La storia del campo rom e della discarica abusiva di Scordovillo, a Lamezia Terme

Tra ordini di sgombero, delibere mai applicate, commissariamenti e incendi responsabili di fumi tossici in tutta la zona

L'incendio dell'11 agosto a Scordovillo (Foto vigili del fuoco)
L'incendio dell'11 agosto a Scordovillo (Foto vigili del fuoco)
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L’11 agosto, all’alba, c’è stato un incendio a Lamezia Terme (Calabria), nell’area di Scordovillo, dove si trova il più grande campo rom del Sud Italia. Sono bruciate cataste di rifiuti di vario genere: plastiche, gomme, carcasse di elettrodomestici, bombole vuote di gpl. Nei giorni successivi all’incendio, giornali e televisioni locali sono tornati a occuparsi di quell’area, che da molti anni è oggetto di inchieste della magistratura, polemiche politiche e proteste dei cittadini. Sono due i grandi problemi legati alla zona: le condizioni di vita precarie dal punto di vista della salute e della sicurezza nel campo rom e l’inquinamento da fumi tossici prodotto dai numerosi incendi appiccati per lo smaltimento abusivo di rifiuti.

Accanto al campo rom di Scordovillo, che è adiacente all’ospedale Giovanni Paolo II, si trova infatti una grande discarica abusiva dove si sono accumulati negli anni rifiuti di ogni genere. Secondo le denunce del comitato Cittadini attivi fumi tossici Lamezia Terme, di quella discarica si sono servite ditte della zona che hanno smaltito illegalmente i propri rifiuti ma anche cittadini che hanno gettato di tutto approfittando del traffico illecito di rifiuti praticato da alcuni residenti del campo rom.

Quello dell’11 agosto è solo l’ultimo di una serie di incendi. Il più grande fu quello di un anno fa: il 14 luglio 2021 materiali tossici, bruciando, resero irrespirabile l’aria in tutta Lamezia Terme. Quel giorno andarono a fuoco centinaia di copertoni, carcasse di automobili, resine sintetiche, rifiuti di ogni tipo. Nei giorni successivi furono rilevati livelli di anidride solforosa da dieci a 15 volte superiori a quelli rilevati negli anni precedenti. Non sono mai stati resi noti invece quali furono i livelli di diossina: le analisi furono fatte ma i risultati non vennero pubblicati.

Tre settimane prima dell’incendio del luglio 2021 erano state arrestate 39 persone in un’operazione diretta dalla procura di Catanzaro e dalla Direzione distrettuale antimafia denominata “Quarta chiave”. L’indagine era iniziata nell’agosto del 2019 dopo un altro incendio, che si era sviluppato a Scordovillo con lo sprigionamento, anche in quel caso, di fumi tossici. Secondo la magistratura all’interno dell’area si svolgeva un’attività imprenditoriale illecita per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti.

In quell’occasione vennero anche confiscate sei aziende. Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri disse, commentando gli arresti: «Purtroppo questa zona di Lamezia Terme appare come un fortino dove gruppi di persone hanno reiterato l’illecito. Abbiamo ettari di territorio inquinati in modo quasi irreversibile perché c’è una penetrazione profonda nei terreni anche di metalli pesanti che non so quali conseguenze potrebbero avere sul piano ambientale. Sicuramente abbastanza importanti e invasive».

Alcune analisi effettuate nell’area dall’Arpacal (Agenzia regionale protezione ambientale Calabria) avevano rilevato il superamento dei livelli previsti per legge di metalli pesanti come piombo, rame, zinco e idrocarburi pesanti e composti chimici.

Il comandante dei carabinieri di Lamezia Terme, Sergio Molinari, spiegò in cosa consisteva il sistema illegale di smaltimento dei rifiuti: «A Scordovillo i rifiuti non sono il prodotto della vita quotidiana del campo ma vengono importati perché sono materiale di risulta, residui ferrosi, rame (materiale oggetto di rivendita) e sono incorporati in televisori, cavi, autoveicoli e quindi tutto questo viene importato nel campo, smembrato, la parte utile viene trasportata a ditte compiacenti e la parte di risulta viene smaltita illegalmente. Questo crea un indotto economico perché tonnellate di ferro e di rame equivalgono a migliaia di euro».

I materiali inutili vengono bruciati. «La combustione spregiudicata dei rifiuti», disse il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla, «determina quelle esalazioni e quei fumi tossici in un contesto territoriale che è particolarmente sensibile perché prossimo all’ospedale di Lamezia Terme».

