Tutto sulle matite che useremo per votare
Sono una costante delle elezioni dal 1946, il ministero dell'Interno le marchia una ad una e rimpingua la sua fornitura ogni anno
Anche alle prossime elezioni politiche del 25 settembre le scelte degli elettori saranno realizzate con un segno tracciato su una scheda cartacea con una delle matite in dotazione al seggio elettorale. Le matite sono l’unico mezzo accettato per esprimere il voto e resistono immutate in questa funzione dalla prima consultazione del Secondo dopoguerra, il referendum fra monarchia e repubblica del 2 giugno 1946. Si tratta di matite non comuni, e sono quasi una peculiarità italiana.
Anche in altri paesi europei vengono usate per votare, ma in quasi nessuno sono l’unica possibilità: dove non siano presenti macchine digitali per il voto, come invece accade ad esempio in Francia, agli elettori è spesso concesso di esprimere la propria scelta con vari strumenti, compresi penne e matite normali, anche portate da casa.
In Italia invece la matita copiativa – cioè dotata di particolari sistemi che rendono la sua traccia indelebile – è l’unico strumento riconosciuto e utilizzabile. Fanno eccezione soltanto gli elettori che votano all’estero, per corrispondenza, che devono usare una penna nera o blu.
La matita copiativa rimane l’unica possibilità nei seggi in parte per la volontà di mantenere una tradizione, ma soprattutto perché presenta alcuni indubbi vantaggi rispetto a strumenti alternativi. Quello principale è di essere indelebile. Oltre alla grafite contiene altri pigmenti: alcuni solubili, altri insolubili in acqua. Il segno lasciato dalle matite copiative non può essere quindi cancellato perché, anche qualora la gomma riesca a rimuovere la grafite, i pigmenti colorati rimangono.
La scheda elettorale ha inoltre una superficie abrasiva che rileva ogni segno tracciato, anche quello senza inchiostro o grafite. Nonostante alcune polemiche che tendono a riproporsi ad ogni consultazione, con elettori che denunciano il fatto che il tratto possa essere cancellato, i segni delle matite copiative sulle schede elettorali rimangono visibili in controluce, anche se il tratto è poco marcato.
Nel 2013, a dieci giorni dalle elezioni politiche, il leader del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo consigliò agli elettori del Movimento 5 Stelle di «ciucciare la matita» sostenendo che fosse l’unico modo per renderla indelebile ed evitare brogli. In seguito sostenne che si trattasse di una battuta, ma in molti lo presero sul serio e furono necessarie rassicurazioni ufficiali. Nel 2016 il cantante Piero Pelù fece mettere a verbale al suo seggio che a suo dire la matita con la quale aveva votato al referendum costituzionale non era indelebile.
Anche altri strumenti, come le comuni penne a sfera, non sono cancellabili, ma potrebbero smettere di funzionare o rilasciare troppo inchiostro sulla scheda, rendendola illeggibile. Le matite inoltre riducono il rischio di lasciare segni sulle schede sottostanti se l’elettore le sovrappone per sbaglio al momento del voto (cosa che comunque bisognerebbe evitare), e non fanno trasparire segni sull’esterno della scheda una volta piegata, anche se si è calcato molto.
Le matite copiative devono essere uguali per tutti e quindi essere fornite dal ministero dell’Interno. Vengono consegnate insieme al materiale elettorale e sono proprietà dello Stato: devono presentare la scritta “Ministero dell’Interno – Servizio Elettorale”. Alcune hanno anche un numero di serie.
Il presidente di seggio deve registrare il numero di matite ricevuto a inizio delle procedure e raccoglierle alla fine, riconsegnandole insieme al resto del materiale. Una scheda in cui il voto, anche se leggibile, sia stato espresso con altro mezzo dev’essere considerata nulla, mentre gli elettori che non la restituiscono rischiano una multa fra i 103 e 309 euro. Le sanzioni sono per lo più teoriche: non si segnalano casi di procedimenti, anche se nelle elezioni del 2013 in una sezione elettorale di Roma la sparizione di una matita causò una ricerca definita “casa per casa” da parte degli scrutatori del seggio.
