Le aziende stanno già razionando il gas
La sospensione delle produzioni più energivore e le ferie prolungate hanno ridotto i consumi di gas, ma le bollette sono comunque aumentate
Negli ultimi giorni di campagna elettorale si è discusso molto della possibilità che il governo introduca un piano di razionamento del gas, cioè regole per limitare i consumi da parte delle aziende o delle persone. Il consiglio dei ministri discuterà di questo piano la prossima settimana: secondo le previsioni, le regole riguarderanno i consumi domestici, principalmente l’imposizione di un limite all’utilizzo del riscaldamento nelle case, e non quelli delle aziende come era stato inizialmente ipotizzato.
Lo studio di nuove regole era stato chiesto tra gli altri dall’associazione degli industriali, Confindustria, il cui presidente Carlo Bonomi aveva sollecitato il governo ad «affrontare seriamente e immediatamente la predisposizione di un eventuale piano di razionamento». Di fatto, però, moltissime aziende italiane hanno iniziato da tempo a razionare il consumo di gas e di energia elettrica per via dei costi insostenibili. Le più esposte ai rincari sono quelle che hanno gas ed elettricità al centro della produzione: l’industria metallurgica, del vetro, della carta e della ceramica, ma i forti aumenti incidono in tutti i settori della manifattura e anche sui negozi.
Il notevole e costante rincaro del prezzo del gas avvenuto dall’inizio dell’anno ha costretto molti imprenditori e imprenditrici a rivedere i bilanci e le aspettative per il 2022. Il 25 agosto il prezzo del gas ha superato i 315 euro per megawattora nel Title Transfer Facility (TTF), il principale mercato per gli scambi di gas. Un anno fa era a 50 euro per megawattora.
È un livello difficile da immaginare fino a pochi mesi fa, così alto da portare a soluzioni finora considerate di emergenza e che ormai fanno parte della normalità: c’è chi ha chiuso linee di produzione troppo energivore, chi ha allungato il periodo di chiusura estiva nella speranza di un calo dei prezzi in agosto, chi ha chiesto la cassa integrazione per i dipendenti.
Gli effetti dell’autorazionamento delle aziende sono già visibili. Secondo un’elaborazione dell’ISPI, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, sui dati di SNAM, la principale azienda di stoccaggio e distribuzione del gas metano in Italia, negli ultimi tre mesi il settore industriale ha consumato il 16 per cento in meno di gas rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. In generale in Italia il consumo di gas è calato dell’11 per cento rispetto al 2021.
La riduzione dei consumi, tuttavia, non ha sempre portato a un calo dei costi per le aziende per via dell’andamento eccezionale del prezzo del gas.
Alla Ita-Itiles di Fiorano modenese, in provincia di Modena, il gas è essenziale per garantire il processo di produzione delle piastrelle in gres porcellanato, uno dei prodotti italiani più esportati al mondo nel settore. La cottura delle piastrelle avviene a una temperatura di 1.150 °C in tre forni lunghi 120 metri, accesi 24 ore su 24, con una capacità produttiva di circa 30mila metri quadri giornalieri di piastrelle ceramiche di diverse dimensioni.
Andrea Spagni, presidente di Ita-Itiles, spiega che è impensabile continuare ad accendere e spegnere i forni per cercare di risparmiare perché in questo modo si consumerebbe più gas: «per il nostro settore l’ipotesi di fermare la produzione è sempre l’ultima opzione ed è segnale evidente di una gravissima ed insostenibile situazione». La limitazione dei consumi può essere raggiunta con investimenti sugli impianti per renderli più efficienti. Sono interventi utili a prescindere dall’andamento dei prezzi.
Nell’ultimo anno alla Ita-Itiles sono stati programmati lavori per 15 milioni di euro: il risultato è stato un calo dei consumi a parità di produzione, come previsto, ma i costi del gas sono comunque aumentati per via dell’andamento eccezionale dei prezzi.
A luglio l’azienda ha ricevuto una bolletta da un milione 882mila e 699 euro per un consumo di 898mila metri cubi di metano, nello stesso mese dello scorso anno aveva pagato 224mila e 288 euro per 942mila metri cubi, una spesa oltre 8 volte maggiore con un consumo di gas inferiore.
«Il prezzo del gas, sommato a quello dell’energia elettrica, che sta subendo aumenti simili, raggiunge ormai il 70 per cento del costo di produzione», spiega Spagni. «Già oggi molte imprese, ceramiche e non, stanno decidendo di non ripartire dopo la fermata agostana, perché non è sostenibile produrre a questi costi. Non riusciamo nemmeno ad immaginare uno scenario peggiore di questo ed abbiamo un assoluto bisogno di soluzioni concrete con misure rapidissime sia nazionali che internazionali».
In Italia le aziende della ceramica sono circa 260, concentrate prevalentemente in Emilia-Romagna, con più di 26mila addetti e un fatturato annuo di 7,5 miliardi di euro. Confindustria Ceramica, associazione che rappresenta la maggior parte delle aziende, ha proposto al governo diverse soluzioni per limitare gli effetti dei rincari, tra cui una moratoria sui mutui e l’estrazione di 2 miliardi di metri cubi di gas dai pozzi italiani chiusi e che potrebbero ancora produrre.
Il rischio, sostiene Giovanni Savorani, presidente di Confindustria Ceramica, è che le aziende italiane si presentino svantaggiate sul mercato internazionale. «Noi siamo esportatori per l’85% della nostra produzione», dice. «Rischiamo di perdere il lavoro di cinquant’anni fatto per conquistare i mercati internazionali».
