Breve storia dei confronti televisivi tra leader politici in Italia
Gli ultimi per le elezioni politiche si tennero nel 2006 con Berlusconi e Prodi: sembra che ne avremo altri prima del voto di settembre
di Valerio Clari
L’inedita campagna elettorale estiva ha fin qui ridimensionato, nella comunicazione delle varie forze politiche, il peso della televisione, che in questa stagione sospende la gran parte dei suoi prodotti originali. Già dai primi giorni di settembre, con una riduzione della consueta lunga pausa estiva, i palinsesti torneranno però ad ospitare molti programmi di approfondimento politico e talk show. In queste settimane prima Sky Tg24 e poi la Rai hanno annunciato l’intenzione di proporre serate con dibattiti e confronti diretti fra i leader delle coalizioni che si presenteranno alle elezioni del 25 settembre.
Sky ha comunicato di avere ottenuto l’adesione a partecipare al Confronto da gran parte dei principali esponenti politici, Rai 1 ha fissato due “prime serate”, il 7 e 15 settembre, per confronti televisivi diretti.
Quello del dibattito in diretta fra i principali leader in vista di elezioni politiche è un formato che in Italia non va in onda dal 2006, dai due confronti fra Silvio Berlusconi e Romano Prodi, che già erano stati protagonisti di quelli di dieci anni prima, nel 1996.
Dopo di allora (ma anche prima, nel 2001), il confronto diretto non c’è più stato, per il rifiuto a parteciparvi di una delle parti in causa: la mancata disponibilità è stata giustificata ora con l’assenza di un vero “candidato premier” (per la legge elettorale proporzionale), ora per differenze di vedute su chi dovesse essere presente (solo i due leader maggiori o anche esponenti di terzi e quarti poli?).
In generale però il confronto era quasi sempre auspicato da chi partiva sfavorito nei sondaggi e rifiutato da chi invece non aveva interesse a rischiare di perdere la posizione di vantaggio che gli assicuravano le ultime rilevazioni.
Negli ultimi anni ci sono stati confronti televisivi fra candidati, ma limitati alle primarie di partito o coalizione (a sinistra) o a elezioni locali, sia per il presidente di Regione che per il sindaco. Anche in questo caso a volte i dibattiti, che col passare degli anni hanno avuto regole sempre più definite, sono talvolta saltati per la defezione di uno dei contendenti.
L’ultimo pubblicizzato confronto fra due leader nazionali è stato quello del 2019 fra Matteo Renzi e Matteo Salvini, che però non arrivava prima di una consultazione elettorale, ma dopo la fine del governo “Conte I” e dopo l’uscita di Renzi dal PD e la nascita di Italia Viva. Allora entrambi avevano interesse a una importante esposizione mediatica e il dibattito, saltato un anno prima alla vigilia delle elezioni del 2018 per «impegni improrogabili» di Salvini, si tenne a Porta a Porta, trasmissione di Rai Uno condotta da Bruno Vespa.
In questa campagna elettorale è già arrivata la disponibilità di Enrico Letta, segretario del Partito Democratico, a un confronto con Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia che i sondaggi indicano come primo partito. Carlo Calenda di Azione ha già chiesto che il dibattito sia esteso a tutte le principali coalizioni e quindi comprenda anche lui e Giuseppe Conte del Movimento 5 Stelle. Il numero dei partecipanti è una delle questioni da dirimere.
Nel 2013 il confronto saltò proprio su questo nodo: Pierluigi Bersani, leader della coalizione di centrosinistra, data per favorita dai sondaggi, si disse disponibile a un dibattito solo se esteso a tutti i leader. Silvio Berlusconi (centrodestra) voleva un confronto secco, che escludesse Scelta Civica di Mario Monti («Non è candidato premier perché non ha nessuna possibilità di vincere le elezioni»), mentre Beppe Grillo annunciò presto che il Movimento 5 Stelle non avrebbe partecipato.
La questione è stata di soluzione più semplice quando alle elezioni politiche si è votato con un sistema per lo più maggioritario, il cosiddetto Mattarellum, legge elettorale scritta da Sergio Mattarella in vigore dal 1993 al 2005.
