L’Unione Europea ha sospeso l’accordo sui visti ai turisti russi
Ottenerli sarà più difficile e costoso, ma non saranno bloccati del tutto, come invece chiedevano alcuni paesi
L’Unione Europea ha deciso di rendere più complesso e costoso per i cittadini russi ottenere visti turistici. In seguito a lunghe discussioni tra i ministri degli Esteri dei paesi dell’Unione riuniti informalmente a Praga, mercoledì è stata decisa la sospensione dell’accordo stipulato nel 2007 tra Unione Europea e Russia, che serviva ad agevolare il rilascio di visti ai turisti russi che volessero viaggiare in un paese dell’Unione.
La sospensione di queste agevolazioni, annunciata dall’alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione Europea, Josep Borrell, è frutto di un compromesso tra diverse visioni all’interno dei paesi dell’Unione. In concreto renderà il processo di ottenimento dei visti più lento e più caro, con aumento del prezzo da 35 a 80 euro.
Rappresenta una misura molto più limitata rispetto a quelle richieste da diversi paesi confinanti con la Russia, ma non solo, che avevano richiesto un blocco totale dei visti, anche su pressione del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Ma questa linea non era condivisa da tutti i paesi europei, con Francia e Germania in particolare che si erano dette contrarie.
Nei due giorni di incontri nella capitale della Repubblica Ceca, che detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea per il secondo semestre del 2022, almeno Repubblica Ceca, Finlandia, Lituania, Lettonia e Estonia si sono espresse per un blocco totale dei visti, un obiettivo che era sembrato subito difficile da raggiungere, nonostante qualche altro paese europeo avesse mostrato segnali di apertura.
Il ministro degli Esteri danese Jeppe Kofod, ad esempio, aveva detto: «A mio parere è irritante vedere uomini russi sulle spiagge dell’Europa del Sud sapendo che gli uomini ucraini fra i 18 e i 60 anni non possono lasciare il loro paese perché devono difenderlo da un’invasione».
Visioni simili erano state espresse dalle repubbliche baltiche e dalla Finlandia. In quest’ultima, in particolare, la richiesta era dovuta al fatto che nei mesi successivi al blocco dei voli diretti dalla Russia per l’Europa c’è stato un forte aumento di cittadini russi in transito nel paese: molti infatti raggiungono l’aeroporto di Helsinki per poi volare verso le destinazioni europee, aggirando quindi il blocco.
Per questo il governo finlandese ha anche annunciato che dal primo settembre taglierà del 90 per cento la concessione di visti turistici a disposizione della Russia, mentre Repubblica Ceca, Lituania e Lettonia hanno già sospeso la concessione di gran parte dei visti e l’Estonia in aggiunta ha anche annullato i visti precedentemente concessi.
La linea dura non è però condivisa da Francia, Germania e, meno apertamente, anche da altri paesi: il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha definito ingiusto e poco saggio far pagare ai semplici cittadini «la guerra di Putin», mentre da più parti si sottolinea come non si possa pensare che obbligare i russi a rimanere in patria abbia automaticamente l’effetto di creare una maggior pressione sul governo.
Anzi, secondo alcuni diplomatici, la decisione potrebbe far percepire l’Unione Europea come ostile anche a quella parte di popolazione che non sostiene la guerra in Ucraina. Un blocco totale poi creerebbe problemi a dissidenti e attivisti per i diritti umani, ma anche a studenti, accademici, artisti e cittadini che hanno familiari in Europa.
I paesi favorevoli alla sospensione dei visti sottolineano invece come il blocco dei voli diretti dalla Russia ai paesi dell’Unione Europea sia stato facilmente aggirato dalla fascia più ricca della popolazione russa, le cui presenze nei consueti luoghi di vacanza europea sono state per lo più costanti, e che quindi solo con un blocco dei visti si possa sanzionare con efficacia la Russia.