La “maledizione dei Knicks” continua
La squadra NBA di New York era in trattativa per prendere uno dei più forti giocatori del campionato, Donovan Mitchell: ma anche questa volta è finita male
La stagione 2022-23 del basket NBA comincerà il 18 ottobre e queste sono settimane in cui si sviluppa il mercato dei giocatori. Giovedì si è realizzato uno degli scambi più importanti dell’estate: gli Utah Jazz hanno ceduto il loro miglior giocatore, Donovan Mitchell, ai Cleveland Cavaliers. È stato un movimento inatteso, che ha sorpreso e deluso soprattutto i tifosi dei New York Knicks. La squadra newyorkese aveva a lungo trattato con Utah per assicurarsi il giocatore che nei piani dei Knicks avrebbe potuto rilanciare un progetto sportivo che negli ultimi anni ha fatto registrare più fallimenti che stagioni positive.
Mitchell ha 26 anni, è una guardia tiratrice, è stato convocato negli ultimi tre All Star Game (le partite in cui giocano i migliori giocatori del campionato) ed è considerato, per le sue caratteristiche tecniche e per la capacità di leadership, uno dei pochi capaci di cambiare le sorti di una squadra.
In carriera ha più volte realizzato prestazioni da oltre 50 punti e ha una media di oltre 28 punti a partita in carriera nei playoff, il momento più decisivo della stagione NBA. In più è nato e cresciuto nel Queens, a New York, e sarebbe stato entusiasta di giocare per i Knicks.
Sources: The Cleveland Cavaliers are trading Collin Sexton, Lauri Markkanen, Ochai Agbaji, three first-round picks and two pick swaps to the Utah Jazz for Donovan Mitchell.
— Shams Charania (@ShamsCharania) September 1, 2022
New York ha trattato a lungo con i Jazz, ha anche presentato un’offerta ufficiale che consisteva in alcuni giocatori e tre scelte nei prossimi draft (il sistema che permette alle squadre NBA di aggiungere ogni anno i migliori giocatori giovani provenienti dal college o dall’Europa), ma non ha trovato un accordo definitivo ed è stata alla fine superata da Cleveland, che così aggiunge un ulteriore pezzo importante a una squadra giovane e ricca di talento che può diventare una candidata a posizioni di alta classifica nella parte Est della lega (la NBA è divisa in due grandi Conference).
New York invece rischia di andare incontro a un’altra stagione deludente e soprattutto non è riuscita ad aggiungere alla sua squadra quella “superstar” che i tifosi ma anche i dirigenti dei Knicks vorrebbero da tempo.
La grande delusione deriva anche dal fatto che New York è una delle città americane considerate dei “grandi mercati”, dove girano più soldi e dove i giocatori sono spesso contenti di andare (altri “grandi mercati” sono per esempio i Golden State Warriors, che giocano a San Francisco, i Los Angeles Lakers, i Boston Celtics e i Chicago Bulls).
I New York Knicks sono la società di maggior valore della NBA secondo Forbes, il Madison Square Garden, il loro palazzetto, è uno degli impianti sportivi più importanti al mondo, il marchio dei Knicks è fra i più riconoscibili dello sport americano, e la squadra è una delle uniche due rimaste sempre presenti nella NBA giocando nella stessa sede (insieme ai Boston Celtics).
A questa storia e a questo potere economico non corrispondono però da tempo risultati di rilievo: l’ultima vittoria di un campionato risale a quasi cinquant’anni fa, nel 1973; l’ultima partecipazione a una finale dei playoff al 1999; negli ultimi 10 anni New York si è guadagnata un posto nei playoff solo in due occasioni. Sono risultati particolarmente deludenti, che hanno esposto i Knicks a critiche e prese in giro.
Dal 1999 a capo dei Knicks (e dei New York Rangers di hockey) c’è James Dolan, figlio di Charles Dolan, fondatore delle televisioni via cavo e a pagamento Cablevision e HBO: la sua gestione è stata molto criticata e più volte i tifosi hanno chiesto, anche con manifestazioni pubbliche al Madison Square Garden, di cedere la squadra. Dolan però anche recentemente ha ribadito di non avere questa intenzione, soprattutto perché nonostante gli scarsi risultati i Knicks sono economicamente sani.
L’occasione sfumata con Donovan Mitchell ha però complicato i piani di rilancio: nella NBA le “superstar” non sono disponibili spesso (la guardia di Utah lo era diventata perché i Jazz stanno impostando un processo di ricostruzione con un gruppo più giovane). New York resta una destinazione molto apprezzata dai giocatori di alto livello, ma per un motivo o per un altro nell’ultimo decennio la società non è riuscita ad assicurarsi nessuno dei migliori, o ha effettuato scelte sbagliate.
In questi ultimi anni allenatori e dirigenti si sono succeduti senza trovare mai la formula vincente, anche perché a New York è difficile impostare progetti a lunga scadenza che non prevedano la possibilità di essere competitivi subito. Anche Phil Jackson, protagonista prima come allenatore e poi come dirigente di grandi cicli vincenti ai Bulls e ai Lakers, ha fallito e si è dovuto dimettere. Due anni fa la squadra è stata affidata a Tim Thibodeau, allenatore duro e sempre capace in carriera di ottenere risultati in breve tempo (anche se raramente ha fatto strada nei playoff).
Nel 2020-21 la squadra era tornata a risultati vincenti e ai playoff, uscendo al primo turno, ma la scorsa annata ha fatto un passo indietro. New York ha un buon gruppo di giocatori giovani (RJ Barrett, Mitchell Robinson, Obi Toppin, Immanuel Quickley, Quentin Grimes), ma nessun vero leader in grado di fare la differenza. Punta sul ritorno ad alti livelli di Julius Randle e in estate ha aggiunto Jalen Brunson, playmaker reduce dalla sua miglior stagione in carriera con Dallas, chiusa con 16 punti e quasi 5 assist a partita: ha firmato un contratto per quattro anni a 104 milioni di dollari.
Secondo quasi tutti gli esperti non è abbastanza per rendere New York una candidata a un ruolo importante nella prossima stagione, e forse nemmeno a una qualificazione ai playoff. Quella che la stampa newyorkese definisce la “maledizione dei Knicks” sembra destinata a continuare.
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