Non è facile organizzare una Festa dell’Unità

A Bologna inizia stasera la più grande d'Italia, tra molte difficoltà: c'entrano la campagna elettorale e la crisi di militanza nel PD

di Valerio Clari

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La Festa dell’Unità di Bologna, evento che inizierà giovedì sera ed è organizzato dal Partito Democratico della provincia di Bologna, è da tempo la più grande d’Italia per dimensioni e numero di presenze, anche quando la città non è indicata come sede “nazionale” (quest’anno toccherà a Palermo). Da anni viene allestita al parco Nord, in un ampio spiazzo con vista sulla tangenziale, dove ancora resiste la toponomastica del dopoguerra: via Stalingrado.

Quel terreno, che a due giorni dal via dell’edizione 2022 della Festa vedeva ancora un affannarsi di lavoratori tra avvitatori elettrici e muletti, è suolo pubblico, dato in concessione da BolognaFiere, società privata a partecipazione pubblica. A questa condizione pubblica si è appellato l’esposto di Fratelli d’Italia, che in queste settimane ha portato la Festa dell’Unità nel dibattito politico nazionale.

Secondo il partito di Giorgia Meloni, l’evento costituirebbe una violazione della par condicio (in realtà non c’entra nulla la par condicio, semmai la questione riguarda alcuni obblighi legati alla campagna elettorale e la discussione sull’uso di suolo pubblico). Il deputato bolognese di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami si è appellato al prefetto per chiedere di non autorizzarlo. Ne sono seguiti allarmi sul “silenziamento” della Festa dell’Unità, e una risposta del prefetto che in base a una legge piuttosto chiara sulle manifestazioni pubbliche ha vietato solo simboli di partito, manifesti inviti al voto e qualche limitato correttivo, provocando alla fine solo un po’ di ritardo nell’organizzazione dei dibattiti.

Sono problemi minori, in fin dei conti, in un contesto che invece vede limiti strutturali ormai consolidati negli anni nell’organizzazione delle feste di partito, un tempo efficiente strumento di finanziamento, oggi espressioni di orgoglio e di identità ma dalla sostenibilità economica sempre più complessa. I raduni con decine di migliaia di persone degli anni Settanta non possono più essere un modello: il futuro sembra tendere verso feste più brevi, di dimensioni ridotte, ma capillari sul territorio.

Bologna, per ora, fa ancora eccezione.

Martedì al parco Nord, fra sedie accatastate in un angolo e ristoranti di cui erano presenti solo i pali portanti, i lavori di “montaggio” sembravano essere estremamente in ritardo. Un vecchio militante bolognese che nella sua vita ha visto decine di edizioni ha raccontato che è sempre stato così, «probabilmente già nel 1946: poi magicamente le cose vanno a posto, appena prima del via ufficiale». Tutti qui lo definiscono «un miracolo che si ripete ogni anno».

Lavori in corso al Parco Nord (Il Post)

La stessa tranquillità viene esibita dagli organizzatori riguardo a modifiche e limitazioni imposte dalla prima concomitanza di sempre con una campagna elettorale nazionale (non si era mai votato per le politiche in autunno nella storia repubblicana, e le Feste dell’Unità si tengono solo d’estate).

Federica Mazzoni, segretaria provinciale del PD di Bologna, ha detto che l’esposto di Fratelli d’Italia in fondo è stato utile come «traino pubblicitario» e che le cose non sono cambiate rispetto alla scorsa edizione, quando c’era comunque la campagna elettorale per le elezioni amministrative. I dibattiti, che pure in una prima fase sembravano in discussione, si terranno regolarmente, con tanto di presenza di candidati del territorio, come Pier Ferdinando Casini, atteso a un dialogo con Gianni Cuperlo nella serata del 4 settembre. «Ma faremo le cose per bene, la campagna elettorale si fa fuori, qui esponiamo le nostre idee», ha detto Mazzoni.

In quanto agli appelli al voto, gli organizzatori hanno sostenuto che non si facessero nemmeno in passato. La Festa dell’Unità ha una residua funzione di autosostentamento economico e la mobilitazione per le elezioni politiche può aiutare in questo senso, mentre la necessità di sfruttarla come traino elettorale è limitata: il collegio di Bologna è uno di quelli “blindati” per il centrosinistra.

L’altro divieto imposto a causa della campagna elettorale è legato a simboli e bandiere di partito, che non potranno esserci.

Ad allestimento non ancora concluso le uniche bandiere presenti sul piazzale sono quelle americane di una giostra a tema astronauti, quelle di nazioni scelte un po’ a casaccio da un’altra attrazione del luna park inglobato dalla Festa e le bandiere dell’ANPI (Associazione nazionale partigiani d’Italia) di fronte all’Osteria Partigiana gestita dall’associazione. Il responsabile dell’organizzazione Lele Roveri ha detto che «la questione non ci sconvolge, non è che in passato fosse questo tripudio di bandiere».

