Non c’è ancora un accordo, tra Serbia e Kosovo
I leader dei due paesi si sono incontrati a Bruxelles per cercare di risolvere le grosse tensioni degli ultimi mesi, senza successo
Giovedì si sono incontrati a Bruxelles Aleksandar Vučić e Albin Kurti, rispettivamente presidente della Serbia e primo ministro del Kosovo, per parlare delle tensioni in corso da settimane tra i due paesi che avevano portato a scontri violenti e avevano fatto temere seriamente l’inizio di un nuovo conflitto nei Balcani. L’incontro era assai atteso ma allo stesso tempo non c’erano grandi aspettative sul raggiungimento di un qualche accordo di sostanza. E così è stato: l’intesa non è arrivata, ma i due leader continueranno a parlare nei prossimi giorni.
L’incontro è stato moderato dall’Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Unione Europea, Josep Borrell. L’Unione ha molta influenza sia sulla Serbia che sul Kosovo, dato che entrambi i paesi ambiscono a diventarne membri e che la normalizzazione dei rapporti bilaterali è una delle condizioni per l’adesione.
Le tensioni tra Kosovo e Serbia sono radicate: il Kosovo è un’ex provincia serba. Tra il 1998 e il 1999 fu combattuta una guerra tra l’esercito jugoslavo, controllato dai serbi, e i ribelli kosovari albanesi, che volevano separarsi. Il conflitto terminò dopo l’intervento della NATO, che bombardò la Serbia costringendo le sue forze a ritirarsi dal territorio kosovaro. Nel 2008 il Kosovo dichiarò l’indipendenza dalla Serbia, che fu riconosciuta dagli Stati Uniti e da un pezzo dell’Unione Europea, ma non dai serbi e dai paesi loro alleati, come la Russia e la Cina.
Negli ultimi anni le tensioni in Kosovo tra minoranza serba (circa 100mila persone su 1,8 milioni) e maggioranza albanese sono rimaste molto forti, così come l’influenza della Serbia sulle persone serbe kosovare, che abitano soprattutto nel nord del paese.
Nelle ultime settimane, in particolare, le tensioni erano cresciute quando il governo del Kosovo aveva annunciato che i documenti d’identità e le targhe dei veicoli serbi non sarebbero più stati validi nel territorio del Kosovo. L’annuncio aveva provocato proteste: centinaia di persone di etnia serba avevano parcheggiato camion e altri mezzi vicino ai due principali passaggi di confine tra Kosovo e Serbia, obbligando la polizia a chiuderli entrambi. La NATO, che è presente nel paese con una missione di pace, aveva descritto la situazione come «tesa», e le proteste avevano spinto il primo ministro del Kosovo a rimandare l’entrata in vigore delle nuove regole.
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Kurti aveva anche protestato, come altre volte in passato, sul fatto che i serbi che vivono nel nord del Kosovo non pagano le bollette dell’elettricità da anni come forma di protesta. Lo scorso giugno le due parti avevano fatto un accordo, che secondo Kurti i serbi hanno però continuato a non rispettare, con perdite di milioni di euro al mese per il governo kosovaro.
L’invasione dell’Ucraina, in tutto questo, ha contribuito ad alimentare le tensioni tra le due parti e a esacerbare le divisioni. Il Kosovo ha accusato in più occasioni il governo serbo di essere troppo vicino alla Russia: Kurti è arrivato a definire Vučić un «piccolo Putin». La Serbia ha respinto le accuse, pur continuando a rifiutarsi di aderire al regime di sanzioni che l’Occidente ha adottato contro il presidente russo.