Ci sono anche altri progetti di rigassificatori
Oltre a Piombino e Ravenna sono in programma anche in Sardegna, Sicilia e Calabria, alcuni fermi da anni e molto contestati
Fino allo scorso anno erano probabilmente in pochi a sapere cosa fosse un rigassificatore, una parola diventata poi centrale nel dibattito politico per via della crisi energetica aggravata in seguito all’invasione russa in Ucraina. I due progetti di impianti per riportare allo stato gassoso il gas naturale liquefatto più citati sono quelli di Piombino e di Ravenna: entrambi sono stati autorizzati con una procedura d’emergenza dal governo, che ha nominato due commissari per farli installare il prima possibile con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dal gas russo.
Piombino e Ravenna hanno segnato la distanza tra alcuni partiti che si presentano alle elezioni del 25 settembre. La contrarietà ai nuovi impianti dichiarata da Sinistra Italiana e Verdi, alleati con il PD, è stato uno dei motivi principali citati da Carlo Calenda per giustificare l’uscita di Azione dall’alleanza di centrosinistra e la successiva fondazione del cosiddetto “terzo polo” insieme a Italia Viva di Matteo Renzi. Ma anche nel centrodestra c’è qualche problema a causa della contrapposizione tra i partiti a livello nazionale, tendenzialmente favorevoli ai rigassificatori, e la netta opposizione a livello locale, soprattutto a Piombino dove governa una giunta di centrodestra fortemente contraria al nuovo impianto.
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Nonostante siano gli unici citati nel dibattito politico e sui mezzi di informazione, Piombino e Ravenna non sono i due soli due rigassificatori che le società energetiche vorrebbero installare nei porti italiani. Ce ne sono almeno altri tre di cui si discute nei rispettivi territori: a Portoscuso, nel sud della Sardegna, a Porto Empedocle, in Sicilia, e a Gioia Tauro in Calabria. Tutti questi progetti potrebbero contribuire ad aumentare le forniture di GNL, gas liquefatto proveniente da paesi non collegati all’Italia da gasdotti, come gli Stati Uniti o il Qatar. Il GNL occupa un volume circa 600 volte inferiore rispetto alla forma gassosa, cosa che permette di trasportarne molto di più sulle metaniere.
Portoscuso è un comune di poco meno di cinquemila abitanti, noto perché nella frazione chiamata Portovesme si trova uno dei più importanti poli industriali della Sardegna. Oltre all’Alcoa, all’Eurallumina e alla Portovesme srl, dove vengono lavorati soprattutto alluminio e zinco, a Portovesme c’è una grande centrale a carbone che produceva una quota significativa dell’energia utilizzata in Sardegna e di cui Enel ha comunicato la dismissione da completare entro il 2025.
Il polo industriale è servito da un porto piuttosto piccolo da dove partono anche alcuni dei traghetti diretti a Carloforte, sull’isola di San Pietro, distante circa quaranta minuti in nave. Del rigassificatore si parla già dallo scorso anno: fa parte di un piano di SNAM, la società che gestisce la rete di gasdotti italiana, studiato per «soddisfarne il fabbisogno energetico e favorire la transizione ecologica dell’isola». In Sardegna, infatti, non c’è il metano. SNAM vorrebbe portarlo a Portovesme entro il prossimo anno.
La discussione ha subìto un’accelerazione dalla fine di marzo quando il governo Draghi ha approvato un decreto chiamato “Sardegna Energia”. A metà maggio, inoltre, SNAM ha annunciato di aver acquistato una nave metaniera, la Golar Arctic, da installare a Portovesme. La nave è stata pagata 269 milioni di euro e garantirà una capacità di stoccaggio fino a 140mila metri cubi di GNL. Il sistema di approvvigionamento è basato su un servizio di navi spola per collegare i rigassificatori di Livorno e La Spezia, già ora essenziali nel piano del governo per la diversificazione delle forniture che dovrebbe portare a un drastico calo della quota di gas importata dalla Russia.
