Sei mesi di guerra in Ucraina
Breve ripasso di quello che è successo finora, tra sconfitte inaspettate, cambi di strategia, conseguenze globali e prospettive future
Mercoledì 24 agosto per l’Ucraina è stato un giorno particolare: da una parte si è celebrato il 31esimo anniversario dell’indipendenza dall’Unione Sovietica, dall’altra la guerra contro la Russia, iniziata con l’invasione russa lo scorso 24 febbraio, è entrata nel suo settimo mese. Nel suo messaggio quotidiano al paese, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha detto che l’Ucraina continuerà a resistere alla Russia «fino alla fine» e «senza nessuna concessione».
Nei primi sei mesi di guerra l’esercito russo ha avuto difficoltà enormi, che hanno costretto il presidente Vladimir Putin a ridimensionare drasticamente i propri piani iniziali, che prevedevano di conquistare la capitale Kiev e di trasformare l’Ucraina in una specie di stato satellite della Russia. Oggi la guerra si combatte soprattutto nell’est e nel sud. Una sua qualsiasi soluzione diplomatica sembra molto lontana, con conseguenze già molto tangibili non solo per le parti coinvolte.
L’esercito russo ha invaso l’Ucraina nelle prime ore del mattino di giovedì 24 febbraio, al termine di tensioni durate mesi e di una serie di colloqui diplomatici falliti. Con argomentazioni giudicate pretestuose e basate su premesse false, il governo russo ha presentato l’invasione come un’operazione volta a “denazificare” l’Ucraina e a proteggere la popolazione russofona nel Donbass, la regione più orientale dell’Ucraina dove era in corso dal 2014 una guerra tra separatisti filorussi ed esercito ucraino.
La Russia e i suoi sostenitori hanno anche presentato l’invasione come una legittima risposta al cosiddetto “allargamento a est” della NATO, l’alleanza militare occidentale guidata dagli Stati Uniti (cioè il processo per cui negli anni alcuni paesi ex sovietici hanno deciso di entrare a far parte dell’alleanza). Anche quest’argomentazione è stata giudicata da diversi analisti come strumentale a compiere l’invasione, coerentemente con le ambizioni e note ossessioni storiche di Putin, che da anni orienta la propria politica estera al fine di rifare della Russia una grande potenza al centro della politica globale.
Da parte sua, la NATO ha giudicato irricevibili e inaccettabili le richieste della Russia di impegnarsi a limitare la propria presenza nell’Europa orientale.
La Russia ha attaccato l’Ucraina da sud (dalla penisola di Crimea, invasa e annessa nel 2014), da nord (dalla Bielorussia, governata dal dittatore Alexander Lukashenko, alleato di Putin) e da est, verso il Donbass. Tutte le scelte militari fatte dall’esercito russo sul campo nelle prime fasi dell’invasione suggerivano che Putin avesse in mente una cosiddetta “guerra lampo”, forse di qualche settimana, da concludersi con la conquista dell’Ucraina e con l’instaurazione di un governo “fantoccio” filorusso. Le cose sono andate molto diversamente.
– Leggi anche: L’ossessione di Putin per l’Ucraina
L’offensiva militare russa ha incontrato fin da subito grosse difficoltà, soprattutto nel nord dell’Ucraina: l’esercito russo inviato sul campo, in ampia parte costituito da riservisti e coscritti, aveva dovuto affrontare una resistenza inaspettatamente tenace da parte delle forze ucraine, che a loro volta avevano sfruttato una serie di debolezze ed errori compiuti dai russi per attaccarli.
Il racconto della guerra si era rapidamente riempito di immagini di carri armati distrutti, di notizie di migliaia di soldati russi uccisi e di racconti di offensive russe respinte dai centri urbani ucraini.
Pur avendo ottenuto qualche successo militare nel sud e nell’est dell’Ucraina, ad aprile le sconfitte subite avevano costretto l’esercito russo a ridimensionare i propri obiettivi e a ritirarsi dalle zone settentrionali dell’Ucraina. Come mostrato in questa mappa animata realizzata dal Financial Times, il ritiro era stato una “marcia indietro” per la Russia, una sconfitta, anche se il governo aveva cercato di camuffarla presentando il ritiro dell’esercito come il completamento della «prima fase» dell’«operazione militare».
Nelle settimane successive le truppe russe si erano riposizionate nel Donbass e nel sud dell’Ucraina, dove di fatto si trovano ancora oggi: il riposizionamento ha segnato l’inizio di quella che diversi analisti hanno definito la “seconda fase” dell’invasione dell’Ucraina, finalizzata non più alla presa di Kiev ma alla conquista del Donbass.
La prima fase è stata molto cruenta: il ritiro dei soldati russi da molti centri abitati ucraini ha permesso ai sopravvissuti di raccontare le violenze compiute dai russi. Sono arrivate testimonianze di torture, stupri, rapimenti di familiari e conoscenti.
L’episodio più discusso è stato il massacro di Bucha, cittadina a nord ovest di Kiev occupata dai russi all’inizio dell’invasione e abbandonata cinque settimane dopo, a fine marzo. Lì i russi hanno massacrato decine di civili ucraini e lasciato dietro di sé strade disseminate di cadaveri in decomposizione e fosse comuni. Alle accuse il governo russo ha risposto con una serie di falsità e teorie complottiste che descrivevano il massacro come una montatura ucraina. Inchieste giornalistiche continuano a raccogliere prove che dimostrano il contrario, e a Bucha si stanno ancora contando i morti.
