Dopo Moonlight, A24 si è fatta notare – alternando distribuzione e produzione – con film come The Florida Project (descritto a suo tempo come «sia il film più allegro che quello più straziante dell’anno»), First Reformed, Hereditary (gli horror, come questo, sono una sottocategoria parecchio peculiare quando si parla dei film di A24), Eighth Grade, The Lighthouse, Midsommar, Diamanti grezzi, First Cow, Lady Bird, Minari, Red Rocket Macbeth e con Everything Everywhere All at Once. Quest’ultimo arriverà in Italia in autunno ma dove è già uscito è in genere piaciuto molto, diventando il primo film di A24 a incassare oltre 100 milioni di dollari, pari a quattro volte il suo budget.
A24 non fa film come gli altri
La casa di produzione indipendente di "Moonlight" ed "Euphoria" si è fatta notare per film e serie originali, ma non solo
di Gabriele Gargantini
A24 è una casa di distribuzione e produzione cinematografica statunitense. In quanto non controllata da nessuna grande azienda o società cinematografica, si può considerare indipendente. Dato che solo un suo film ha incassato oltre 100 milioni di dollari, la si può anche considerare piccola. E siccome esiste solo dall’agosto 2012 è anche piuttosto giovane.
Nonostante questo, A24 – che deve il suo nome all’autostrada che collega Roma con Teramo passando per L’Aquila – è piuttosto famosa ed è oggetto di attenzioni che sono senz’altro insolite per una casa cinematografica, specie se indipendente, piccola e giovane. In parte, è perché ha saputo scegliere e produrre film originali e coraggiosi come The Lobster, Midsommar, Ex Machina, Diamanti grezzi, Lady Bird, Room, American Honey, Hereditary, The Florida Project, Under the Skin e The Witch.
In parte è però anche merito delle strategie di marketing e di branding con cui A24 ha saputo vendere i suoi film, ma anche se stessa e i suoi prodotti.
A24 «è un po’ la Miramax, ma è un po’ anche Supreme», aveva scritto qualche mese fa Joe Berkowitz su Fast Company, unendo in una sintetica definizione la casa di produzione indipendente guidata da Harvey Weinstein, che ottenne i suoi più grandi successi negli anni Novanta, e uno dei più importanti marchi di streetwear di oggi, conosciuto soprattutto per l’esclusività e la rarità di certi suoi prodotti.
A24 è insomma una casa di produzione cinematografica – e da qualche anno televisiva – riconoscibile e apprezzata, che ormai ha oltre 100 film a catalogo e che è stata capace di passare, in meno di cinque anni, dall’avere un piccolo ufficio con una manciata di dipendenti a vincere, nel 2017 con Moonlight, l’Oscar per il miglior film (una cosa che ancora non è riuscita a fare nemmeno Netflix). Una casa cinematografica che ha saputo rendersi riconoscibile al punto che, sebbene siano spesso molto diversi tra loro, talvolta si parla dei “film di A24” così come si parla dei film di un certo regista.
Ma A24 è anche un marchio al centro di una quasi venerazione da parte di qualcuno e protagonista di meme e prese in giro da parte di qualcun altro: «questa azienda iconoclasta» – ha scritto Nate Jones su Vulture in un articolo intitolato “Il culto di A24” – «ha allevato alcuni superfan, ha coltivato swag e ha perfezionato un suo stile unico, ma è anche sull’orlo dell’autoparodia».
A24 fu fondata il 20 agosto 2012 da tre soci – Daniel Katz, David Fenkel e John Hodges, tutti fra i 30 e i 40 anni – e in gran parte con soldi provenienti da Guggenheim Partners, un’imponente società di servizi finanziari in cui aveva lavorato Katz, contribuendo per esempio a finanziare la produzione di Twilight e The Social Network. Katz, Fenkel e Hodges erano tre appassionati di cinema, in particolare del cinema indipendente degli anni Novanta, e tutti e tre avevano avuto a che fare per lavoro con il mondo del cinema.
«I film ci sembravano meno belli e interessanti rispetto a come erano stati un tempo» ha detto Katz: «e per noi era il segnale di un’opportunità».
