L’arte contemporanea ha un problema di deperibilità
È spesso meccanica o fatta di materiali problematici – talvolta perfino vivi – che bisogna decidere se manutenere o far andare a male
Che le opere d’arte siano deperibili è cosa ben nota, specie quando si parla di dipinti e affreschi di millenni o secoli fa. Ciò che forse è meno noto è che il deterioramento è una questione centrale – sia pratica che concettuale – anche per l’arte contemporanea.
Nell’arte contemporanea, infatti, entrano spesso in gioco questioni di «perdita, conservazione e autenticità», come ha raccontato BBC in un articolo dedicato al cosiddetto “inherent vice” (il vizio di forma che si verifica quando un qualche oggetto tende a rovinarsi o consumarsi in conseguenza di come è stato realizzato o dei materiali di cui è composto).
Tra i casi più strani, BBC cita quello relativo all’arte creata dal pittore e scultore 75enne Anselm Kiefer, uno che delle sue opere dice: «mi rendo conto che non sia semplice averle». Tra queste, alcune contengono elettrodi, la cui presenza causa ossidazione metallica; e altre ancora sono talmente precarie che spesso arrivano a gallerie, musei o proprietari con qualche pezzo in meno rispetto a quando erano partite. Kiefer, peraltro, è uno secondo cui «forse un’opera è davvero completa solo quando si rovina».
Le opere di Kiefer comunque non sono sole: basta pensare, tra le tante, alle opere fatte con prodotti alimentari, come il formaggio o il cioccolato usati dall’artista svizzero Dieter Roth. Ci sono inoltre molti artisti che, ha scritto BBC, «continuano a sfidare i musei facendo opere con materiali come sapone, sangue o feci». Per non parlare delle opere che sono alimenti, che si mangiano.
Un piuttosto noto caso di deterioramento artistico contemporaneo riguarda The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living (L’impossibilità fisica della morte nella mente di un vivo), opera d’arte del 1991 del britannico Damien Hirst, che ha spesso composto opere con corpi imbalsamati di animali – squali, pecore, mucche – immersi in grandi vasche piene di formaldeide; e poi anche con pesci vivi.
Nel caso di The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living nella vasca di formaldeide c’è uno squalo tigre di quattro metri. Il problema è che, come ricorda Miller, poco dopo essere stato messo in quella particolare vasca, «lo squalo iniziò a decomporsi piuttosto rapidamente» e l’opera cominciò a emanare «un odore per nulla piacevole».
Questo non impedì però all’opera di essere comprata, nel 2004, per diversi milioni di dollari, una vendita a cui Hirst reagì provando a ristrutturare la sua opera. Il tentativo andò però male e Hirst decise quindi di rifare da capo l’opera con un nuovo squalo e con la collaborazione di alcuni esperti del museo di storia naturale di Londra.
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Oltre a casi legati a opere in materiali problematici o con sostanze deperibili, ci sono poi le questioni legate alla cosiddetta arte cinetica, fatta cioè di parti meccaniche o con elementi in movimento. È il caso di una struttura artistica realizzata nel 1954 dallo svizzero Jean Tinguely, che nel 1988 il Centre Pompidou di Parigi decise però di fermare, cosa a cui Tinguely reagì dicendo: «le mie opere non sono pensate per l’eternità, si logorano e finiscono nell’ammasso di spazzatura da cui sono arrivate».
Ci sono inoltre i casi delle opere e delle installazioni artistiche che per esistere o funzionare necessitano dei cosiddetti “Time-Based Media”, cioè di determinati strumenti o supporti tecnologici, come per esempio una pellicola o un televisore a tubo catodico. È il caso, quest’ultimo, di Video Flag Z, un’opera di videoarte realizzata negli anni Ottanta dallo statunitense Nam June Paik. Video Flag Z è infatti composta da 84 schermi televisivi a tubo catodico, e come ha scritto Norman Miller, autore dell’articolo di BBC, «le loro immagini tremolanti sono parte integrante dell’opera».
Finché è stato possibile, il LACMA (Los Angeles County Museum of Art) ha sostituito gli schermi rotti; siccome diventava sempre più difficile trovarne si è però scelto – con il benestare da parte di chi controlla le opere di Paik, morto nel 2006 – di usare nuovi schermi apportando però le necessarie correzioni per farli sembrare schermi vecchi.
Ancor più difficili sono poi le opere che contengono forme di vita: che possono essere batteri, funghi, piante o anche pesci (come nel caso di Love Lost, opera del 2000 di Hirst). In questi casi, ovviamente, le opere sono pensate fin da subito per poter mutare e per certi versi sfidare la tradizionale immobilità e immutabilità dell’arte, senz’altro rappresentano però diversi ordini di problemi per chi si deve trovare a gestirle.
Al cambiamento o al deperimento di opere e installazioni artistiche si può rispondere in modi che variano anche a seconda delle leggi in vigore in diversi paesi e, soprattutto, dal fatto che gli artisti acconsentano o meno a fare modifiche. Ci sono infatti casi in cui artisti e artiste collaborano e accettano che le loro opere vengano preservate; altri in cui sostengono invece che il decadimento sia parte dell’opera.
Interpellato sull’argomento da BBC, Glenn Wharton – professore di storia dell’arte e conservazione dei materiali culturali – ha detto che oltre a essere senz’altro una sfida per musei, collezionisti e curatori, la rapida deperibilità di molta arte contemporanea è una interessante e stimolante novità: «se l’arte fosse fatta solo per durare nel tempo, sarebbe tutto fatto in granito, e sarebbe un mondo molto noioso».