Negli ultimi mesi, soprattutto da quando è cresciuta l’attenzione dei mezzi di informazione sul tema, SNAM ha assicurato più volte che i rigassificatori sono sicuri e a basso impatto ambientale: «a differenza dei terminali fissi, i rigassificatori galleggianti richiedono molto meno tempo per essere installati e, in prospettiva, possono essere trasferiti dove c’è maggiore necessità per esigenze di decarbonizzazione o di sicurezza energetica. Le navi rigassificatrici sono dotate di strumenti avanzati di rilevazione delle perdite e di sistemi di emergenza».
Il rigassificatore di Portovesme, secondo le intenzioni del governo e di SNAM, dovrebbe essere installato sulla banchina nella zona a est del porto per servire tutta l’area di Cagliari, ma i problemi e le opposizioni non mancano.
Innanzitutto c’è un limite dovuto allo scarso pescaggio, perché in quell’area del porto la profondità va da 3 a 11,5 metri. Lo scavo del fondale, atteso da anni, non è mai stato fatto per via di un contenzioso legale iniziato nel 2005 dall’azienda che costruì la banchina. Nel 2015 vennero garantiti altri 13 milioni di euro per completare lo scavo e bonificare i fondali da detriti e rifiuti pericolosi, ma a sei anni di distanza dall’assegnazione dell’appalto i lavori non sono mai iniziati e il problema del pescaggio non è mai stato risolto.
Un altro problema rilevante è emerso a luglio in seguito alla diffusione di un parere del dipartimento ambiente e salute dell’Istituto superiore di sanità (ISS) nell’ambito della valutazione di impatto ambientale (VIA), la stessa procedura di cui si richiede l’esclusione per Piombino e Ravenna. L’Istituto superiore di sanità ha esaminato con attenzione la puntuale situazione di Portovesme per individuare le possibili ripercussioni in un’area già fortemente industrializzata. Tra le altre cose, l’ISS ha esaminato tutti i documenti presentati dalla SNAM, che nei mesi scorsi aveva preparato diverse analisi sull’ambiente e sulla salute in vista della valutazione di impatto ambientale.
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In sostanza, i tecnici dell’ISS dicono che a Portovesme non si dovrebbe installare un rigassificatore perché rischioso per la salute degli abitanti. «Si ritiene che il progetto proposto non sia idoneo per questo territorio in quanto capace di determinare un impatto, in particolare sulla matrice aria, che va ad aggiungersi a quello già presente», si legge nel documento dell’ISS. «Questa situazione determina un contributo aggiuntivo alle concentrazioni ambientali degli inquinanti in aria, che si riflette in un aumento dell’esposizione per la popolazione residente, a fronte del quale si configura la possibilità di rischi non trascurabili per la salute».
Anche il comune di Portoscuso è da sempre contrario al rigassificatore. Secondo il sindaco Ignazio Atzori, la banchina nella zona a est del porto è stata pensata per allontanare il traffico merci dal centro abitato e in un certo senso migliorare l’impatto ambientale in un’area già molto industrializzata. Un nuovo rigassificatore, dice il sindaco, renderebbe vani tutti gli sforzi fatti e sarebbe un ostacolo per l’insediamento di altre attività produttive come il progetto di nuovi cantieri navali che potrebbero garantire nuove opportunità di lavoro in un territorio consumato dall’industrializzazione e oggi in forte crisi. «Anche il turismo, ora in ripresa, avrebbe conseguenze significative», dice Atzori. «Siamo una piccola comunità e non abbiamo la forza di rispondere alle iniziative legali di SNAM. Stanno facendo una grave ingiustizia a danno di un territorio povero e disastrato».
Il piano di SNAM prevede l’installazione di altri due rigassificatori in Sardegna, nel porto di Porto Torres, sempre con una nave metaniera, e a Oristano con un impianto nell’entroterra: l’obiettivo è creare delle dorsali di gas, cioè reti locali di gasdotti collegati ai tre impianti. A differenza del rigassificatore di Portovesme, al momento non sembrano esserci particolari rilievi o contestazioni locali a questi due impianti.
