C’è una crisi anche per gli All Blacks
La nazionale di rugby neozelandese, abituata a vincere quasi sempre, sta passando uno dei periodi più difficili della sua storia recente
Nello sport professionistico ogni squadra ha una soglia di vittorie ottenute e successi sotto la quale si parla di «crisi», ovvero quel momento in cui risultati negativi, malumori e polemiche si congiungono e tengono banco per un certo periodo. Quando si tratta della nazionale di rugby neozelandese, gli All Blacks, una delle squadre con la percentuale di vittorie più alte fra tutti gli sport professionistici, per arrivare a quella soglia basta superare quel paio di sconfitte tollerate in un anno.
E così sta succedendo ora, a pochi giorni dalla sconfitta subita in casa contro l’Argentina nella terza giornata del Quattro Nazioni, il torneo dell’emisfero sud. Nella sua storia l’Argentina non aveva mai vinto in Nuova Zelanda: lo ha fatto sabato, in rimonta, grazie a una grande prestazione difensiva con cui nel secondo tempo è riuscita ad annullare il famoso attacco neozelandese, storicamente in grado di trovare sempre una strada verso la meta.
In seguito alla sconfitta, gli All Blacks andranno nella posizione più bassa mai raggiunta nel ranking del rugby mondiale: quinti dietro Irlanda, Francia, Sudafrica e Inghilterra. Una novità ancora maggiore se si considera che i neozelandesi sono stati al primo posto del ranking per circa l’ottanta per cento del tempo negli ultimi vent’anni, concedendo raramente spazi a una manciata di nazionali (Australia, Sudafrica e Inghilterra).
Si calcola che dal 1903 al 2021 gli All Blacks abbiano vinto il 77 per cento delle partite ufficiali disputate. In questo periodo sono stati i primi nel rugby a raggiungere le 500 vittorie, sono stati campioni del mondo in tre occasioni e primi nel ranking mondiale ininterrottamente dal 2009 al 2018.
Tutto questo risulta possibile soltanto in un paese in cui il rugby, importato dall’Inghilterra nell’Ottocento, è diventato non solo sport nazionale, ma parte integrante della cultura e dell’identità locale. Tramite un sistema capillare che parte dalle famiglie nei posti più sperduti del paese, passa per le scuole e arriva fino ai club professionistici, le squadre nazionali sono la massima espressione del movimento. In quella maschile, la più famosa, c’è una regola non scritta che si tramanda da generazioni: la maglia nera non si possiede, la si riceve per renderla migliore di come è stata trovata e quindi consegnarla a chi verrà dopo.
Va da sé che in un contesto in cui uno sport è diventato il maggior vanto e la miglior pubblicità per un piccolo paese lontano da tutto, con appena 5 milioni di abitanti, le pressioni su una singola squadra sono enormi e basta poco per passare dalle celebrazioni alle critiche più dure.
Di questo se ne stanno accorgendo in particolare l’allenatore, Ian Foster, e il capitano, Sam Cane. Il primo si sta scontrando con il fatto di essere il successore di Steve Hansen, uno degli allenatori neozelandesi più vincenti di sempre. In carica dal dicembre del 2019, le cose per Foster avevano iniziato a complicarsi dopo le sconfitte nelle partite autunnali del 2021 contro Francia e Irlanda. Lo scorso luglio, poi, l’Irlanda era andata in Nuova Zelanda e lì aveva vinto una serie di tre incontri per la prima volta nella sua storia.
Il Quattro Nazioni in corso era iniziato quindi con molte pressioni, e i dubbi sulla posizione di Foster erano aumentati in seguito alla netta sconfitta subita all’esordio in Sudafrica ad inizio agosto. Nella rivincita giocata a distanza di una settimana, gli All Blacks erano però riusciti a vincere, sempre in Sudafrica, in modo abbastanza convincente, tanto che la federazione aveva colto l’occasione per confermare Foster come capo allenatore in vista della Coppa del Mondo in programma nel 2023. L’ultima sconfitta con l’Argentina, la terza consecutiva subita in casa, ha però riportato in bilico la sua posizione, soprattutto nell’opinione pubblica.
Nella conferenza stampa dopo la partita contro l’Argentina, Foster è sembrato preoccupato e anche abbastanza provato, con le immagini delle telecamere che si sono concentrate in particolare sullo sfregamento nervoso delle sue mani. Successivamente la federazione ha confermato la fiducia nel progetto tecnico, ma allo stesso tempo ha dato maggior peso al ruolo di assistente dell’ex allenatore neozelandese dell’Irlanda, Joe Schmidt, che secondo la stampa locale potrebbe rimpiazzare Foster se le cose dovessero continuare ad andare male. Saranno quindi cruciali i prossimi impegni contro Argentina e Australia.
In questo periodo, inoltre, anche sul lato dirigenziale gli All Blacks hanno passato un periodo di discussioni interne nate dalle trattative tra la federazione e il fondo d’investimento statunitense Silver Lake, che ad aprile del 2021 aveva offerto 276 milioni di euro per acquistare parte dei diritti commerciali della New Zealand Rugby (NZR), l’organo che governa il movimento. Inizialmente i giocatori e le giocatrici si erano opposti, dicendo di non voler rischiare di vendere un pezzo di un patrimonio così importante costruito nell’arco di un secolo.
Le trattative erano state quindi interrotte ed era iniziata una serie di discussioni tra tutte le parti coinvolte. Alla fine, dopo circa un anno di confronti, la federazione — che a causa della pandemia aveva avuto perdite tra i 40 e 50 milioni di dollari vedendosi dimezzare le riserve di cassa — aveva ottenuto il voto favorevole dell’associazione dei giocatori, in cambio di investimenti diretti su ogni livello del movimento. Le trattative sono quindi riprese e a giugno Silver Stake è entrato nel rugby neozelandese investendo circa 133 milioni di euro.
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