La tesa e violenta campagna per le elezioni in Brasile
Si voterà a ottobre, e per la presidenza competeranno Lula e Bolsonaro: i toni sono durissimi e si parla perfino di colpi di stato
In Brasile è iniziata questa settimana la campagna per le elezioni presidenziali del prossimo 2 ottobre, che secondo i sondaggi saranno vinte dal popolare ex presidente di sinistra Luiz Inácio Lula da Silva. Lula è uscito dal carcere tre anni fa, dopo una vicenda di condanne per corruzione poi annullate: il suo principale concorrente è Jair Bolsonaro, il presidente uscente, populista e di destra, dato in svantaggio di circa 15 punti percentuali. A rendere la campagna elettorale notevole è soprattutto il suo livello di polarizzazione, tensione e violenza: si teme che Bolsonaro potrebbe non accettare l’eventuale sconfitta, e molti considerano queste elezioni un test per la democrazia del Brasile.
Le elezioni si terranno in un paese diviso e nel mezzo di una crisi economica aggravata dalla pandemia. Il 2 ottobre non si voterà soltanto per eleggere il nuovo presidente e il vicepresidente, ma anche per rinnovare la Camera e il Senato e per eleggere 27 governatori statali. Le attenzioni, però, sono concentrate soprattutto sulle elezioni presidenziali, e in particolare sulla competizione tra i due principali candidati (in totale i candidati sono 12).
Lula, il favorito, ha 77 anni e fu presidente tra il 2003 e il 2010, tra i più popolari della storia del Brasile. Fondatore e per anni leader del Partito dei Lavoratori, il principale partito di sinistra brasiliano, fu condannato per corruzione nel 2017. Restò in carcere per oltre un anno perdendo i suoi diritti politici, tra cui la possibilità di candidarsi nuovamente alle elezioni presidenziali. La sua condanna fu annullata nel 2021 dalla Corte suprema brasiliana, che stabilì che il giudice che lo aveva condannato non era imparziale. Per questo Lula ha potuto ricandidarsi alle elezioni di quest’anno.
Bolsonaro è il presidente uscente: appartiene al Partito Liberale, di orientamento conservatore, nazionalista e populista di destra. È noto per la sua ammirazione nei confronti della dittatura brasiliana che governò il paese tra gli anni Sessanta e Ottanta, per i suoi commenti apertamente discriminatori contro la comunità LGBTQ+, le donne e le persone nere, ma anche per le accuse che gli sono state rivolte sulla diffusione di notizie false riguardo alla pandemia da coronavirus. Nel tempo è stato paragonato a figure populiste o autoritarie come l’ex presidente americano Donald Trump, il dittatore egiziano Abdel Fattah al Sisi e l’ex presidente filippino Rodrigo Duterte.
La campagna elettorale tra Lula e Bolsonaro, ha detto ad Al Jazeera l’analista politico brasiliano Adriano Laureno, è «la più polarizzata dal ritorno della democrazia in Brasile», a metà degli anni Ottanta.
La tensione e la violenza che stanno caratterizzando questa campagna elettorale si sono viste in modo molto chiaro attraverso una serie di episodi.
Sia Lula che Bolsonaro si sono presentati a diversi eventi pubblici col giubbotto antiproiettile. Lula, scrive Associated Press, ha già dovuto cancellare un evento a causa di timori per la sua sicurezza espressi dalla polizia. Bolsonaro ha organizzato una visita nello stesso punto in cui fu accoltellato da un uomo con problemi psichiatrici durante la campagna elettorale del 2018: si è presentato in moto, col giubbotto antiproiettile e circondato da guardie del corpo, dando alla visita una grande visibilità, e secondo molti commentatori sfruttandola per presentarsi come un outsider ribelle e anti-sistema, vittima di una «cospirazione dell’élite politica ai suoi danni», come ha detto l’analista brasiliano Maurício Santoro.
Ci sono anche già stati episodi di violenza tra i sostenitori dei due candidati. Il più eclatante è stato lo scorso luglio, quando Marcelo de Arruda, un importante membro del Partito dei Lavoratori, quello di Lula, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco da un sostenitore di Bolsonaro, durante un evento organizzato a sostegno della candidatura di Lula. Una delle mosse distintive di Bolsonaro ai comizi è di mimare la pistola col pollice e l’indice, ed è capitato che scherzasse sul fatto di sparare addosso ai membri del Partito dei Lavoratori. Nelle ultime due settimane, i suoi sostenitori hanno già attaccato quelli di Lula nel corso di due comizi, lanciando feci, urina e rudimentali ordigni esplosivi contro di loro.
Un timore piuttosto diffuso, inoltre, è che nel caso in cui perda le elezioni e si rifiuti di accettare la sconfitta, Bolsonaro possa arrivare addirittura a mettere in atto un colpo di stato. Vari analisti hanno notato come il presidente brasiliano, che è un ex militare, in questi anni abbia lavorato per assicurarsi il sostegno dell’esercito, con promozioni e benefici, e sono state ritenute preoccupanti anche alcune dichiarazioni fatte in ambiente militare, a volte da funzionari di spicco. Tempo fa, per esempio, il capo di una corporazione di militari in pensione aveva accusato i giudici della Corte suprema di corruzione e invitato Bolsonaro a fare appello alle forze armate per ristabilire «la legge e l’ordine».
Bolsonaro, che negli ultimi tempi ha perso consensi ed è stato molto contestato per come ha gestito la pandemia, ha contribuito a polarizzare la campagna elettorale e a mettere in dubbio la solidità della democrazia brasiliana.
Sono mesi che attacca la commissione elettorale brasiliana, insinuando dubbi sulla validità dei sistemi di voto elettronici e dicendo che potrebbe non riconoscere il risultato delle prossime elezioni in caso di sconfitta. Un anno fa, durante una funzione evangelica a Goiânia, Bolsonaro ha anche detto che vedeva tre possibilità per il suo futuro: «Essere arrestato, essere ucciso o vincere». Lo scorso maggio, invece, ha detto che «solo Dio» avrebbe potuto rimuoverlo dal suo incarico. Più di recente ha detto: «se ce n’è bisogno, andremo in guerra».
Tutte queste dichiarazioni, unite al modo in cui incita i propri sostenitori, fanno temere che le elezioni in Brasile possano trasformarsi quantomeno in qualcosa di simile a quelle degli Stati Uniti del 2020, dopo le quali i sostenitori di Trump assaltarono il Campidoglio per bloccare la certificazione dell’elezione vinta da Joe Biden: «Ci sono le condizioni perché ciò accada», ha detto al Guardian Pablo Nunes, capo del centro studi Centro de Estudos de Segurança e Cidadania (CESeC).