Le firme digitali non valgono per presentare le liste
Lo hanno deciso le Corti d'Appello nelle quali le aveva depositate Marco Cappato per la sua lista Referendum e Democrazia
La lista Referendum e Democrazia, fondata qualche settimana fa dall’ex europarlamentare e attivista Marco Cappato, sta cercando da giorni di ottenere il riconoscimento delle firme digitali depositate lunedì a sostegno della candidatura alle elezioni politiche del 25 settembre. Le Corti di Appello nelle quali sono state consegnate, infatti, le hanno respinte, con quella che secondo Cappato è una interpretazione datata e restrittiva delle leggi, visto che ormai sono equiparate alle firme tradizionali in molti ambiti, come i referendum o la pubblica amministrazione.
Cappato, che è noto per il suo impegno per il riconoscimento del diritto al suicidio assistito, ne sta facendo una battaglia di principio e sta chiedendo al governo Draghi di intervenire con un decreto legge per fare chiarezza sulla validità delle firme digitali anche in materia elettorale. Referendum e Democrazia dice che porterà i ricorsi nelle sedi internazionali, se sarà necessario.
Per poter depositare le proprie liste di candidati alle elezioni di settembre, e cioè per comparire fisicamente sulle schede elettorali, i partiti hanno dovuto raccogliere almeno 750 firme per ciascun collegio plurinominale in cui è diviso il territorio nazionale: un totale di almeno 36.750 firme per la Camera e 19.500 per il Senato per presentarsi in tutta Italia. Erano esentati i partiti che avevano un gruppo parlamentare lo scorso 31 dicembre, o che alle ultime elezioni avevano eletto deputati o superato l’1% in coalizione, così come i partiti che si sono coalizzati con altri già presenti in Parlamento (per esempio Azione, alleato di Italia Viva).
Queste esenzioni hanno evitato la raccolta firme a gran parte dei partiti più piccoli, ma non a tutti. Altri, come Unione Popolare di Luigi De Magistris, Italexit di Luigi Paragone e Italia Sovrana e Popolare di Marco Rizzo, hanno dovuto raccoglierle fisicamente nei banchetti, ma con enormi difficoltà. Il tempo infatti è stato pochissimo: meno di un mese. Le firme dovevano essere autenticate, quindi raccolte in presenza di sindaci, amministratori locali o funzionari comunali, notai o avvocati, e di persone elettrici nel collegio in questione. Non si è insomma potuto firmare se si era lontani da dove si ha la residenza, e per giunta in pieno agosto.
I rappresentanti dei partiti più piccoli per settimane hanno protestato contro queste regole, ritenendole ingiuste e antidemocratiche: perché hanno favorito i partiti già esistenti e più strutturati a sfavore di quelli di più recente formazione.
Se è normale che alle elezioni non si possa candidare qualsiasi partito, e sia necessario dimostrare una soglia minima di adesione e sostegno da parte del corpo elettorale, raccogliere quasi 60mila firme in agosto in meno di un mese è stato giudicato un prerequisito eccessivamente penalizzante per le forze più piccole.
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Cappato e la lista Referendum e Democrazia hanno deciso quindi di raccogliere le firme in formato digitale, proseguendo una battaglia che portano avanti da molto tempo e che aveva ottenuto un primo grande successo l’anno scorso con l’ammissione delle centinaia di migliaia di firme digitali che avevano sostenuto i referendum su cannabis ed eutanasia, poi bocciati dalla Corte Costituzionale (ma per problemi di formulazione).
Quella dell’ammissione delle firme digitali per i referendum era stata ritenuta da molti una svolta importante nel funzionamento della democrazia in Italia, ed era stata resa possibile da un emendamento alla legge di conversione del decreto semplificazioni che aveva permesso di raccogliere le firme dei sottoscrittori online grazie alla firma digitale, cioè quella che garantisce l’identità del cittadino attraverso sistemi diversi, compreso lo SPID. Senza banchetti, carte e scartoffie per firmare su appositi fogli di carta, come si faceva prima.
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Secondo Cappato, non c’è motivo per cui le firme digitali debbano valere per un referendum, e per moltissime altre pratiche amministrative ufficiali e con valore legale, e non per sostenere le liste elettorali.
Per questo, Referendum e Democrazia ha raccolto le firme online, per tutto il territorio nazionale (dovendo peraltro chiedere un contributo di 1,50 euro, visto che non c’è una piattaforma pubblica per raccoglierle, ma bisogna usare servizi privati). Alla fine la lista ha raccolto le firme necessarie in una serie di collegi di Camera e Senato tra Lombardia, Lazio, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna, consegnandole comunque tutte, anche nei collegi in cui non era stata superata la soglia minima, alle Corti d’Appello dei capoluoghi di regione nel formato di chiavette USB.
Le chiavette erano state accettate in tutte le Corti, cosa che Cappato aveva commentato positivamente, avvertendo però che non voleva dire che sarebbero state riconosciute. Infatti le Corti d’Appello dove erano state consegnate abbastanza firme hanno deciso di escludere Referendum e Democrazia. «Le motivazioni differiscono ma, in tutte le circoscrizioni, non si è tenuto conto delle modificazioni legislative sopravvenute dall’adozione della legge elettorale e dall’introduzione della firma digitale certificata per sottoscrivere documenti ufficiali» ha spiegato la lista.
Secondo Cappato, oltre ai ricorsi alle Corti a risolvere la situazione potrebbe essere un decreto del governo Draghi, visto che in passato questo strumento è già stato usato per fare chiarezza su questioni elettorali. In questi giorni hanno sostenuto le rivendicazioni di Cappato diversi altri esponenti politici, come De Magistris e Angelo Bonelli dei Verdi.