Per l’ONU la Cina potrebbe aver commesso crimini contro l’umanità nello Xinjiang
Lo dice un atteso e importante rapporto, che conferma la presenza dei campi di prigionia pur non parlando di «genocidio»
Mercoledì l’ONU ha pubblicato un rapporto in cui accusa la Cina di aver violato i diritti umani nella regione occidentale dello Xinjiang commettendo «crimini internazionali, in particolare crimini contro l’umanità». Il rapporto era molto atteso perché la sua pubblicazione veniva rimandata da un anno: per questo le associazioni umanitarie criticavano duramente l’Alta commissaria per i diritti umani dell’ONU, Michelle Bachelet, accusandola di debolezza di fronte alle pressioni cinesi.
I crimini a cui il rapporto si riferisce riguardano la detenzione di massa e la repressione sistematica degli uiguri e di altri gruppi etnici a maggioranza musulmana nell’ovest della Cina.
Nelle 48 pagine del rapporto non viene mai utilizzata la parola “genocidio”, adottata invece dal governo degli Stati Uniti; tuttavia, si conferma l’esistenza di campi di prigionia nello Xinjiang, come sostengono da tempo attivisti, organizzazioni per i diritti umani e inchieste giornalistiche. Poco dopo la pubblicazione del rapporto il mandato di Bachelet è arrivato a conclusione e lei ha lasciato l’incarico.
Secondo Sophie Richardson, responsabile della Cina per l’ong Human Rights Watch, il rapporto è una «sfida» senza precedenti alle «menzogne di Pechino e al terrificante trattamento che stanno subendo gli uiguri». Parlando con il New York Times, Richardson ha detto: «Le scoperte incriminanti dell’Alta commissaria spiegano perché il governo cinese abbia combattuto con le unghie e con i denti per evitare la pubblicazione del rapporto sullo Xinjiang, che mette a nudo i tanti abusi commessi dalla Cina».
Per gli attivisti uiguri, spesso imprigionati e minacciati per la loro attività, il rapporto convalida anni di sforzi per raccontare ciò che sta succedendo nello Xinjiang e attirare l’attenzione globale sulla repressione sistematica contro le minoranze uigure e kazake, tra le altre. Per Dolkun Isa, presidente del Congresso mondiale uiguro, il rapporto «apre la strada a un’azione concreta e significativa da parte degli stati membri, degli organi delle Nazioni Unite e del mondo economico. Ora bisogna rispondere delle proprie azioni».
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