La versione russa sull’attentato a Dugina, e cosa se ne dice
La Russia ha incolpato l'intelligence ucraina, usando argomenti pieni di incongruenze e non sostenuti da prove
Lunedì l’FSB, l’agenzia federale dei servizi segreti russi, ha incolpato l’intelligence ucraina di aver organizzato e compiuto l’attentato in cui sabato era stata uccisa la giornalista russa Darya Dugina, figlia di Alexander Dugin, politico e filosofo dell’estrema destra russa. Al momento non si conoscono i responsabili né le motivazioni dell’attentato e ci sono ancora moltissime cose non chiare. Le accuse dell’FSB, formulate a soli due giorni dalla morte di Dugina, hanno confermato precedenti speculazioni fatte dalla stampa russa sul coinvolgimento dell’Ucraina, ma presentano molte incongruenze e non sono sostenute da prove.
Lo scetticismo è ancora maggiore perché la Russia è nota per le sue grosse operazioni di propaganda e disinformazione, come si è visto anche in questi mesi di guerra in Ucraina.
Secondo la ricostruzione dell’FSB, l’attentato a Dugina sarebbe stato organizzato da alcune non meglio identificate «agenzie dell’intelligence ucraina» e materialmente compiuto da una donna da loro pagata.
La donna si chiamerebbe Natalya Pavlovna Vovk, avrebbe 43 anni, sarebbe di nazionalità ucraina e avrebbe legami col battaglione Azov, la milizia incorporata nell’esercito ucraino che ha posizioni esplicitamente neonaziste. Secondo i servizi segreti russi, Vovk sarebbe entrata in Russia in auto lo scorso 23 luglio insieme alla figlia 12enne e «a un gatto». Non è chiaro da quale città Vovk sia entrata in Russia, ma secondo l’FSB avrebbe superato un controllo doganale convincendo le guardie di frontiera di provenire dalla repubblica autoproclamata di Donetsk (una delle due repubbliche del Donbass che si erano autoproclamate indipendenti nella guerra in Ucraina orientale iniziata nel 2014).
Vovk avrebbe poi affittato un appartamento a Mosca, nello stesso edificio in cui viveva Dugina, per sorvegliarla e osservarne le abitudini e gli spostamenti quotidiani, e avrebbe regolarmente pedinato la donna a bordo di una mini Cooper grigia, cambiando regolarmente la targa per evitare di essere identificata: le targhe usate sarebbero state ucraine, kazake e della repubblica autoproclamata di Donetsk.
Vovk sarebbe poi andata allo stesso festival culturale della destra nazionalista russa in cui si trovavano Dugina e il padre la sera dell’attentato, avrebbe posizionato la bomba che ha ucciso Dugina sotto il sedile della sua auto e l’avrebbe fatta esplodere con un radiocomando seguendo la macchina in autostrada. Dopo l’attentato Vovk avrebbe lasciato la Russia per andare in Estonia.
Il parlamentare russo Vladimir Dzhabarov ha già minacciato ritorsioni contro l’Estonia, nel caso in cui il paese si rifiuti di consegnare Vovk al governo russo. E la giornalista russa Margarita Simonyan, direttrice del canale televisivo RT (controllato dallo stato), ha fatto un’implicita allusione alla possibilità di inviare sicari russi in Estonia per un regolamento di conti.
Il governo estone, che è da sempre critico verso quello russo, ha risposto dicendo di considerare le accuse della Russia solo «una delle sue tantissime provocazioni», e di non avere altro da dire al riguardo.
Ci sono diverse incongruenze ed elementi non chiari nella versione russa dell’attentato a Dugina. Anzitutto si ritiene piuttosto improbabile che la Russia sia riuscita a risolvere un caso del genere in meno di due giorni. In secondo luogo alcune circostanze concrete descritte dall’FSB sono difficilmente spiegabili.
Come ha scritto Max Seddon del Financial Times, è per esempio piuttosto improbabile che la presunta attentatrice sia riuscita a circolare indisturbata in Russia per quasi un mese con targhe ucraine o della repubblica autoproclamata di Donetsk, nel mezzo di una guerra in corso proprio con l’Ucraina e in un momento in cui i contatti tra i due paesi sono praticamente azzerati.
L’FSB ha poi diffuso un video che secondo le accuse dimostrerebbe la responsabilità di Vovk nell’attentato. Il video mostra alcune immagini della donna che entra ed esce dalla Mini Cooper grigia, che ne apre il cofano e armeggia coi sedili, e che parla al telefono ripresa dalla telecamera di un citofono. Il video mostra anche alcune immagini di Mini Cooper grigie con targhe diverse. Ma come notato da Seddon e da altri, il video non contiene immagini che permettano di stabilire un qualsiasi legame tra la donna e l’attentato a Dugina di sabato scorso.
L’agenzia di stampa russa RIA Novosti ha poi diffuso la foto di quello che sostiene essere un documento militare di identità di Vovk, che dimostrerebbe i suoi legami col battaglione Azov (che ha negato di avere qualsiasi legame con lei). Non ci sono prove che questo sia effettivamente un documento di identità di Vovk, di cui comunque si sa molto poco; e secondo Seddon è piuttosto improbabile che la donna si sia portata dietro un documento del genere in Russia, dove poi avrebbe compiuto l’attentato.
Kremlin-linked media is posting what they say is Natalya Vovk’s ID card, which identifies her as a member of the nationalist Azov regiment.
Not the most obvious thing to take with you when you plot a car bombing in Russia pic.twitter.com/RNlBlGxfv6
— max seddon (@maxseddon) August 22, 2022
La ricostruzione dell’FSB è stata commentata con grande scetticismo anche perché ha presentato come obiettivo ultimo dell’attentato proprio Darya Dugina, giovane giornalista non particolarmente nota in Russia, anziché suo padre Alexander Dugin, filosofo e politico piuttosto conosciuto nell’ambiente dell’estrema destra. Molti ritengono infatti che sia molto più probabile che l’obiettivo fosse il padre.
Sarà molto difficile capire da chi sia stata uccisa Dugina, soprattutto in mezzo a una guerra e in un momento storico di estrema limitazione delle libertà di stampa in Russia.
C’è chi ha ipotizzato un’operazione «false-flag» da parte Russia, un’azione architettata cioè per giustificare futuri attacchi o escalation del conflitto presentandoli come una reazione a un attacco subìto. Lo ha suggerito per esempio Indrek Kannik, analista estone dell’International Centre for Defence and Security. Ma c’è anche chi ritiene, come Ilya Ponomarev, ex parlamentare russo che vive in esilio a Kiev, che a compiere l’attentato siano stati alcuni partigiani russi schierati contro Putin. Anche su queste ipotesi al momento non esistono però prove.
Come ha scritto Seddon, comunque, qualsiasi cosa sia successa il governo russo sembra avere tutte le intenzioni di usare l’attentato a Dugina per giustificare il fatto di continuare a fare la guerra in Ucraina. Putin ha definito l’attentato uno «spregevole e crudele crimine», e Dugin, alla camera ardente di sua figlia, ha detto: «I nostri cuori non hanno solo sete di vendetta o di punizione… Abbiamo bisogno di vincere».
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