– Leggi anche: Cosa mostrano le foto del massacro di Bucha
Anche nel sud-est sono arrivate testimonianze, racconti e prove delle violenze compiute dai russi. Una delle città più martoriate dall’invasione è stata Mariupol, città portuale ucraina particolarmente importante per i russi per ragioni geografiche, militari e simboliche. Mariupol è stata sotto assedio per quasi tre mesi ed è caduta sotto il controllo russo solo a fine aprile, dopo una strenua resistenza, concentrata soprattutto nell’acciaieria Azovstal.
A Mariupol i russi hanno bombardato un ospedale e un teatro pieno di civili che cercavano rifugio: per questi e per altri attacchi l’esercito russo è stato accusato di aver compiuto crimini di guerra.
– Leggi anche: Cosa resta della battaglia di Mariupol
Oggi la guerra è ferma nel sud e nell’est dell’Ucraina: i russi controllano tutta la regione di Luhansk e parte di quella di Donetsk, nel Donbass. Controllano anche una parte della regione di Charkiv e di Zaporizhzhia, in cui da settimane vengono compiuti attacchi contro una centrale nucleare, con crescenti preoccupazioni legate al rischio di un incidente.
La Russia controlla anche gran parte della regione ucraina di Kherson, in cui si trova l’omonima città. Qui i russi stanno mettendo in atto tentativi di assimilazione forzata della cultura ucraina, attraverso il rilascio di documenti russi ai civili, la sostituzione della moneta ucraina con il rublo, dei prefissi telefonici locali con quello russo e con intimidazioni e pressioni su insegnanti e dirigenti scolastici affinché adattino i contenuti dei programmi scolastici alla propaganda russa. Fonti russe hanno parlato di un imminente referendum per annettere Kherson alla Russia, ma non c’è certezza sulla data.
Nella regione di Kherson è in corso da fine luglio una controffensiva dell’esercito ucraino, che però sta procedendo molto a rilento, con attacchi mirati ma senza significativi avanzamenti sul campo, anche a causa della mancanza di artiglieria e di soldati addestrati in quantità sufficiente.
La novità recente più importante riguarda l’inizio degli attacchi ucraini alla Crimea, penisola ucraina che nel 2014 era stata occupata dalla Russia e poi annessa.
Nelle ultime due settimane in Crimea ci sono state esplosioni in almeno tre basi russe. L’Ucraina non se n’è presa direttamente la responsabilità, ma sembra probabile che gli attacchi siano stati compiuti dall’esercito ucraino usando i lanciarazzi HIMARS, ricevuti lo scorso giugno dagli Stati Uniti e che permettono di colpire obiettivi più distanti e con maggiore precisione. Anche in questo caso però non ci sono prove sufficienti per sapere con certezza cosa sia successo.
6 months after #Russia’s invasion of #Ukraine began, @Reuters looks back at the different phases of the war utilizing maps from @TheStudyofWar and @criticalthreats.
https://t.co/WxtdqpvLJz— ISW (@TheStudyofWar) August 24, 2022
Ad oggi si stima che l’Ucraina abbia perso il controllo di circa il 20 per cento del suo territorio. È probabile che la guerra continuerà ancora per molto tempo, anche perché la Russia continua a non voler negoziare una pace.
Le conseguenze finora sono state molte, e assai rilevanti.
L’invasione e le violenze compiute dai russi hanno anzitutto spinto molti governi occidentali ad assumere un atteggiamento assai critico nei confronti della Russia, con effetti evidenti: paesi storicamente neutrali come Svezia e Finlandia hanno deciso di entrare nella NATO, altri hanno annunciato l’intenzione di aumentare le proprie spese militari, dopo almeno trent’anni passati a ridurle.
Soprattutto, i governi occidentali si sono mostrati abbastanza uniti nell’adottare un rigido regime di sanzioni economiche contro la Russia, che ha colpito soprattutto il sistema finanziario, ma anche i settori dei commerci, dei trasporti e delle comunicazioni, oltre a singoli membri dell’élite russa e del governo. Qualche difficoltà in più si è incontrata discutendo di sanzioni nel settore dell’energia, a causa dei gradi diversi di dipendenza tra paesi nei confronti delle importazioni di gas e petrolio russi.
Proprio l’aumento del costo dell’energia, e in particolare del gas, è stata una delle conseguenze più rilevanti della guerra finora. In questi mesi il governo russo ha più volte usato le proprie forniture di gas come strumento per esercitare pressioni e cercare di ottenere concessioni, e i paesi europei si sono affrettati a ridurre i propri consumi e a diversificare le proprie fonti di approvvigionamento per anticipare eventuali tagli o blocchi. Oggi la discussione attorno al “razionamento” dell’energia occupa le notizie dei giornali in quasi tutti i paesi d’Europa, Italia compresa.
Sei mesi di guerra in Ucraina hanno contribuito anche a far salire l’inflazione, portando a un aumento dei prezzi e a una riduzione del potere di acquisto di moltissime famiglie. Steven Erlanger ha scritto sul New York Times: «È una guerra combattuta nelle trincee e con l’artiglieria», ma a determinare la prossima fase del conflitto potrebbe essere il livello di disponibilità di americani ed europei «a sopportare l’inflazione e la scarsità di energia».
Sei mesi di guerra in Ucraina hanno anche provocato una crisi alimentare in vari paesi del mondo, soprattutto in Medio Oriente e Africa, dato che l’Ucraina è uno dei principali esportatori al mondo di cereali e che il blocco dei suoi porti ha interrotto per mesi la catena di approvvigionamento.
In Russia, nel frattempo, molti russi contrari alla guerra hanno lasciato il paese o hanno smesso di protestare apertamente a causa della dura repressione attuata dal governo di Putin. Altri sembrano essersi progressivamente abituati a vivere alle condizioni dettate dal regime, che nel frattempo ha rafforzato il suo controllo sull’informazione e sulla propaganda.
– Leggi anche: Cosa non spiega la geopolitica