Dopo l’incendio del 2021, le proteste dei cittadini si sono fatte più intense. Nel dicembre dello stesso anno la giunta comunale approvò due delibere che prevedevano lo stanziamento di fondi: 500 mila euro decisi dal ministero dell’Interno in seguito alle proteste dei cittadini, per la pulizia dell’area, l’installazione di un sistema di videosorveglianza e i primi ricollocamenti, in abitazioni di Lamezia Terme, di abitanti del campo rom. Per molti mesi di quelle delibere non si è però saputo più nulla.

Il 23 agosto il comitato dei cittadini ha incontrato il sindaco di Lamezia Terme, Paolo Mascaro, che ha spiegato che le delibere non avevano avuto seguito per «carenza di personale» e che però a breve sarà presentato un cronoprogramma per stabilire i tempi di intervento.

«Leggendo le delibere», ha raccontato Fabrizio Basciano, portavoce del comitato Cittadini attivi, «si scopre che sono stati destinati 81mila euro per l’impianto di videosorveglianza e 260 mila euro per la pulizia dell’area. La pulizia dell’area però era già stata effettuata dopo il grande rogo del luglio 2021. Com’è possibile che in pochi mesi, dal luglio al dicembre 2021, si sia resa necessaria una nuova pulizia per cui stanziare 260 mila euro?».

Una delibera prevede poi 8mila euro per il ricollocamento di quattro famiglie che vivono nel campo rom e l’affitto di abitazioni della durata di sei mesi: solo quattro famiglie, su mille persone che abitano il campo. Altri 60mila euro circa dovrebbero essere destinati a psicologi e mediatori culturali. Chiede Basciano: «Dopo sei mesi, che cosa succederà? Le famiglie rimarranno in quelle case? Non era possibile, come auspicato dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, affidare loro stabili confiscati alla mafia o case popolari non soggette a oneri d’affitto?».

Il campo rom di Scordovillo occupa una superficie di circa due ettari e confina con l’ospedale Giovanni Paolo II da cui è separato da un terrapieno della ferrovia. L’area è pubblica, comunale, mentre la strada d’accesso al campo è di proprietà delle ferrovie dello stato. Secondo il piano regolatore cittadino l’area del campo rom risulta essere «zona ospedaliera».

Nel settembre del 2021 un avvocato di Lamezia Terme presentò alla Commissione europea una denuncia nei confronti dell’Italia per violazione dei diritti comunitari. Nell’atto venivano denunciati «inerzia e abbandono dello stato italiano nei confronti degli abitanti, cittadini italiani, residenti nel comune di Lamezia Terme, del campo rom, località Scordovillo, lasciati vivere in baracche fatiscenti, privi di assistenza familiare, istruzione e sostegno civile». Secondo la denuncia, a Scordovillo venivano violati alcuni diritti fondamentali: la tutela della dignità umana, i diritti dei minori, il divieto del lavoro minorile, il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza e assistenza sociale, la protezione della salute e la tutela dell’ambiente.

Spiega Basciano: «Noi del comitato Cittadini attivi vogliamo chiarire che la nostra non è una lotta contro i rom che abitano nel campo: desideriamo invece che le loro condizioni di vita e insieme quelle degli altri cittadini di Lamezia Terme migliorino superando la logica del ghetto. Le condizioni in cui vivono quei cittadini e l’inquinamento ambientale prodotto dagli incendi della discarica abusiva aspettano soluzione da anni».

Quella dell’area di Scordovillo è una storia antica. L’ultimo censimento risale al 2011 quando vennero contate 130 unità abitative per un totale di circa 800 persone. Da allora però l’area si è ulteriormente allargata.

L’area del campo di Scordovillo (ANSA/CARABINIERI)

Già nel 2006 la procura aveva eseguito un primo sequestro dell’area adiacente al campo che veniva utilizzata come discarica abusiva. Nel 2011 venne ordinato un nuovo sequestro, questa volta di tutto il campo, con un differimento dello sgombero di trenta giorni per permettere agli abitanti di trovare nuove soluzioni abitative. Dopo alcuni mesi senza che accadesse nulla, il Noe di Catanzaro, Nucleo operativo dei carabinieri, presentò alla procura una relazione in cui venivano riportati i risultati dei campionamenti del terreno in cui era stata rilevata «elevata contaminazione da idrocarburi, piombo, cadmio e rame, con valori ben al di sopra della norma».

