Libano e Israele litigano ancora per il gas nel Mediterraneo
Per via di una contesa che va avanti da anni e che di recente si è intensificata: si teme che possa causare una nuova guerra
Tra Libano e Israele si sta intensificando una disputa sui diritti di esplorazione nei giacimenti di gas naturale al largo delle coste dei due paesi. A giugno Israele aveva avviato alcune attività esplorative in un giacimento che il Libano considera proprio, e a inizio luglio Hezbollah, gruppo radicale sciita libanese molto vicino all’Iran, aveva risposto cercando di attaccare un nave israeliana utilizzata per il trattamento del gas. Aveva inviato alcuni droni per colpire la nave, ma Israele li aveva intercettati e distrutti.
Anche se non ha avuto grosse conseguenze, l’attacco ha fatto parlare del rischio di un nuovo conflitto tra Israele e Libano, che sul territorio libanese non combattono da oltre 15 anni (lo hanno fatto però sul territorio siriano).
I giacimenti al largo di Israele e del Libano sono stati scoperti nell’ultima decina d’anni. La disputa va avanti da allora e riguarda il confine delle reciproche zone economiche esclusive, cioè le fasce di mare in cui un paese ha diritto esclusivo allo sfruttamento economico delle risorse marine. Israele dice che il proprio confine sarebbe più a nord di quanto sostenuto dal Libano; il Libano dice che il suo sarebbe più a sud di quanto sostenuto da Israele. I giacimenti di gas scoperti si trovano all’interno di questo triangolo di acque contese.
#Israel delayed gas extraction from the disputed field, Karish, until September.🧐
Recently #Hezbullah launched several drones over the Karish field to warn Israel about any violation of #Lebanon's water borders.#news #MiddleEast pic.twitter.com/S8PPjwWXJ5— Middle East In The Field (@med_east_field) August 4, 2022
Israele e Libano hanno entrambi buoni motivi per contendersi questi giacimenti. Al Libano, paese che si trova da tempo in una crisi economica molto grave, permetterebbero di rilanciare l’economia, aumentare l’occupazione e limitare la propria dipendenza da fonti energetiche straniere. A Israele permetterebbero invece di fare nuovi affari con l’Unione Europea, proponendosi come esportatore di gas in un momento in cui i paesi europei si affrettano a ridurre la propria dipendenza energetica dalla Russia.
A riaccendere la disputa tra Israele e Libano ha contribuito l’arrivo, lo scorso giugno, della nave israeliana utilizzata per lo stoccaggio e il trattamento del gas nella zona marittima contesa, in particolare nel giacimento di Karish, che si trova a circa 90 chilometri dalla costa israeliana. La nave era gestita dalla società britannica Energean, a cui Israele ha affidato lo sfruttamento del giacimento.
A giugno erano iniziate le operazioni per collegare la nave ai pozzi esplorativi già esistenti, con l’obiettivo di avviare operazioni di estrazione e stoccaggio a settembre. In risposta all’arrivo della nave israeliana, il governo libanese aveva chiesto un intervento mediatore da parte degli Stati Uniti, rivolgendosi in particolare ad Amos Hochstein, incaricato dal presidente americano Joe Biden proprio di gestire questa situazione.
Ma a inizio luglio Hezbollah aveva inviato tre droni verso la nave: Israele li aveva intercettati e distrutti e l’attacco non aveva avuto conseguenze, ma aveva fatto capire molto chiaramente che l’ipotesi di un conflitto è tutt’altro che remota o irrealistica.
Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, il 9 agosto ha detto che «qualsiasi braccio» deruberà il Libano delle sue ricchezze «verrà tagliato». Il fatto che a pronunciare queste parole sia stato proprio Nasrallah è importante: anche se non ha nessun incarico di governo, è considerato uno degli uomini più potenti del Libano. Oltre al fatto che lo stesso Hezbollah ha capacità militari per certi versi maggiori e più minacciose dello stesso esercito libanese, in parte grazie al potente arsenale di razzi e droni ricevuti soprattutto dall’Iran.
Non è chiaro se il mese prossimo Israele procederà o meno a estrarre il gas dal giacimento di Karish, come previsto. C’è chi ritiene che un nuovo attacco di Hezbollah possa provocare un’escalation se non addirittura una nuova guerra tra Israele e Libano, che sul territorio non combattono dal 2006, anno del violento conflitto combattuto per oltre un mese tra Israele ed Hezbollah in Libano e nel nord di Israele. Da allora Israele ha compiuto attacchi contro depositi di armi e convogli di Hezbollah, ma lo ha fatto soprattutto in Siria e non in territorio libanese.
Il governo del Libano guidato da Najib Mikati ha invitato Hezbollah a non intervenire nella disputa in corso con Israele, ma alcuni funzionari israeliani temono che non lo farà: negli ultimi tempi il gruppo ha perso consenso e popolarità in Libano, e mostrarsi intransigente e bellicoso sulla questione del gas potrebbe essere un modo per tentare di recuperarli: «Hezbollah ha bisogno di riacquistare legittimità come gruppo armato» e come organizzazione di «resistenza», ha detto all’Economist Tamir Hayman, ex comandante dell’intelligence militare israeliana ora a capo dell’Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale di Tel Aviv.
Secondo Hayman, attaccare Israele per i diritti di esplorazione energetica è un modo per affermare che è in corso una «occupazione israeliana» del mare e giustificare così i nuovi attacchi come operazioni difensive.