In una delle pochissime occasioni in cui uno dei tre ha parlato di A24, Katz ha raccontato a GQ che l’idea per il nome della società e la decisione definitiva di fondarla per “distribuire film con un peculiare punto di vista” arrivarono insieme, mentre con alcuni amici era in Italia, in auto lungo l’autostrada A24 Roma-Teramo.
Oggi A24 ha almeno cento dipendenti sparsi tra Londra, Los Angeles e Manhattan, ma nel 2012 i dipendenti erano otto e lavoravano, secondo quanto detto da Hodges, in un piccolo spazio di New York (quindi parecchio lontano da Hollywood) che sembrava uno di quegli uffici finti messi in piedi da qualche azienda truffaldina.
Avviare una società cinematografica da zero, seppur con i capitali di Guggenheim Partners, non era però cosa facile. Per produrre film serve infatti investire molto su film che, se tutto va bene, arriveranno nei cinema dopo svariati mesi, che nel caso del cinema indipendente si dovranno scontrare contro gli imponenti film delle cosiddette major e i cui incassi sono soltanto ipotetici. «Il cinema indipendente è un posto in cui molte ambiziose nuove società vanno a morire», ha scritto Jones, secondo il quale uno dei migliori esiti possibili è «riuscire a scansare la bancarotta fino al momento in cui si viene comprati da una major o da una grande azienda» (come Netflix, Disney o Apple).
Anzitutto, per i suoi primi anni A24 scelse di essere solo una casa di distribuzione, limitandosi cioè ad acquisire i diritti per la distribuzione (in determinati paesi e a specifiche condizioni) di film già finiti, fatti e prodotti con i soldi di altri. L’evidente vantaggio è di doversi sobbarcare minori costi, visto che – almeno negli Stati Uniti – anche un film indipendente può costare diversi milioni di dollari. Lo svantaggio è doversi accontentare di scegliere film già fatti da altri e, spesso dopo aver partecipato ad aste con altri distributori, accettare di mettere in conto minori margini di guadagno.
Per risparmiare, A24 scelse fin da subito di evitare quasi del tutto la promozione tradizionale fatta di cartelloni, locandine e magari trailer televisivi o radiofonici e di puntare invece molto sulla promozione online, in particolar modo indirizzata a spettatori molto attivi su internet, che fossero anche discretamente cinefili e in genere con un’età compresa tra i 20 e i 40 anni.
Il primo film distribuito da A24 fu A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan III, con Charlie Sheen protagonista e con Roman Coppola (figlio di Francis Ford Coppola). Andò male, ma già conteneva certi elementi che poi sarebbero diventati comuni a diversi film di A24: una trama strana, una forte identità visiva, una serie di caratteristiche da film d’autore unita però a una certa ricerca di elementi commerciali.
Andò molto meglio, pochi mesi dopo, con Spring Breakers: uno strambo film ambientato in Florida, con una fotografia d’effetto, con personaggi giovani, sfrontati e sboccati che fanno cose sbagliate e con un bizzarro gangster con le treccine interpretato da James Franco. Costato circa 5 milioni di dollari, Spring Breakers ne incassò oltre 30. Per promuovere Spring Breakers online, A24 fece girare un’immagine con i personaggi del film nel contesto del Cenacolo di Leonardo Da Vinci, con Franco al posto di Gesù.
Seguirono, tra il 2013 e il 2016, diversi altri film che in genere ebbero incassi soddisfacenti e che soprattutto riuscirono a farsi notare e associare ad A24: Bling Ring di Sofia Coppola (tratto dalla storia vera di alcuni giovani ladri ossessionati dai vip), Under the Skin (un horror fantascientifico con Scarlett Johansson), Locke, 1981: Indagine a New York, Ex Machina (per il quale creò un bot Tinder con le sembianze della protagonista umanoide interpretata da Alicia Vikander), il documentario Amy, lo stranissimo The Lobster, il molto apprezzato Room e il cupo horror The Witch (che contiene una capra per la quale fu creata una presenza social di discreto successo) e Swiss Army Man, in cui Daniel Radcliffe è un cadavere che emette flatulenze.
