimento accompagnato dal loro verso più tipico, una specie di “chrrupp” difficilmente imitabile. Di solito quando un ibis rivolge questo movimento a un altro, tutti quelli nelle vicinanze ricambiano.
I genitori adottivi umani del Waldrappteam fanno un gesto simile con la mano e il polso quando crescono i giovani ibis. Li abituano anche al richiamo cantilenato «Komm komm Waldy, komm komm» («Vieni vieni piccolo ibis, vieni vieni»), che usano per farsi seguire in volo.
I giovani ibis sono in generale «curiosi e con un temperamento amichevole», ha raccontato Lisa Kern, studente di biologia e geografia all’Università di Karlsruhe, in Germania, e una delle due madri adottive del Waldrappteam di quest’anno. «Ma ogni ibis ha una propria personalità. Alcuni sono molto mansueti, o timidi, e preferiscono non essere toccati spesso. Però quando stiamo sedute senza far nulla capita che si avvicinino da soli e si accoccolino spontaneamente sulle nostre gambe. Poi ci sono quelli dominanti, che all’ora dei pasti vogliono mangiare per primi».
Le madri adottive vivono per mesi e quasi tutto il giorno a stretto contatto con gli ibis, e quindi li distinguono uno a uno: «Le loro facce sono molto diverse, sia per gli occhi che per la disposizione delle piume, che possono essere nere, bianche o grigie».
A ogni ibis poi viene assegnato un nome, anche se spesso è del genere sbagliato: sono scelti alla nascita degli uccelli, ma solo quando hanno due mesi di vita si possono fare i test genetici per scoprirne il sesso, impossibile da stabilire solo guardandoli. «Quando si sceglie un nome particolarmente virile si scopre sempre che lo si è dato a una femmina», ha scherzato Gönner. Quest’anno è successo che l’ibis chiamato Magnus si è rivelato non solo una femmina, ma anche la più piccola di tutta la nidiata.
Kern aveva collaborato per la prima volta con il Waldrappteam nel 2019, per uno stage, e aveva fatto amicizia con Helena Wehner, una delle madri adottive di quell’anno. Alcuni mesi fa Wehner le ha detto di non avere una compagna per rifarlo – i genitori adottivi sono sempre due, dato che in natura gli ibis sono allevati da madre e padre insieme – e le ha chiesto se fosse interessata all’esperienza.
I genitori adottivi possono essere sia donne che uomini, ma secondo il protocollo sviluppato da Johannes Fritz, fondatore e direttore del progetto di reintroduzione, devono essere dello stesso sesso per ogni generazione perché il dimorfismo umano può confondere gli ibis: donne e uomini hanno un aspetto e voci diverse, ed è meglio che i due genitori adottivi risultino in un certo senso intercambiabili. Anche per questo indossano sempre magliette, felpe, maglioni e impermeabili – a seconda delle condizioni meteorologiche – dello stesso colore, cioè il giallo, scelto perché ben riconoscibile dagli uccelli.
Solo di magliette le madri se ne portano dietro una quindicina. «Il giallo mi piaceva come colore, ma non per i vestiti e non avevo niente di giallo nel mio armadio fino a pochi mesi fa», ha detto Kern.
Per evitare che gli ibis diventino troppo fiduciosi nei confronti delle persone, cosa che li danneggerebbe nel loro futuro selvatico, o dipendenti dal sostegno umano, possono essere avvicinati solo dai genitori adottivi e il resto del gruppo di ricerca si tiene a distanza. Si deve anche evitare di indossare vestiti gialli, per non rischiare di confondere gli uccelli.
Kern sostiene di non avere preferiti tra gli ibis, anche perché se così fosse potrebbe compromettere il legame con gli uccelli, che deve essere solido perché la migrazione riesca. Tuttavia ha ammesso di sentirsi particolarmente apprensiva nei confronti di Pinella, che appena nata aveva dei problemi con l’alimentazione: «Ogni giorno passavo ore e ore a cercare di farla mangiare, quindi la conosco particolarmente bene. Ma voglio bene a tutti allo stesso modo».
Fino al Cinquecento gli ibis eremiti si potevano vedere in Svizzera, nel sud della Germania, in Austria e in Ungheria, ma anche più a sud, in Spagna, in Italia, nei Balcani e in Grecia, a seconda delle stagioni. D’inverno probabilmente migravano in Nord Africa. Tuttavia venivano estesamente cacciati, sia per la carne che per le uova, e già all’inizio del secolo successivo erano praticamente scomparsi dall’Europa.
Le popolazioni superstiti smisero di migrare e si rimpicciolirono a causa dell’interferenza umana. Oggi ne resta una sulla costa del Marocco, che grazie agli sforzi internazionali di conservazione conta 600 individui e da cui derivano gli ibis eremiti degli zoo, e un’altra nel sud-est della Turchia, composta da circa 250 uccelli. Entrambe sono sedentarie.