– Leggi anche: Le interviste con contraddittorio, così rare
Il primo confronto televisivo fra due candidati presidenti del Consiglio (in virtù degli accordi di coalizione, anche se la figura formalmente non esisteva) avvenne infatti in corrispondenza delle elezioni del 1994: Silvio Berlusconi, alla guida del Polo della Libertà/Polo del Buon Governo, e Achille Occhetto, leader dell’Alleanza dei Progressisti, furono i protagonisti della puntata finale di Braccio di Ferro, su Canale 5, condotto da Enrico Mentana. Il programma era nato un anno prima, in occasione di alcune consultazioni amministrative e nelle settimane precedenti aveva visto confrontarsi altri esponenti di partiti rivali.
Il confronto si tenne il 22 marzo 1994 dopo molti dubbi e tentennamenti, soprattutto da parte di Berlusconi che era dato in vantaggio nei sondaggi e che un anno prima aveva assistito al negativo confronto, per il centrodestra, fra Gianfranco Fini e Francesco Rutelli per la carica di sindaco di Roma.
La scenografia prevedeva il conduttore Mentana al centro, con alla sua destra Berlusconi e alla sua sinistra Occhetto, in posizioni decise dal programma per riproporre le collocazioni politiche ma che apparivano ribaltate per lo spettatore. Negli anni seguenti anche la collocazione fisica dei candidati sarebbe stata oggetto di un regolamento: nei confronti più recenti è decisa quasi sempre per sorteggio.
Ad intervistare i due candidati, oltre al conduttore c’erano l’allora vicedirettore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli, l’editorialista di Repubblica Mino Fuccillo e Gad Lerner, al tempo vicedirettore della Stampa. A differenza di quanto succede in occasione dei normali talk show, quando sono consuete lamentele da parte degli ospiti per domande o trattamento da parte dei conduttori, nei grandi confronti pre-elettorali non si sono mai registrate grandi polemiche sulla conduzione o sulle domande dei giornalisti.
Questo si deve probabilmente al fatto che la conduzione e gli argomenti sono stati spesso oggetto di una approfondita trattativa sulle cosiddette “regole d’ingaggio”, ma anche a una particolare attenzione dei vari conduttori a dimostrarsi totalmente super partes.
Si è quasi sempre seguito il modello della storica Tribuna elettorale della Rai, programma in onda dal 1960 che prevedeva una sorta di conferenza stampa televisiva con un politico alla volta, allontanandosi dai talk show di opinione più schierati. Lerner ricorda: «Nel confronto del 1994 ci alzavamo dal banco per fare domande per lo più concordate in anticipo e che dovevano durare poco. Ma è ovvio che in situazioni come quella il protagonismo del giornalista o del conduttore suonerebbe un po’ patetico».
Secondo molti osservatori, il confronto del 1994 finì con un sostanziale pareggio a livello di contenuti, ma si parlò molto dell’immagine più “moderna” di Berlusconi e della sua spilla di Forza Italia scintillante rispetto al completo marrone di Achille Occhetto.
Lerner dice: «Premesso che ho tuttora una forte simpatia per Occhetto, ingiustamente sottovalutato, sconfitto ma coerente e dalla vista lunga sul futuro della sinistra, è ovvio che in quell’incontro persino nell’abbigliamento si notò la distanza fra chi aveva studiato il marketing elettorale per apparire più convincente e chi, come Occhetto, si era vestito elegante rispetto ai suoi gusti. Era un confronto fra due epoche diverse».
Il programma fu un grande successo a livello di audience, con nove milioni e mezzo di telespettatori e uno share del 61 per cento. Sembrò aprire una nuova fase nella comunicazione politica italiana, ispirata ai grandi confronti televisivi dei candidati alla presidenza americana.
Due anni dopo i candidati Berlusconi (Polo per le Libertà) e Prodi (Ulivo) si confrontarono due volte, la prima su Rai 3 all’interno di un programma più ampio di Lucia Annunziata, Linea 3, che prevedeva in una seconda parte anche l’intervento di altri leader; la seconda, a pochi giorni dal voto, in Testa a Testa condotto da Enrico Mentana su Canale 5.
In quella occasione si cominciò a tenere conto del tempo occupato dalle risposte per concedere lo stesso spazio ai due candidati. La misurazione si sarebbe affinata in seguito, con l’introduzione dei timer in sovrimpressione. Nel Confronto di Sky Tg24, che ha ospitato gli ultimi dibattiti locali e per le primarie, i candidati hanno avuto al massimo un minuto e mezzo per le risposte e 30 secondi per le repliche.