Tutti questi film erano distribuiti, non prodotti. A24 li valutava e, se riusciva a ottenerne i diritti, li promuoveva e portava nei cinema. Ed è notevole che già allora, ancor prima di prodursi i suoi film, A24 riuscì a farsi conoscere, riconoscere e raccontare.
«È assurdo che ci sia un articolo su una società di distribuzione» disse più o meno in quel periodo l’attore Robert Pattinson contattato da GQ per un articolo su A24. E come scrisse quello stesso articolo, spesso la distribuzione è in effetti come un impianto idraulico: «non lo vedi, non ci fai caso e te ne accorgi solo se qualcosa non funziona».
A24, che già nei suoi primi anni aveva vinto alcuni Oscar, nel 2017 vinse quello più importante, per il miglior film, e lo fece con Moonlight, il primo film di cui curò la produzione. Barry Jenkins, regista di quel film, spiegò così l’audacia che A24 ebbe nel puntare proprio su Moonlight per il primo film di sua produzione: «Se ti dicessi che sto lanciando una casa di produzione e che voglio investire i miei soldi su un film che è un trittico su un ragazzo nero gay la cui madre è tossicodipendente, fatto da un regista che fino a quel momento aveva fatto un film costato 15mila dollari, tu cosa mi diresti?».
Da qualche anno, A24 si è avventurata anche nella serialità televisiva: ha coprodotto Euphoria, la cui prima stagione ha avuto molto successo nel 2019 e la seconda ancora di più nel 2022. E tra le altre, le serie I’m Sorry, Ramy e The idol, in uscita nel 2022.
Nella sintesi di Vulture, «se il 2017 e il 2018 sono stati la primavera di A24, il 2019 è stata la sua estate». Come ogni altra casa di produzione e distribuzione, anche A24 ha sofferto le conseguenze della pandemia, sembra però che negli ultimi mesi sia riuscita a riprendersi molto bene, vedendo aumentare fino al 2 per cento (valore che rende bene l’idea di come resti comunque una società piccola) la quota di mercato cinematografico che occupa negli Stati Uniti.
Nonostante questa piccola percentuale, quando qualche mese fa Variety parlò della possibilità – che per ora non si è concretizzata – che A24 venisse venduta a più grandi società o case di produzione, si parlò di una sua valutazione vicina ai 3 miliardi di dollari. Più di un terzo rispetto a quanto Amazon pagò per comprarsi MGM, una storica casa di produzione cinematografica, che esiste da quasi un secolo e controlla alcuni dei film più famosi della storia del cinema, oltre ad avere i diritti di diverse importanti storie.
Non è immediato trovare oggettivi tratti comuni e costanti in oltre cento film di generi diversi, alcuni di fantascienza e altri ambientati secoli fa, alcuni comici e altri drammatici e fatti da registi e registe tra loro diversissimi, in un periodo di tempo relativamente breve ma durante il quale per il cinema sono cambiate molte cose. Si possono però trovare alcune caratteristiche che ricorrono nei diversi film scelti da A24, in genere quelli di maggior successo.
Soprattutto se si guarda ai primi anni, quelli della distribuzione, i film di A24 erano strani, generati da un’idea parecchio originale e fuori dal comune, presentati con una fotografia che si faceva notare. In diverse occasioni, inoltre, erano film che sembravano contenere caratteristiche o singole scene capaci di avere vita autonoma online: come singolo video, come GIF o magari come meme. «La tua esperienza con un film di A24» ha scritto Jones «non finiva con i titoli di coda, parte del divertimento arrivava dopo».
Oltre a questo, dal Cenacolo di Spring Breakers in poi, A24 si è distinta nel tempo per la capacità di sorprendere: a volte con iniziative promozionali bizzarre, altre volte facendo uscire film di cui, poco prima, non si sapeva quasi niente. È probabile che a livello di marketing cinematografico A24 non abbia davvero inventato niente di nuovo, ha però spesso sperimentato e, come ha scritto Jones, ha saputo col tempo diventare «sempre più sofisticata nel modo in cui esternalizza gli elementi chiave dei suoi film».
A livello di marketing, nel tempo A24 ha saputo distinguersi – fino ad arrivare a essere oggetto di parodie – anche per i suoi trailer, uno dei pochi strumenti di personalizzazione a disposizione di chi deve distribuire un film che ha comprato da altri. I trailer di A24 sono spesso ermetici, stranianti, evocativi: ben diversi dai trailer, sempre più diffusi negli ultimi anni, che talvolta sembrano quasi sintesi dei film.