Ci sono poi le piccole popolazioni frutto delle recenti reintroduzioni in Europa, che sono di tre tipi. In Andalusia, nel sud della Spagna, c’è circa un centinaio di ibis sedentari. Sia in Austria che in Italia ci sono invece gruppi più piccoli che vivono in semilibertà, cioè potendo volare liberamente quando fa caldo, ma all’interno di voliere d’inverno, e ricevono cibo dalle persone. Due si trovano rispettivamente nel Centro di ricerca Konrad Lorenz di Grünau, a est di Salisburgo, e nello zoo di Rosegg, verso il confine con la Slovenia, da cui peraltro provengono i giovani ibis della migrazione a guida umana di quest’anno; un terzo vive nell’Oasi dei Quadris di Fagagna, in provincia di Udine. Infine c’è la popolazione migratoria reintrodotta dal Waldrappteam, che all’inizio del 2022 contava circa 200 uccelli.
La maggior parte dei nuovi nati di quest’anno, che si spera potranno aggiungersi al conteggio di dicembre, sono figli di generazioni già ben inserite in natura e autonome e per questo impareranno a migrare seguendo i genitori, quando questi si sposteranno nel sud della Toscana tra settembre e ottobre. (La migrazione a guida umana viene fatta in anticipo perché servono condizioni meteorologiche più stabili per far volare i paraplani).
Lì, e per la precisione nell’Oasi della Laguna di Orbetello del WWF, in provincia di Grosseto, incontreranno i giovani già arrivati grazie alla migrazione a guida umana, che contribuiranno ad aumentare la popolazione complessiva. L’intervento del Waldrappteam che permette di far vivere in natura uccelli nati in cattività serve appunto per far crescere più rapidamente la popolazione. La nuova generazione di ibis vivrà tutta nei dintorni di Orbetello per circa tre anni, fino al raggiungimento della maturità sessuale: a quel punto gli uccelli sentiranno l’istinto a tornare verso Salisburgo, dove sono nati, per accoppiarsi, e sapranno come arrivarci perché ricorderanno la prima migrazione.
Da programma, il Waldrappteam continuerà a fare migrazioni guidate fino al 2028, anno in cui si spera che il numero degli ibis migratori europei raggiunga e superi una soglia minima per prosperare senza ulteriori interventi umani: tra i 350 e i 400 individui secondo le stime dei ricercatori. Il progetto è finanziato per il 60 per cento dall’Unione Europea attraverso il programma LIFE, istituito per sostenere studi e iniziative a tema ambientale.
L’idea di reintrodurre gli ibis eremiti in Europa e farlo attraverso la migrazione a guida umana si è sviluppata a partire dalla fine degli anni Novanta al Centro di ricerca Konrad Lorenz. Lì si studia il comportamento di uccelli come oche e corvi continuando le ricerche dello scienziato austriaco a cui l’ente deve il suo nome, che è considerato il fondatore dell’etologia e che è stato il primo a comprendere i meccanismi dietro all’imprinting.
Tutto cominciò con uno studio per capire le caratteristiche comportamentali degli ibis eremiti e con la creazione di una colonia sedentaria. Presto si osservò che in autunno gli uccelli avevano l’istinto a volare via, come i loro antenati, ma che non sapevano dove andare: uno si allontanò verso i Paesi Bassi, un altro addirittura raggiunse San Pietroburgo, sbagliando completamente direzione. Così Johannes Fritz pensò che forse gli ibis avrebbero potuto ricominciare a migrare se solo gli fosse stato insegnato dove andare.
A partire dagli anni Novanta l’imprinting era già stato sfruttato negli Stati Uniti per abituare oche e gru a seguire velivoli ultraleggeri, inizialmente per poter fare delle riprese aeree ravvicinate del volo, poi per influenzare la migrazione stagionale nel progetto Operation Migration (la tecnica fu anche popolarizzata da un film del 1996, L’incredibile volo), così si decise di provare la stessa cosa con gli ibis eremiti. La laguna di Orbetello fu scelta come destinazione perché era l’ambiente protetto più settentrionale, e dunque più semplice da raggiungere, dove gli ibis potessero vivere in autonomia d’inverno.
A Orbetello i giovani ibis da poco migrati vivranno con le loro madri adottive per un altro mese. Inizialmente continueranno a stare in una voliera e a essere nutriti dalle madri, ma progressivamente passeranno sempre più tempo da soli e all’esterno. In modo graduale dovranno anche imparare a cacciare gli insetti per poter mangiare: le madri ridurranno i pasti offerti agli ibis da tre a uno al giorno.
«A volte provo a immaginare come sarà dargli da mangiare per l’ultima volta sapendo che il giorno dopo non succederà di nuovo e che saranno liberi, e divento un po’ triste», ha raccontato Kern: «Ma anche felice perché quello è il nostro scopo, vogliamo che siano liberi».
Nell’ultima settimana insieme le madri adottive metteranno addosso a ogni ibis un trasmettitore GPS alimentato con un piccolo pannello solare che permetterà di seguirne la posizione in futuro. Chiunque potrà farlo grazie all’app gratuita Animal Tracker, sviluppata dal Waldrappteam insieme alla Società Max Planck, una delle principali istituzioni tedesche nel campo della ricerca di base: anche senza registrazione permette di vedere in qualunque momento dove si trovano tutti gli ibis eremiti del progetto LIFE (oltre ad altri uccelli di altri progetti di ricerca) e di caricare fotografie o annotazioni su eventuali avvistamenti. Kern quindi potrà continuare a informarsi sui suoi “figli” costantemente, così come chiunque si appassioni alla reintroduzione della specie, su cui vengono dati aggiornamenti sia su Facebook che su Instagram.