Perché si parla tanto di questa “Sfattoria degli Ultimi”
A causa della peste suina, una ASL di Roma ha deciso di abbattere maiali e cinghiali ospitati nel rifugio, tra molte proteste
Negli ultimi giorni si sta discutendo molto di un luogo di Roma chiamato “Sfattoria degli Ultimi”: è un rifugio a nord della città che ospita e accudisce circa 140 tra maiali e cinghiali salvati da condizioni di disagio e maltrattamenti. L’8 agosto l’ASL (Azienda sanitaria locale) Roma 1 ha stabilito con un’ordinanza l’abbattimento degli animali, come misura per contenere la diffusione della peste suina africana, una malattia che colpisce maiali e cinghiali che dall’inizio dell’anno ha cominciato a diffondersi in Italia. Al momento nessuno degli animali nella struttura si è ammalato di peste suina.
Da quando è stata comunicata la decisione, è cominciata una grossa mobilitazione per evitare l’uccisione degli animali: più di 220mila persone hanno firmato una petizione presentata dai gestori della Sfattoria degli Ultimi, che intanto hanno fatto ricorso contro l’ordinanza. Alcune associazioni ambientaliste e animaliste si sono schierate con loro garantendo una rappresentanza legale, e centinaia di persone da diverse parti d’Italia hanno fatto visita alla Sfattoria in segno di solidarietà.
Diverse si sono accampate con tende e il necessario per restare lì più giorni, con l’obiettivo di presidiare il luogo e cercare di fare una “resistenza pacifica” nel caso in cui si dovessero presentare le autorità per eseguire l’ordine dell’ASL: per il momento il provvedimento è stato sospeso. Il 12 settembre si terrà l’udienza per valutare la fondatezza del ricorso presentato da Paola Samaritani, una delle responsabili della Sfattoria, e verosimilmente si saprà qualcosa di più su cosa succederà agli animali.
I gestori della Sfattoria e le altre persone che si sono mobilitate – tra cui diversi personaggi noti e con un grande seguito sui social – accusano sostanzialmente le autorità di voler applicare troppo rigidamente i protocolli sanitari. L’abbattimento dei “suidi” (il nome della famiglia che comprende sia cinghiali che maiali) della Sfattoria rientra infatti in un più ampio piano di abbattimento dei suidi della zona, deciso a causa della peste suina: secondo chi protesta però non terrebbe conto della condizione particolare della Sfattoria degli Ultimi, che non opera come un allevamento di maiali a scopo alimentare.
Dall’altra parte l’ASL ha preso una decisione che è spiegata dalla situazione sanitaria e dalle norme vigenti, alcune delle quali sono state introdotte proprio a causa della peste suina.
La peste suina africana è una malattia endemica nell’Africa sub-sahariana, ma dal 2007 si è diffuso in Europa un nuovo ceppo, rilevato per la prima volta a gennaio in Italia tra Liguria e Piemonte. Il virus è molto resistente e piuttosto letale: nel 90 per cento dei casi gli animali contagiati muoiono nel giro di dieci giorni a causa di emorragie interne. Dal momento che non esistono ancora cure, negli allevamenti colpiti dalla peste suina la soluzione più efficace è l’abbattimento dei maiali contagiati per limitare la diffusione del virus.
A Roma il primo caso era stato registrato a inizio maggio, e il presidente della regione Nicola Zingaretti aveva istituito una “zona rossa” che comprendeva un territorio a nord-ovest della città, sulla base dei luoghi in cui erano stati rilevati i contagi. Nella zona rossa, tuttora in vigore, non si possono organizzare eventi e raduni nelle aree agricole e rurali, e non si possono avvicinare maiali e cinghiali.
La Sfattoria degli Ultimi si trova all’interno di questa zona rossa, dove l’ASL Roma 1 ha ricevuto mandato di «programmare la macellazione degli animali presenti negli allevamenti suinicoli sia commerciali che familiari». Per prima cosa si è cominciato ad abbattere i maiali degli allevamenti in cui erano stati rilevati casi di peste suina. Ad Agorà, su Rai 3, giovedì mattina il commissario straordinario per l’emergenza peste suina, Angelo Ferrari, ha detto che finora nella zona rossa sono stati abbattuti 1.258 suini da allevamento. Una strategia simile era stata usata anche in Piemonte, dove ne sono state abbattute diverse migliaia.
La Sfattoria degli Ultimi però non rientra in questi abbattimenti, perché non è un allevamento, e quindi non ha fini legati al commercio alimentare. I suidi ospitati sono animali definiti “di affezione”: una categoria del linguaggio burocratico che comprende gli animali da compagnia e che non possono essere macellati o sfruttati per l’allevamento.