Tuttavia, l’orientamento generale di puntare sul gas ha sollevato diverse obiezioni da parte di associazioni ambientaliste locali. «La prospettiva per la Sardegna non può essere che l’aumento dell’energia prodotta da fonti rinnovabili», dice Vincenzo Tiana, responsabile del settore energia di Legambiente Sardegna. «Per incentivare la transizione energetica possono essere utili piccoli depositi di GNL sulla costa, da smantellare progressivamente con la diminuzione della domanda di gas. Non siamo contrari al gas in generale, ma a impianti giganteschi come quello previsto a Portovesme».
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Anche a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, in Sicilia, ci sono diversi pareri contrari al progetto di un nuovo rigassificatore in porto, in questo caso proposto dalla società Nuove Energie controllata da Enel. Di questo progetto da 8 miliardi di metri cubi di gas all’anno si discute già da molti anni e molte delle procedure di autorizzazione sono state approvate: la valutazione di impatto ambientale risale al 2008, a cui seguirono ricorsi al tribunale amministrativo regionale e al Consiglio di Stato, conclusi nel 2010. Nel 2013, tre anni dopo l’inizio dei lavori, il cantiere venne sequestrato per presunte infiltrazioni mafiose e si dovette aspettare fino al 2016 per il dissequestro dell’area.
Come dimostra questa serie di passaggi non solo burocratici, il progetto di Porto Empedocle è diverso rispetto a Piombino, Ravenna o Portoscuso perché in questo caso non sono state fatte procedure d’emergenza. Anzi, le valutazioni sono andate per le lunghe e il dialogo con gli enti locali non è mancato. Ma la posizione del comune e di molte associazioni ambientaliste è rimasta comunque contraria.
All’inizio di aprile l’amministratore delegato di Enel, Francesco Starace, ha confermato l’intenzione dell’azienda di riprendere l’investimento «che era purtroppo stato messo in naftalina sette anni fa da parte dei governi precedenti». Il sindaco di Porto Empedocle, Calogero Martello, ha annunciato di voler promuovere un referendum tra gli abitanti del comune sull’opportunità di installare il nuovo impianto nel porto.
Un nuovo parere contrario è stato dichiarato a maggio dalla soprintendenza di Agrigento. Il soprintendente Michele Benfari ha scritto all’Unesco per denunciare l’impatto dell’opera sul parco archeologico della Valle dei Templi: «tale complesso industriale provocherebbe un drastico cambiamento del paesaggio in prossimità dell’area archeologica di Agrigento, proprio al confine della sua zona cuscinetto», ha detto Benfari. «Gli apprestamenti per la rigassificazione modificherebbero in modo permanente la percezione visuale dei resti archeologici monumentali dai principali punti di vista: dall’acropoli della città antica, come pure dalla collina dei templi, verso il mare».
Anche il progetto di Gioia Tauro, in Calabria, è piuttosto datato. Le prime richieste di autorizzazione risalgono al 2005: l’intenzione era di installare un impianto da 12 miliardi di metri cubi all’anno di GNL. Per ben due volte, però, il Consiglio superiore dei lavori pubblici ha dato parere negativo ai documenti presentati dalla società proponente, Lng Medgas, controllata al 70% da Fingas, società a sua volta partecipata da Iren e Sorgenia, due grosse aziende energetiche. Tra le altre cose, il Consiglio superiore dei lavori pubblici rilevò che i documenti erano incompleti e soprattutto che l’area individuata è a forte rischio sismico. Nel 2013 il progetto si è fermato.
All’inizio di marzo il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini ha parlato della possibilità di riprendere il progetto ormai fermo. «È chiaro che con la situazione che riguarda attualmente i limiti di approvvigionamento energetico, anche questa ipotesi verrà attentamente valutata», ha detto. Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, è favorevole e ha più volte sollecitato il governo a riprendere le procedure, ma le dimissioni di Draghi e la campagna elettorale hanno complicato le cose.