Le conseguenze per l’export e per la competitività italiana sono soltanto alcuni dei tanti effetti poco considerati quando si discute dell’aumento del gas, che per le aziende non è solo un aumento dei costi. L’andamento così anomalo influisce anche sul rapporto con i clienti.
È molto complicato, per esempio, fare preventivi perché è difficile valutare come cambieranno i costi di produzione nei prossimi mesi. «Che prezzo posso proporre a un cliente se non so quanto pagheremo il gas tra un mese? I nostri forni rimangono accesi 24 ore su 24, tutti i giorni della settimana, e non possiamo farne a meno», dice Luciano Gambaro, presidente del consorzio Promovetro Murano, che riunisce le imprese artigiane che producono vetro artistico di Murano.
Gambaro spiega che molte aziende sono state costrette a ritoccare i listini, come è accaduto anche in molti altri settori, ma i rincari non bastano a colmare l’aumento delle spese e rischiano di avere effetti dannosi sulla competitività. «I clienti ci capiscono, anche all’estero, però i listini non possono crescere all’infinito e non possiamo cambiarli ogni tre mesi», dice. «La maggior parte delle imprese lavora su ordinazione, con consegne a 30 o 60 giorni. Pensare di spegnere i forni avrebbe conseguenze difficili da prevedere sulla nostra programmazione».
Un altro effetto trascurato riguarda i rapporti tra le aziende e i fornitori di energia. Molti gruppi medi o grandi hanno limitato la definizione di nuovi contratti proprio per via dell’andamento anomalo dei prezzi. Con le attuali incertezze, molti fornitori non sono nelle condizioni di modificare le offerte o di farne di nuove per attirare nuovi clienti. Per questo motivo fino al mese scorso i produttori di vetro artistico di Murano non riuscivano a trovare fornitori, una situazione che ora coinvolge anche molti altri settori.
«È un paradosso: ci dicevano che non potevano farci un contratto perché consumiamo troppo», spiega Gambaro. «Per fortuna siamo riusciti a trovare un accordo con due aziende fornitrici, altrimenti non avremmo avuto il gas».
Il persistente aumento del prezzo del gas influisce inoltre sulla bolletta dell’energia elettrica, con ripercussioni che hanno coinvolto anche settori meno energivori.
Artigiani e commercianti si sono visti recapitare bollette cresciute fino a sette volte rispetto allo scorso anno. A Firenze la Confcommercio, associazione che rappresenta i commercianti, ha invitato i suoi iscritti a esporre in vetrina la bolletta di luglio 2022 a confronto con quella dello scorso anno. L’iniziativa è stata promossa per sensibilizzare i clienti. Il Gran caffè San Marco, uno dei locali più noti del centro storico di Firenze, a luglio ha ricevuto una bolletta da oltre 22mila euro contro i 4.800 euro dello scorso anno.
Aldo Cursano, vicepresidente di Fipe-Confcommercio, la federazione italiana dei pubblici esercizi, è titolare di un bar a Firenze e spiega che tutti i commercianti hanno iniziato da tempo a limitare i consumi. Nei laboratori artigianali sono stati riorganizzati i processi produttivi per limitare al massimo l’utilizzo del gas e dell’energia elettrica, sono state programmate chiusure nelle fasce di servizio meno frequentate dai clienti. Molti hanno spento i condizionatori. In generale c’è più consapevolezza di quanto sia costoso far funzionare impianti e macchine utensili.
Il razionamento, insomma, c’è già. «Non c’è bisogno che la politica ci dica di risparmiare energia, perché siamo uomini e donne di impresa e sappiamo che in qualche modo dobbiamo onorare gli impegni a fine mese», dice Cursano. «Il problema però è che pur abbattendo i consumi ci arrivano comunque bollette triplicate. Siamo impotenti di fronte a questo andamento, per questo deve intervenire il governo».
Anche il modello di impresa dei negozi è a rischio, in quanto i costi energetici sono considerati una previsione di costo annuale che oggi è impossibile fare. Ritoccare i listini è difficile e delicato. «Non posso far pagare un caffè tre euro», dice Cursano. «Molti colleghi stanno pensando di sospendere l’attività in attesa che succeda qualcosa. Purtroppo questa fase così difficile porterà alla chiusura di molte imprese che faticavano già prima. Abbiamo chiesto al governo il potenziamento del credito di imposta per l’acquisto di energia elettrica, che oggi è al 15 per cento e secondo noi insufficiente».
Gli interventi governativi sui costi, suggeriti dalle aziende e peraltro già in parte introdotti negli ultimi mesi come provvedimento di emergenza, potrebbero ridurre il peso dei rincari per molti settori, a spese della collettività e senza incidere in modo diretto sul costo della materia prima.
Per questo già da maggio il presidente del Consiglio Mario Draghi aveva sollecitato l’imposizione di un tetto massimo al prezzo che i paesi dell’Unione Europea sono disposti a pagare per acquistare gas naturale.
«La Commissione è al lavoro su una proposta per introdurre un tetto al prezzo del gas, che sarà presentata al prossimo Consiglio Europeo», ha detto Draghi nel suo intervento al Meeting di Rimini il 24 agosto. «Il governo italiano ha spinto molto a livello europeo per avere un tetto massimo al prezzo del gas russo che importiamo. Alcuni paesi continuano a opporsi a questa idea, perché temono che Mosca possa interrompere le forniture. Però i frequenti blocchi nelle forniture di gas russo avvenuti quest’estate hanno dimostrato i limiti di questa posizione».