Il pubblico ministero di Catanzaro incaricato delle indagini chiese quindi lo sgombero del campo. Nella richiesta scriveva che l’emergenza umanitaria e ambientale era al contempo da affrontare con lo sgombero immediato e la bonifica dell’area interessata dal campo rom:

Non essendo ipotizzabili strumenti alternativi in considerazione della resistenza della popolazione rom ad integrarsi mediante l’occupazione in attività lecite ed in considerazione del fatto che il suo allontanamento dalla società civile è destinato a crescere in misura proporzionale alla crescita prevedibile della popolazione del campo e del correlato aumento dell’elusione massiccia dell’obbligo scolastico. La scuola, che potrebbe rappresentare la via maestra per l’integrazione, non fa il suo ingresso nel mondo rom ed il campo rom, di converso, diventa ancor più la palestra per l’addestramento al crimine delle nuove generazioni. I finanziamenti periodici per le bonifiche e/o le ristrutturazioni del campo si sono rivelati inefficaci quanto alla soluzione definitiva della questione rom, intesa nel suo significato complesso di fenomeno criminale ed umanitario, e di mero tamponamento di fortuna quanto all’emergenza generata di volta in volta, nel frattempo, dalla mancanza di una sistematica osservazione e prevenzione dell’involuzione delle dinamiche criminali interne alla popolazione rom.

Il 31 ottobre 2011 la procura di Lamezia Terme dispose lo sgombero ma il comune, la cui giunta era guidata dal sindaco di centrosinistra Giovanni Speranza, presentò un’istanza di dissequestro comunicando di aver presentato al ministero dell’Interno un progetto, chiamato Tre chiavi di Ciaiò, per ottenere un finanziamento in modo «da proseguire e potenziare lo sgombero del campo rom».

Il progetto prevedeva la creazione di 28 alloggi che ospitassero le famiglie sgomberate dal campo. La denominazione del progetto, Tre chiavi di Ciaiò, derivava dal nome dell’abitante del campo rom che, incontrando il ministro Coesione territoriale Fabrizio Barca nel 2012, aveva elencato le necessità della comunità rom per aumentare l’integrazione: scuola, lavoro, casa (l’inchiesta della magistratura venne chiamata Quarta chiave perché alle tre di Ciaiò era stata aggiunta quella della legalità).

La procura ritenne affidabile l’istanza e ordinò il dissequestro del campo rom.

Quattro anni dopo, nel 2016, la situazione non era però cambiata. Il giudice per le indagini preliminari di Lamezia Terme, su richiesta del pubblico ministero, emise ordinanze di arresto nei confronti di abitanti del campo ritenuti responsabili di plurimi incendi di rifiuti considerati pericolosi. Il giudice scrisse di «inquietante impatto ambientale». Dall’analisi del suolo erano emerse ancora una volta presenza di concentrazioni di idorcarburi e metalli pesanti che, scrisse il gip, «dimostrano, in maniera univoca, il rilascio di elementi tossici nella matrice suolo, con elevato rischio di inquinamento anche delle acque sotterranee». Le analisi del 2016 confermavano quelle svolte dieci anni prima, nel 2006.

Nel 2018 ci furono nuovi arresti, sempre per lo stesso reato, ci fu anche una nuova iniziativa del comune. Venne istituita l’Unità di progetto e messo a punto un piano denominato “Rom Scordovillo”.

Il progetto aveva questi obiettivi: «Identificazione e censimento di tutti gli abitanti, minori compresi; controllo della situazione economico patrimoniale di tutti i nuclei familiari, anche mediante l’ausilio dell’Agenzia delle Entrate e/o i nuclei di polizia tributaria; sgombero e abbattimento immediato degli insediamenti abusivi; sgombero e abbattimento dei container dei cittadini rom residenti a Lamezia Terme aventi diritto alle misure agevolative per la risistemazione alloggiativa che dovrà avvenire in modo graduale».

Nel marzo 2019 fu adottato un programma triennale di lavori pubblici (2019/2021) che prevedeva la «realizzazione di alloggi per cittadini rom» per 700mila euro.

Nel 2021 non era però cambiato nulla. Una nuova relazione dei carabinieri constatava l’assenza di interventi concreti e la permanenza di stati di precarietà e irregolarità diffuse aggravate da anni di espansione edilizia incontrollata. La relazione parlava di «opere relative ai servizi primari quali l’acqua potabile, la fognatura e l’energia elettrica realizzate per il campo progettato in origine, insufficienti e inidonei a causa della crescita incontrollata dell’insediamento in termini di popolazione presente, cui è corrisposta una crescita caotica e disordinata delle abitazioni, […omissis…] la viabilità all’interno del campo è stata compromessa dagli ampliamenti successivi degli insediamenti, che hanno progressivamente ristretto la carreggiata stradale fino ad interromperla in alcuni punti. Le stradine interne originariamente bitumate, sono allo stato dissestate e prive di un’adeguata canalizzazione per la raccolta delle acque superficiali».

Dall’inizio degli anni Duemila a Lamezia Terme si sono succedute giunte di centrodestra e centrosinistra e ci sono stati due commissariamenti: nel 2002 e nel 2017 il comune fu sciolto per infiltrazioni della ‘ndrangheta. Nessuna giunta e nessun commissario prefettizio, nonostante il denaro stanziato, ha mai risolto i problemi dell’area di Scordovillo.