Le stesse matite possono essere riutilizzate in diversi appuntamenti elettorali. Ogni anno il ministero dell’Interno fa una stima di quante gliene possano servire e ne ordina ai fornitori un certo numero. La definizione di acquisti programmati e il riutilizzo del materiale permette la gestione anche di eventi non previsti come le attuali elezioni anticipate. Nel 2016 il ministero dell’Interno, rispondendo proprio a Pelù, aveva comunicato di averne comprate 130.000 da utilizzare per due diversi referendum.
Per la scelta fra monarchia e repubblica del 1946 ne furono necessarie 600.000, che lo Stato acquistò da due aziende produttrici italiane, la Presbitero (al tempo leader del settore, tanto che il suo fondatore fu chiamato a scrivere la voce “matite copiative” dell’Enciclopedia Treccani) e la Lyra Italiana, pagandole 18 lire l’una. La multa per la sottrazione di una matita allora era ingente, pari a 3000 lire, scrive Giovanni Renzi, autore del libro “Matite: storia e pubblicità”.
Oggi, considerato che le sezioni elettorali per le elezioni politiche sono oltre 62.000 e che ognuna deve essere dotata di circa sei matite, si può valutare un impiego complessivo di una quantità vicina alle 380.000 matite, che nella maggior parte sono riutilizzate da precedenti consultazioni.
Quest’anno, con un bando pubblicato il 2 maggio e chiuso il 31 maggio, è stato definito l’acquisto di 130.000 matite copiative.
L’appalto per le nuove forniture del ministero dell’Interno è stato vinto dalla ditta Infinity Office s.r.l., con sede a Roma, che si definisce “specializzata nella commercializzazione e distribuzione di prodotti per ufficio”. Riceverà 127.400 euro, con un costo unitario per matita di 0,98 euro, analogo a quello degli scorsi anni: nella fornitura precedente il costo era stato di 0,97 a matita. Infinity Office spiega che al momento non può comunicare quale sia il fornitore, ossia l’azienda produttrice delle matite.
Quelle in uso da circa un decennio nelle consultazioni elettorali sono prodotte dall’azienda tedesca Faber-Castell, fondata nel 1761. È la più antica ma anche la più grande azienda produttrice di matite al mondo (oggi ha diversificato con quasi ogni prodotto di cancelleria), con dieci fabbriche in quattro continenti e filiali internazionali in ventidue paesi, Italia compresa. Produce ogni anno 2,3 miliardi di matite per un fatturato di 555 milioni di euro (i dati sono del 2020). Ha 8.000 dipendenti, di cui 1.000 in Germania, ed è di proprietà della stessa famiglia dalla fondazione.
Le matite copiative sono ormai un prodotto di nicchia della sua produzione, non sono più in catalogo per la vendita al dettaglio e vengono commercializzate solo in seguito a ordini specifici. Sono comparse per la prima volta sul mercato intorno al 1870, utilizzate per la firma di contratti e atti pubblici prima dell’invenzione della penna a sfera. Si differenziano dalle matite indelebili, che invece contengono del nitrato d’argento, perché sulla carta comune sono potenzialmente cancellabili, seppur con molti sforzi e non ottenendo un risultato che riporti la carta nella situazione originaria: rilasciano infatti un segno di un particolare colore se il loro tratto viene cancellato. Sono composte aggiungendo alla grafite del talco, un collante (gomma adragante) e un impasto di colorante solubile in acqua (blu di metilene o violetto di metile), cioè quello che si sparge sul foglio dopo il tentativo di cancellazione.
Per le votazioni per il presidente della Repubblica dello scorso gennaio deputati e senatori hanno invece utilizzato matite comuni e non copiative, dato che non esisteva rischio di brogli e di contestazioni al momento dello spoglio delle schede. In quel caso le matite erano prodotte dalla Koh-I-Noor Hardtmuth, azienda fondata a Vienna nel 1790 ma trasferitasi a Ceské Budejovice (Repubblica Ceca) nel 1848, e che dal 1952 ha una filiale italiana con sede a Binasco, in provincia di Milano. Produce anche matite copiative: in catalogo ne ha una blu.
– Leggi anche: Perché le matite comuni sono gialle?