Quella della Sfattoria poi è una situazione ancora più peculiare e difficile da definire, perché è una sorta di ricovero indipendente per animali che stanno male – non proprio domestici quindi – che vengono raccolti dalla strada e salvati da condizioni di salute critica o di palese difficoltà (ci sono molti cuccioli abbandonati, per esempio).
Per far fronte all’emergenza però il ministero della Salute ha stabilito regole che riguardano anche maiali e cinghiali non usati per il commercio alimentare. È qui che viene coinvolta la Sfattoria degli Ultimi, perché è stato deciso che non si possano tenere più di due suidi “di affezione” in uno stesso stabilimento, e che si debba evitare in ogni modo che si riproducano.
I suidi della Sfattoria non vengono fatti accoppiare tra loro – capita però che alcune delle femmine salvate siano incinte, e che partoriscano nella struttura – ma sono molti più di due. L’ordinanza di abbattimento dell’ASL prevede infatti che solo due dei circa 140 animali possano continuare a vivere nella struttura.
I responsabili della Sfattoria ritengono che l’abbattimento sia una misura ingiustificata, visto che tra gli animali non sono stati rilevati casi di peste suina. Dicono anche che i loro animali non possono avere contatti con esemplari esterni, perché sono censiti con regolarità e custoditi in un’area protetta, anche se il luogo non è interamente recintato: è una delle preoccupazioni principali delle istituzioni, che hanno individuato tra i motivi dei contagi il gran numero di cinghiali selvatici nella regione (per questi è stato approvato un ampio piano di abbattimento per i prossimi anni).
Il contagio con il virus però può avvenire attraverso il contatto con qualsiasi oggetto contaminato, abbigliamento compreso, quindi anche le persone possono avere un ruolo nella diffusione. In risposta a questo, i responsabili della Sfattoria hanno detto che solo poche persone sono autorizzate ad avvicinarsi agli animali per dargli cure e cibo, e che lo fanno usando le norme di “biosicurezza” (così vengono chiamate nei documenti ufficiali) che sono state suggerite dal ministero della Salute.
Il commissario straordinario Ferrari e il direttore generale della Sanità animale, Pierdavide Lecchini, hanno invece scritto in una nota che secondo l’ASL gli animali della Sfattoria degli Ultimi sono «detenuti in una condizione di illegalità sotto diversi profili». Tra le irregolarità citate ci sono l’occupazione abusiva della struttura, la mancata tracciabilità degli animali e la detenzione di animali selvatici (quest’ultimo è proprio lo scopo dello stabilimento: salvare animali trovati per strada).
Gli avvocati della Sfattoria degli Ultimi sostengono che l’abbattimento sia in ogni caso una misura ingiustificata. Le loro motivazioni si basano soprattutto su un regolamento europeo (il 687 del 2020) sulla prevenzione e il controllo di alcune malattie, tra cui la peste suina africana, che sostengono non sia stato preso adeguatamente in considerazione dalla decisione dell’ASL.
L’articolo 13 del regolamento ammette deroghe a determinate misure di controllo delle malattie e all’obbligo di abbattimento degli animali nello stabilimento colpito, nel caso in cui questi animali siano detenuti per fini scientifici, per la conservazione di specie protette o per «animali di elevato valore genetico, culturale o educativo giustificato». Gli avvocati vorrebbero far rientrare i suidi della Sfattoria degli Ultimi in quest’ultima categoria che cita ragioni “culturali” ed “educative”.
Sono naturalmente norme interpretabili in modi diversi, e lo stesso articolo dice anche che si può decidere per una deroga solo in presenza di diversi altri controlli sugli animali e dell’applicazione di specifiche misure di biosicurezza.
All’udienza del 12 settembre il giudice del TAR (tribunale amministrativo regionale) del Lazio dovrà stabilire se il ricorso presentato da Paola Samaritani sia fondato: potrebbe già esprimere una sentenza sulla base delle informazioni a sua disposizione, e quindi decidere o meno per l’abbattimento, oppure emettere un’ordinanza in cui accoglie o rigetta la richiesta di sospensione dell’abbattimento, rimandando la decisione definitiva al processo di primo grado (e in questo caso i tempi si allungherebbero).
Al di là dei procedimenti legali, per la dimensione pubblica che ha assunto la vicenda e per la zona grigia in cui opera la Sfattoria degli Ultimi, al momento sembra evidente che per risolvere la questione senza arrivare all’abbattimento degli animali serva piuttosto un intervento di tipo politico. Si deve cioè decidere se sia il caso o meno di ammettere deroghe ai nuovi regolamenti introdotti per la peste suina africana, e se sia davvero necessario dal punto di vista sanitario uccidere i circa 140 animali. Intanto i vari appelli della Sfattoria degli Ultimi e dei loro sostenitori si basano più che altro su petizioni e generiche richieste di “buonsenso”.