Quest’anno i suicidi nelle carceri hanno già superato quelli del 2021
Da gennaio ad agosto sono stati 57, di persone con situazioni detentive e storie molto diverse tra loro
I suicidi nelle carceri italiane nei primi otto mesi del 2022 sono stati 57: lo stesso numero di tutto il 2021. Ad agosto i suicidi sono stati 14, praticamente uno ogni due giorni. Nelle carceri, secondo i dati forniti da Ristretti Orizzonti, la frequenza dei suicidi è circa venti volte maggiore rispetto a quanto avviene tra le persone libere. In una regione, la Lombardia, i suicidi sono raddoppiati rispetto al 2021: nei primi mesi di quest’anno sono già stati 17.
All’inizio del mese i giornali avevano riportato con molta evidenza la storia del suicidio di una ragazza, Donatella Hodo, di 27 anni e con problemi di dipendenza, che si era uccisa nella casa circondariale di Montorio, a Verona, usando il fornelletto a gas tenuto in cella. Dal 2016 era stata arrestata più volte, il reato più grave commesso era stato una rapina impropria, in cui cioè alla sottrazione di una cosa altrui segue una minaccia o una violenza. Il giudice per le indagini preliminari l’aveva definita una ragazza con «una personalità allarmante sotto il profilo della pericolosità sociale».
Dopo la sua morte Vincenzo Semeraro, un magistrato di sorveglianza che ha il compito di vigilare sulle carceri e sul rispetto dei diritti dei detenuti, ha scritto in una lettera aperta: «Scusami Donatella, con la tua morte ho fallito anche io». In un’intervista a Repubblica Semeraro aveva detto: «Quando una ragazza di 17 anni muore in carcere significa che tutto il sistema ha fallito (…). Non so precisamente cosa ma so che si poteva fare di più».
Dal 7 agosto a oggi si sono uccise persone detenute italiane e straniere. Gardon Dardou, algerino di 33 anni, è morto a Secondigliano, Napoli, e sempre a Napoli, a Poggioreale, si è ucciso Francesco Iovine, di 43 anni. Rouan Aziz, del Marocco e 37enne, si è ucciso a Rimini, Mohammed Siliman, 24enne tunisino, a Monza, Alessandro Gaffoglio, 24 anni, a Torino. Due italiani di 52 e 30 anni di cui non è stato reso noto il nome sono morti a Piacenza e Foggia; un uomo marocchino di 49 anni a Terni. Simone Melardi, 43 anni, a Caltagirone (Catania). A Siracusa è morto un cittadino gambiano di 34 anni di cui sono state rese note solo le iniziali, D.A.
Questi dieci ultimi suicidi sono quasi tutti avvenuti per impiccagione. Uno dei detenuti era in carcere per oltraggio a pubblico ufficiale, e sarebbe uscito molto presto. Uno era imputato di furto per aver rubato un telefonino. Un detenuto era in carcere per reati contro i familiari e si è ucciso dopo una videochiamata con alcuni parenti. Un altro era stato arrestato per una rapina a un supermercato: soffriva di problemi psichici, e si è ucciso soffocandosi. Un detenuto era nel reparto Sai (Servizio assistenza intensificata): soffriva di anoressia e pesava 43 chili.
Secondo Ristretti Orizzonti ad accomunare i suicidi è la totale mancanza di prospettive, anche se in situazioni molto diverse tra loro. Ci sono i detenuti in attesa di giudizio che aspettano il processo per anni e quelli già condannati in via definitiva che sanno di dover scontare lunghi periodi. «In tante carceri», dice il dossier, «spesso proprio quelle dove sono più frequenti i suicidi, il tempo della pena è tempo vuoto, dissipato lentamente aspettando il fine pena».
Nella relazione del 2021 presentata al Parlamento il Garante dei detenuti ha spiegato che l’età media dei detenuti suicidi è attorno ai 40 anni, quasi tutti uomini (una sola donna nel 2021), in maggioranza italiani. La maggioranza delle persone suicide, 17, era in attesa del primo grado di giudizio, e cioè del primo processo; 14 dovevano scontare dai tre ai cinque anni; 9 avevano da scontare meno di due anni; 14 più di cinque anni; due sarebbero stati scarcerati entro l’anno (manca il dato che riguarda uno dei detenuti suicidi). Nel 2021 il tasso di suicidi sul totale della popolazione carceraria è stato dell’1,10%, praticamente come nel 2020, 1,11%: otto anni prima, nel 2013, era lo 0,65%, poco più della meta e già più di 10 volte quello della popolazione italiana.
Il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella, ha chiesto una riforma urgente del regolamento, che risale al 2000, per liberalizzare le telefonate ai detenuti: «i 10 minuti a settimana previsti attualmente non hanno più nessun fondamento, né di carattere tecnologico, né economico, né securitario. In un momento di sconforto, sentire una voce familiare, può aiutare la persona a desistere dall’intento suicidario».
Antigone ricorda anche che dell’importanza dell’affettività per i detenuti parla anche il Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nella relazione della commissione ispettiva che ha indagato sulle rivolte del marzo del 2020. Secondo la relazione a innescare le rivolte in varie carceri non ci fu nessuna “regia criminale”, come invece sostenuto da qualcuno. Il motivo invece fu la sospensione dei colloqui con i familiari dovuta all’epidemia di Covid-19.
Il Dap ha annunciato da poco la realizzazione di nuove linee guida per rafforzare le attività di prevenzione. Nella circolare inviata a tutte le direzioni degli istituti è scritto che deve essere messo in atto «intervento continuo sul tema, attraverso il quale il Dipartimento, i Provveditorati e gli Istituti penitenziari siano tutti coinvolti, in una prospettiva di rete, nella prevenzione di tali drammatici eventi». La circolare è firmata dal capo del Dap Carlo Renoldi, che ha previsto quella che ha chiamato “task force multidisciplinare” composta in ogni carcere da direttore, capo della polizia penitenziaria, educatore, medico e psicologo con il compito di valutare e monitorare le situazioni a rischio.
Dovrebbe poi essere preparato un protocollo operativo che faccia riconoscere «eventi sentinella». In pratica quei segnali, è scritto nella circolare, che possano essere intercettati e rivelatori del rischio di potenziali suicidi. David Lazzari, direttore del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi, ha scritto a sua volta al direttore del Dap, chiedendo che vengano destinate risorse «all’inserimento degli psicologi in maniera stabile e strutturale in pianta organica».
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Dove chiedere aiuto
Se sei in una situazione di emergenza, chiama il numero 112. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 02 2327 2327 oppure via internet da qui, tutti i giorni dalle 10 alle 24.
Puoi anche chiamare l’associazione Samaritans al numero 06 77208977, tutti i giorni dalle 13 alle 22.