Per l’inaugurazione di giovedì sera, con la presenza del segretario nazionale Enrico Letta, arriveranno bandiere della pace e dell’Europa, in sostituzione di quelle del PD.

Le bandiere dell’ANPI. Quelle del PD sono vietate (Il Post)

Altri stand si sono organizzati con vecchi manifesti del PCI, come il ristorante Braceria Toscana, dove campeggia anche un vecchio cartello elettorale: «Per liberarti dal monopolio politico democristiano vota Comunista».

I più maliziosi ci leggono un riferimento alla candidatura di Casini, che non è stata accolta con particolare entusiasmo dalla sezione locale del PD: è un tema che tiene banco fra i volontari, per lo più persone anziane. Leonardo Martelli, in una pausa dall’allestimento ai tavolini dell’unico bar già attivo, ha raccontato di essere stato con l’ex presidente della Camera (2001-2006) in un Consiglio di quartiere nel 1980: «Io per il PCI, lui per la DC, lo attaccai anche in un giornalino di quartiere».

Vecchi manifesti alla Braceria Toscana (Il Post)

Per il PD provinciale i problemi maggiori nati dalla concomitanza con la campagna elettorale sono relativi non tanto agli obblighi imposti dal prefetto, quanto al doppio impegno.

Alice Morotti, responsabile del programma della Festa, spiega che le agende degli ospiti e dei candidati in queste settimane sono molto fitte e in continua evoluzione, per cui è stato complesso fissare date e assicurarsi presenze; per questo gli eventi saranno aggiornati strada facendo. Letta e Casini a parte, sono comunque già state confermate le presenze di alcune figure centrali del partito, come le capogruppo a Camera e Senato Debora Serracchiani e Simona Malpezzi, il presidente e la vicepresidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini e Elly Schlein, il sindaco di Bologna Matteo Lepore, l’ex segretario PD Pier Luigi Bersani.

Allo stesso tempo la situazione è complessa anche per i volontari: molti di quelli che si dedicano alla campagna elettorale sono gli stessi al lavoro nel parco Nord, con impegni sovrapposti. Nei 26 giorni della Festa saranno 3.000 i volontari, l’intera forza lavoro dopo la fase iniziale di costruzione degli stand in cui, per vincoli di legge, vengono impegnati dei professionisti (dialetto bolognese e parlate sudamericane si alternano nei concitati giorni di preparazione).

Volontari al lavoro nell’allestimento (Il Post)

Lele Roveri, che lavora alla festa da un trentennio e che da circa 15 anni è il responsabile dell’organizzazione, racconta che la fase della preparazione può iniziare a gennaio, ma che i lavori effettivi cominciano dal primo agosto. L’avvicinarsi delle elezioni ha cambiato poco o nulla a livello di strutture e di spazi. La vera novità di quest’anno è l’assenza di limitazioni per il Covid, che nelle ultime due annate avevano condizionato eventi e numeri: «Contiamo di tornare a 400mila presenze, nei 22mila metri quadrati di spazi allestiti. Noi e pochi altri siamo gli ultimi dinosauri, le Feste dell’Unità di queste dimensioni ormai sono rare».

La sostenibilità economica è un tema centrale, reso più complesso anche dall’aumento delle spese per energia e gas, che Roveri stima prudenzialmente tra il 50 e il 70 per cento. Da questa edizione ci sarà un monitoraggio giorno per giorno dei conti economici, con consegna quotidiana di bolle, fatture e resoconti d’incasso. È stato fatto qualche taglio alle spese e si è aperto maggiormente ai ristoranti in gestione diretta, quelli dei privati, che portano più introiti (una tendenza che si vede da anni in tantissime Feste dell’Unità). I prezzi per i visitatori non cresceranno, almeno non sensibilmente: in attesa dell’apertura dei ristoranti, al bar l’acqua costa 50 centesimi, il caffè un euro e 10 centesimi.

Roveri, che un tempo era funzionario di partito e ora a sua volta volontario, sostiene che ogni anno «si alzi l’asticella» delle difficoltà nel far tornare i conti.

Le feste di partito ormai da decenni vivono una crisi e un ridimensionamento costante e le Feste dell’Unità di Bologna, Modena e poche altre città del centro Italia sono in questo senso un’eccezione. Roveri dice: «Le piccole feste dei paesi sopravviveranno per sempre, le grandi non possono avere un futuro a lunga scadenza. Bisognerà rivederle con più politica e ristorazione e meno “muscoli”». Oggi i 26 giorni di programma sono condizione necessaria per ammortizzare le spese fisse e per assicurarsi un pareggio, che spesso arriva nell’ultimo weekend, con variabili imprevedibili come serate di pioggia che possono condizionare notevolmente gli incassi.