Secondo quasi tutti i commentatori, nel 1996 fu Romano Prodi ad apparire più convincente, a sorpresa rispetto ai timori condivisi a sinistra sulla sua tenuta in un programma televisivo. Ma proprio quell’essere diverso, più modesto, in questo caso secondo Lerner «esaltò una differenza di postura apprezzata dagli italiani, anche perché Berlusconi non era più una novità ma era stato visto all’opera al governo».
Nel 2001 non ci fu nessun confronto diretto, Berlusconi, in ampio vantaggio secondo i sondaggi, rifiutò gli inviti. Lui e Francesco Rutelli, leader del centrosinistra, furono però ospiti lo stesso giorno, l’11 maggio, di due trasmissioni contemporanee su canali diversi: il leader del centrodestra al Maurizio Costanzo Show su Canale 5, Rutelli al Raggio Verde di Michele Santoro su Rai 2.
La riedizione del confronto tra i due ci fu nel 2006: due dibattiti, entrambi su Rai Uno, il primo condotto dal direttore del Tg1, Clemente Mimun, il secondo da Bruno Vespa. Furono trasmissioni dal regolamento molto più ferreo rispetto al passato: non solo i timer, ma anche il divieto di interrompere l’avversario (che talvolta saltò).
Si registrarono pochi guizzi e poche emozioni, con l’eccezione di uno scambio in cui Prodi accusò Berlusconi, con una citazione, di «usare i numeri come gli ubriachi usano i lampioni, non per esserne illuminato, ma per aggrapparcisi». Berlusconi si mostrò offeso e ricambiò definendo il rivale l’«utile idiota dei comunisti messo lì per il suo aspetto bonario».
Ma il leader del Polo di centrodestra tenne il vero “colpo di teatro” per l’appello al voto finale, quando chiuse la trasmissione (Prodi non poteva più replicare) annunciando il taglio dell’ICI sulla prima casa, con il famoso «Sì, avete capito bene». Fu un annuncio importante, su cui si concentrarono attenzioni e commenti: anche per questo oggi l’ordine degli appelli finali è oggetto di un ulteriore sorteggio e i candidati hanno diritto di replica se nominati dall’avversario.
Negli anni la posizione dei candidati è talvolta variata da seduta dietro a una scrivania a un podio all’americana. Si è posta anche maggiore attenzione alla presenza e alla possibile influenza del pubblico in sala, che in certe occasioni è sparito, in altre è stato invitato a limitare le reazioni.
Negli ultimi anni gli staff dei candidati pongono invece un’attenzione crescente nel cercare di influenzare la percezione del dibattito attraverso le reazioni sui social network, coinvolgendo “influencer” e sostenitori in commenti e riproposizione dei messaggi considerati più importanti.
Ma le regole che sono andate di volta in volta definendosi e affinandosi sono state poi utilizzate solo per le Primarie del PD (le prime di coalizione nel 2012) e per alcuni confronti fra aspiranti sindaci: molto ricordato è quello in cui in chiusura di trasmissione Letizia Moratti accusò il futuro sindaco di Milano Giuliano Pisapia di un furto d’auto, accusa che si rivelò falsa. Secondo Lerner, «ci sono stati pochi confronti che hanno smosso qualcosa, forse quello fu una delle poche eccezioni, perché la presunta mossa da k.o. di Letizia Moratti si rivelò un grande ruzzolone».
Nelle successive elezioni politiche del 2008, del 2013 e del 2018 i dibattiti non si sono tenuti: prima fu Berlusconi a negarsi quando sfidato da Walter Veltroni, poi non si trovò l’accordo fra i vari leader. In tutte le occasioni chi si sottraeva al confronto veniva accusato dagli avversari di «fuggire» e di privare i cittadini di una possibilità di votare in modo consapevole, ma poi non sembrava pagare con effetti negativi in termini di voti.
Bisognerà quindi verificare in prossimità delle date previste per i prossimi confronti l’effettiva disponibilità dei leader, ma anche quali e quanti capi politici ospitare sul palco: né l’alleanza di centrosinistra né quella di centrodestra hanno un candidato presidente del Consiglio definito.