Gorbaciov è ricordato molto diversamente in Occidente e in Russia
All'estero è sempre stato celebrato, ma i russi lo incolpano per il declino economico e di influenza seguito alla fine dell'URSS
Martedì sera è morto Michail Gorbaciov, che fu leader dell’Unione Sovietica dal 1985 alla sua dissoluzione nel 1991 e artefice di una serie di politiche di apertura che da un lato migliorarono i rapporti con l’Occidente inaugurando un lungo periodo di distensione globale, dall’altro non riuscirono a evitare il collasso della federazione dei paesi sovietici. In parte per questo motivo, ma soprattutto per la tumultuosa crisi sociale ed economica che attraversò la Russia dopo il 1991, Gorbaciov non è ben ricordato da molti russi, mentre in Occidente viene perlopiù stimato come un grande statista ingiustamente vittima della storia.
La notizia della morte di Gorbaciov, data dall’agenzia di stampa russa Interfax, è stata riportata da vari media occidentali inevitabilmente citando le vicende della Guerra fredda, e commentata da molti leader politici e personaggi delle istituzioni internazionali: António Guterres, segretario generale dell’ONU, ha scritto che Gorbaciov «era uno statista unico che cambiò il corso della storia», un leader globale «instancabile sostenitore della pace». Il primo ministro britannico Boris Johnson ha detto di ammirare «il coraggio e l’integrità» dimostrati da Gorbaciov «nel portare la Guerra fredda a una conclusione pacifica».
Condoleezza Rice, ex segretaria di Stato americana durante la presidenza di George W. Bush, ha scritto parole altrettanto elogiative: «Apprendo con dolore della scomparsa di Michail Gorbaciov. Era un uomo che ha cercato di offrire una vita migliore per la sua gente. La sua vita è stata significativa perché, senza lui e il suo coraggio, non sarebbe stato possibile porre fine pacificamente alla Guerra fredda».
Le reazioni dei leader occidentali testimoniano l’estesa stima internazionale per la figura di Gorbaciov, dovuta al suo tentativo di introdurre maggiore libertà di espressione nelle repubbliche sovietiche e di garantire una gestione delle informazioni meno opaca dopo anni di immobilismo e problemi strutturali irrisolti (tentativo riassumibile nella parola glasnost, traducibile con “pubblicità” o “trasparenza”). Ma anche alla sua volontà di ridurre la tensione tra blocco occidentale e blocco sovietico, che concretizzò siglando vari accordi e intese con l’allora presidente statunitense Ronald Reagan per ridurre gli armamenti nucleari (per questo suo lavoro diplomatico ricevette il Nobel per la Pace nel 1990).
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Dopo decenni di Guerra fredda, per i blocchi politici che governavano i vari paesi della NATO Gorbaciov diventò il volto di un nuovo corso che sembrava destinato a trasformare definitivamente la Russia e gli altri paesi del blocco sovietico, sancendo infine la vittoria del modello occidentale rispetto a quello comunista. L’abbattimento del muro di Berlino e poi la dissoluzione dell’URSS furono festeggiati in tutto il mondo occidentale, con l’eccezione dei partiti comunisti che ne uscirono stravolti: e venne teorizzata la cosiddetta “fine della storia”, intesa come affermazione definitiva delle democrazie liberali e del capitalismo di libero mercato, presunti punti di arrivo di un’evoluzione socioeconomica e culturale ineluttabile dell’umanità. La tesi, ideata dal politologo Francis Fukuyama, sarebbe poi stata smentita abbondantemente nei successivi trent’anni, ma negli anni Novanta godette di ampio credito.
Nel 1998, Gorbaciov mise letteralmente la faccia al servizio della celebrazione dei valori occidentali in uno spot pubblicitario ancora oggi piuttosto celebre, di Pizza Hut, che riassume in maniera involontariamente efficace l’eredità controversa della sua figura storica.
"Thanks to Gorbachev … we have Pizza Hut!" Now Russia has neither. And is quickly winding back glasnost & perestroika as well pic.twitter.com/aRyG5Au7fc
— Alec Luhn (@AlecLuhn) August 30, 2022
Nello spot c’è un uomo giovane, biondo e bello che elenca tutte le novità portate da Gorbaciov: “opportunità”, “libertà” e “speranza”; gli risponde un uomo più maturo e dall’aspetto più rozzo che al contrario ribatte sostenendo che Gorbaciov abbia portato solo “instabilità politica”, “caos completo”, “confusione economica”. Alla fine tutti si mettono d’accordo di fronte a una pizza fumante, ma in realtà il punto di vista dell’uomo più anziano non è molto distante da ciò che pensano molti russi ancora oggi.
Se nel periodo sovietico le condizioni di vita della popolazione russa non erano particolarmente agiate, negli anni Novanta e all’inizio degli anni Duemila peggiorarono ulteriormente. Il primo presidente della Russia, Boris Eltsin, cercò di introdurre elementi di mercato nell’economia, creando però forti squilibri e una crisi economica gravissima che ancora oggi in Russia viene ricordata con dolore. La colpa di tutto questo però non viene data soltanto al periodo di Eltsin, ma anche a Gorbaciov che aveva permesso la dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Non è un caso che il presidente russo, Vladimir Putin, abbia più volte rimarcato come quell’evento storico fosse stato a tutti gli effetti «un’autentica tragedia» per il popolo russo: e non per semplice nostalgia comunista, quanto piuttosto per il danno al prestigio della Russia in quanto potenza. La responsabilità in Russia viene attribuita proprio a Gorbaciov, che non riuscì o non volle evitare la spinta centrifuga delle repubbliche socialiste all’inizio degli anni Novanta, primo di una serie di eventi che portarono al collasso dell’Unione Sovietica.
Anche gran parte della popolazione russa sembra condividere questo giudizio negativo del periodo di Gorbaciov: secondo un sondaggio del 2021 citato dal Guardian, più del 70 per cento dei russi ritiene che sotto la sua guida il paese abbia preso una piega sbagliata.
Sul New York Times Anatoly Kurmanaev, giornalista originario della Siberia, ha scritto che quando si trasferì all’estero rimase assai colpito da come veniva osannato Gorbaciov. «La sua immagine in Occidente – quella di uno statista astuto e iconoclasta che è riuscito a prevalere sui sovietici duri e puri mettendo fine alla Guerra fredda senza catastrofi nucleari – era in stridente contrasto con il modo in cui era visto dalla maggior parte dei russi». Gorbaciov, scrive Kurmanaev, era ampiamente disprezzato sia dai comunisti, ancora presenti in Russia negli anni Novanta, sia dai nazionalisti: i primi lo accusavano di aver distrutto il paese in cui avevano creduto, i secondi di aver dato via lo status di superpotenza della Russia per niente.
In Russia insomma veniva visto «come un traditore, o almeno come uno sciocco, un ingenuo». Ed è un sentimento che persiste ancora oggi e contribuisce ad alimentare le politiche nazionaliste di Vladimir Putin.
In Russia una visione meno critica della figura di Gorbaciov esiste ma è circoscritta a alcuni ambienti liberali, ormai sempre meno influenti, e tra alcuni giornalisti indipendenti, molti dei quali dopo l’invasione dell’Ucraina furono costretti ad andare all’estero per non essere perseguitati. Mikhail Fishman, giornalista russo dell’emittente indipendente Dozhd, ha scritto che Gorbaciov fu un «politico monumentale» e che «non c’è mai stata tanta libertà in Russia quanto negli anni Ottanta e Novanta. Questo è il suo merito».