Le Nazioni Unite non hanno abbastanza soldi per tutti
I paesi occidentali stanno concentrando i propri aiuti economici in Ucraina, creando gravi scompensi in una situazione già molto difficile
Le Nazioni Unite (ONU) stanno affrontando una grave carenza di fondi destinati alle missioni umanitarie per il 2022: i rappresentanti dell’organizzazione dicono di non avere abbastanza soldi per poter garantire in diversi paesi alcuni servizi di base, come cibo e acqua, alloggi, energia e istruzione. Il motivo principale è che ci sono troppe persone da aiutare, e in troppi paesi diversi: ad alcune condizioni già eccezionali dell’ultimo periodo, come la pandemia e la siccità, si sono aggiunte nuove emergenze umanitarie come quella legata alla guerra in Ucraina.
Per l’anno in corso le Nazioni Unite avevano fissato i fondi per fornire gli aiuti necessari a 48,7 miliardi di dollari, ma in quasi otto mesi ne hanno raccolti soltanto un terzo. Martin Griffiths, il capo dell’ufficio per gli aiuti umanitari e per le emergenze dell’organizzazione, ha detto al New York Times che «è la più grande carenza di fondi che abbiamo mai visto». Le persone che dovrebbero essere raggiunte dai vari programmi e aiuti delle Nazioni Unite per quest’anno sono oltre 200 milioni, e secondo Griffiths stanno «aumentando rapidamente».
Il budget per le missioni umanitarie delle Nazioni Unite viene finanziato in parte con una quota che i paesi membri dell’organizzazione devono versare obbligatoriamente (in percentuali diverse a seconda delle loro possibilità), in parte con una quota versata volontariamente da parte dei governi o da privati. In generale, la maggior parte dei fondi arriva da pochi donatori più ricchi, come gli Stati Uniti, l’Unione Europea, il Giappone e il Canada.
Chi dona può lasciare che siano le Nazioni Unite a destinare i soldi dove meglio credono, oppure può decidere di finanziare alcuni programmi specifici in determinati paesi. Quest’anno questa possibilità sta creando diversi problemi, perché molti donatori stanno indirizzando i propri soldi verso progetti dedicati all’Ucraina. I motivi sono diversi, ma riguardano in buona parte il fatto che i paesi ricchi occidentali percepiscono la crisi in Ucraina come maggiormente connessa ai loro interessi nazionali.
Stati Uniti e Unione Europea, che sono i due maggiori contributori delle Nazioni Unite, vedono il sostegno umanitario all’Ucraina come una parte fondamentale del loro impegno per condannare l’invasione del paese da parte della Russia, in aggiunta alle pesanti sanzioni che hanno imposto negli ultimi mesi. Secondo diverse organizzazioni che si occupano di assistenza umanitaria, però, c’entrerebbe anche una sorta di maggiore vicinanza culturale che i paesi occidentali sentono di avere verso l’Ucraina, che è un paese a maggioranza bianca e di fede cristiana come gran parte di quelli occidentali.
Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina si è parlato più volte della differenza di percezione tra i profughi ucraini e, per esempio, quelli africani o mediorientali, e di come questa differenza sia sfociata spesso in discriminazioni: i paesi europei si sono mostrati assai più disponibili nell’accoglienza verso gli ucraini di quanto non abbiano fatto in passato con altre persone che fuggivano da guerre, persecuzioni o altre condizioni di grande difficoltà.
Anche in Italia è stato documentato come dall’inizio della guerra il sistema di accoglienza abbia messo in secondo piano i profughi non ucraini, causando molti disagi e ingiustizie. La ong Asylum Access aveva denunciato attraverso i canali d’informazione delle Nazioni Unite come il racconto dei media europei e statunitensi della crisi ucraina riflettesse «un razzismo profondamente radicato contro i rifugiati non europei».
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Il risultato di questa situazione è che non solo i fondi delle Nazioni Unite sono meno del solito, rispetto a quelli che servirebbero, ma sono anche peggio distribuiti: i soldi per finanziare i programmi ucraini sono piuttosto abbondanti, mentre per la maggior parte degli altri paesi non lo sono affatto.
Durante l’anno le Nazioni Unite hanno aperto due programmi destinati all’Ucraina, per un totale complessivo di 6 miliardi di euro: il primo ha superato la somma richiesta, il secondo l’ha quasi raggiunta. I rappresentanti delle Nazioni Unite dicono di star chiedendo insistentemente ai paesi donatori di mostrare la stessa generosità anche verso i non ucraini. Le donazioni sono aumentate ma, a quanto dice l’organizzazione, non abbastanza in fretta.
Programmi assai minori in termini economici sono molto lontani dal raggiungere i loro obiettivi: quello di Haiti, per esempio, che richiede poco più di 370 milioni di dollari, è stato finanziato al 19 per cento; quello di El Salvador (114 milioni) al 12 per cento, quello del Burundi (182 milioni) al 14 per cento e quello del Myanmar (825 milioni) al 17 per cento. Diversi altri paesi sono in situazioni simili. Le crisi umanitarie più urgenti – come quelle del Medio Oriente che riguardano Siria, Afghanistan e Yemen – hanno ricevuto maggiori attenzioni, ma sono ancora molto lontane dagli obiettivi.
Nei campi per rifugiati siriani nel nord dell’Iraq è stato ridotto l’accesso all’acqua potabile, all’elettricità e ai servizi igienici, e causando le proteste di decine di rifugiati davanti agli uffici delle Nazioni Unite. Situazioni di simile disagio si sono avute anche nel campo per rifugiati siriani di Zaatari, in Giordania. In Yemen è stato razionato il cibo a milioni di persone, in Sud Sudan molti bambini rifugiati dovranno rinunciare ad andare a scuola in autunno, in Etiopia le Nazioni Unite dicono che 750mila rifugiati rischiano di rimanere senza cibo prima della fine di ottobre: gli esempi sono molti.
La mancanza di soldi impone alle Nazioni Unite di fare delle scelte e stabilire delle priorità tra le esigenze dei vari paesi, e quindi di decidere anche di non soddisfare alcuni bisogni essenziali.
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) – l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa specificamente dei rifugiati – ha stimato il suo budget necessario in circa 10 miliardi e mezzo di dollari (uno in più rispetto all’anno scorso): a giugno aveva scritto in un report che se non lo avesse raggiunto, avrebbe dovuto tagliare l’istruzione al 12 per cento dei bambini dei suoi programmi, così come l’accesso a un riparo al 25 per cento dei rifugiati e l’accesso a strutture sanitarie al 23 per cento di loro. Secondo i dati disponibili al 9 agosto scorso, ha raccolto meno della metà di quei 10 miliardi e mezzo.
Griffiths ha spiegato al New York Times che al momento le Nazioni Unite stanno attingendo ai loro fondi di emergenza, ma si tratta di una soluzione che non è sostenibile, nemmeno per coprire tutti i bisogni attuali.