Oltre a fare marketing dei suoi film, A24 – i cui profili Instagram e Twitter sono seguiti insieme da tre milioni di utenti – ha avuto il grande merito di fare marketing anche su se stessa, diventando essa stessa un brand, un marchio, non solo un’azienda che fa film.
Il sito di A24 ha una vasta sezione dedicata al merchandising, con prodotti legati ai film ma anche semplicemente al logo A24. In più, come dimostrato da quel parziale paragone con Supreme, A24 ha mostrato di saper padroneggiare certi meccanismi tipici del mondo della moda: per esempio i drop, cioè la messa in vendita di prodotti in edizione limitata e in piccole quantità, spesso con pochissimo preavviso.
In più, da qualche mese A24 ha anche una sorta di club esclusivo “all access” chiamato AAA24: costa cinque dollari al mese e permette di ricevere curiosità e approfondimenti su A24 e suoi nuovi film, qualche sporadica possibilità di avere biglietti omaggio e, soprattutto, la priorità d’acquisto di determinati prodotti o la possibilità di partecipare alle aste di alcuni oggetti di scena, non solo di film di A24. Non c’è, a differenza di quel che si potrebbe pensare, la possibilità di vedere in streaming alcuni film di A24.
A24 si è potuta permettere di creare un club esclusivo perché, in effetti, è una casa di produzione a cui è dedicato un canale di Reddit seguito da 75mila utenti ed è al centro di video di TikTok che ne analizzano l’estetica generale; una casa di produzione le cui magliette di seconda mano si vendono anche per 100 dollari e che la grafica statunitense Lauren Robinson ha scelto come festa a tema per i suoi 24 anni. Tutte cose che non si possono dire per quasi ogni altra casa di produzione.
@laurenrobinson827 had an A24 party for my 24th year of life and the friends understood👏🏼the👏🏼assignment👏🏼😩
Per quanto riguarda invece le caratteristiche prettamente cinematografiche dei film di A24, tra chi ci ha collaborato emerge in genere il piacere legato ad aver collaborato con qualcuno che si interessa e si intende davvero di cinema e che tende a lasciare grandi libertà a registe e registi. «Una delle cose in cui sono grandi» ha detto James Franco «è prendere qualcosa di piccolo e delicato e supportarlo come altri non saprebbero fare». Brie Larson, che grazie al suo ruolo in Room, distribuito da A24, vinse l’Oscar come miglior attrice protagonista, ha detto invece: «A24 ha l’abilità unica di trovare, difendere e proporre storie autentiche, crude e oneste». Secondo Jenkins, nei film di A24 «si sente sempre uscire la voce di chi li ha pensati e diretti».
Un’altra caratteristica comune a diversi film di A24 è che riescono spesso a essere artistici, strani e autoriali (in un modo simile con cui lo sono molti film della piattaforma Mubi) eppure allo stesso tempo anche commerciali e “di massa”, quasi mai percepiti come lenti, respingenti o esageratamente filosofeggianti.
Secondo Jones A24 ha avuto il merito di fare con il cinema quello che certe etichette discografiche indipendenti del passato riuscivano a fare con certa musica. Inoltre, secondo lui, «quel che accomuna i film di A24, belli o brutti che siano, è che sono quasi sempre film che non avrebbero potuto essere fatti o distribuiti da altri».
Secondo diversi seguaci di A24 contattati da Jones per il suo articolo sulla casa cinematografica, i suoi film hanno il merito di essere «eclettici, eccentrici, immersivi e autentici». Resta però difficile da capire quanto e quando sia così e quando invece sia soprattutto merito di una efficace costruzione d’immagine. Quanto A24 si sia distinta grazie ai film e se e quanto possa invece essere una questione di comunicazione o moda.
Per chi lo voglia, online si trovano molte liste o classifiche dei migliori film di A24. Ce n’è anche una fatta da Jones di tutti i film di A24 dal peggiore (La scomparsa di Sidney Hall) a quello che a suo dire è il migliore: Hereditary.