Stefano Vaccari, responsabile organizzazione nazionale del PD, conferma che feste come quella di Bologna sono ormai anomale nel panorama delle 600 che vengono organizzate dalle sezioni locali del partito in tutta Italia.

«Ha costi più alti che qualunque altra: serve affinare sempre di più il controllo delle spese per tenerla in utile. L’anno scorso comunque ci siamo riusciti», spiega. «Però il modello per il futuro è differente: feste di 3-4 giorni, in cui montiamo un paio di gazebo con un po’ di sedie e ci affianchiamo un ristorante, magari affidato ai privati. Così il PD è riuscito a tornare in zone in cui era assente da tempo: oggi comincia anche quella regionale calabrese a Siderno, dove la sindaca è stata minacciata ripetutamente dalla ‘ndrangheta, ma proponiamo lo stesso modello anche in regioni del Nord».

Volontari e addetti all’allestimento al lavoro al Parco Nord (Il Post)

Paolo Razzano, membro della segreteria del PD milanese, spiega che nell’area di Milano le feste sono sempre economicamente in perdita: «Ma nonostante ciò manteniamo una tradizione piuttosto consolidata di rassegne brevi e itineranti, anche in luoghi simbolici della città o dell’hinterland».

La diminuzione dei volontari e l’aumento della loro età media sono altri problemi noti da tempo, diventati pressanti negli ultimi due anni condizionati dalla pandemia.

Il 2022 sembra dare segnali di una piccola inversione di tendenza: gli organizzatori raccontano dell’arrivo di candidature di giovani, spesso studenti fuori sede che erano soliti impegnarsi nelle feste di paese. Ma ancora non sono sufficienti per sostituire le defezioni per raggiunti limiti d’età. Le persone più esperte, che da molti anni dedicano tempo e impegno nell’allestimento degli stand, sono la quasi totalità dei volontari impegnati a Bologna.

Un altro tema rilevante riguarda le mansioni che possono svolgere i volontari: negli ultimi decenni la legislazione su sicurezza e lavoro è diventata più stringente e alcune parti dell’installazione degli stand, ma anche dei compiti di ristorazione, sono rigidamente regolati e non possono più essere svolti da militanti dotati solo di buona volontà. Le necessarie e giustificate garanzie richieste hanno inevitabilmente aumentato i costi.

I costi sono cresciuti anche per gli affitti degli spazi privati o per l’occupazione del suolo pubblico, a fronte di un cambiamento generale del contesto in cui le feste si collocano. Diverso è il mondo della ristorazione sociale, con clientela più esigente e più abituata a mangiare fuori casa. Un tempo le Feste dell’Unità erano occasione, a volte unica, per provare cibi etnici che oggi invece sono facilmente reperibili ovunque, almeno nelle città. Ed è profondamente cambiata anche l’offerta degli spettacoli dal vivo, altro punto di forza storico delle rassegne politiche: in tempi recenti è diventata molto più ampia e accessibile, ma molto meno remunerativa per artisti e organizzatori.

La Festa dell’Unità, nata nel 1945 a guerra appena finita per finanziare il quotidiano del partito Comunista l’Unità, era già fortemente ridimensionata rispetto alle grandi edizioni degli anni Settanta e Ottanta, e in parte Novanta, quando nel 2007 si trasformò in Festa Democratica. Dal giugno 2014, su indicazione dell’allora segretario Matteo Renzi, recuperò il nome originario.

Il ridimensionamento dei partiti, sia a livello economico che di attrattiva e capacità di mobilitazione, è uno dei fattori, ma non l’unico, all’interno di questa prolungata crisi. Dal 2013 l’abolizione del finanziamento pubblico ha cambiato radicalmente le disponibilità economiche dei partiti, una perdita che si è sommata a una sempre minore capacità di attrarre e mobilitare militanti e simpatizzanti.

La conseguente riduzione di questi numeri ha allontanato o reso meno consistenti gli investimenti degli sponsor, enti locali, pro loco o aziende, rendendoli non paragonabili a quelli dei periodi migliori. Sulla questione delle sponsorizzazioni hanno poi influito le modifiche della legislazione sul finanziamento dei partiti, che le ha rese più complesse.

Oggi le feste si muovono fra modelli diversi, alcuni in difesa dell’identità costruita nel passato, altri più finalizzati alla penetrazione sul territorio. Ogni stagione estiva, mantenendo i “totem” dei tortellini e delle salamelle, impone piccoli aggiustamenti e ripensamenti.