Il peggior restauro della storia dell’arte
È quello del Cristo di Borja, in Spagna, fatto dieci anni fa da una donna ottantenne senza alcuna esperienza, e diventato noto in tutto il mondo
Vicino all’altare del Santuario della Misericordia di Borja, una cittadina nel nord della Spagna, si trova un affresco novecentesco di scarso valore storico o artistico che negli ultimi dieci anni è diventato famoso in tutto il mondo. L’opera si chiama Ecce Homo, mostra il mezzobusto di un Cristo di circa 60 centimetri per 40, e fu realizzata nei primi anni del Novecento da Elías García Martínez, un artista spagnolo semisconosciuto. Il motivo per cui oggi è così nota è che è considerata l’opera d’arte peggio restaurata al mondo.
Nell’agosto di dieci anni fa infatti Cecilia Giménez, una donna di 81 anni che si dedicava alla pittura in modo amatoriale, prese l’iniziativa di restaurare l’affresco che era stato negli anni rovinato dall’umidità. La sfigurò completamente ottenendo un risultato talmente grottesco che se ne parlò su giornali internazionali e divenne virale sui social network. Da allora però lo sconosciuto Santuario di Borja divenne un’attrazione turistica e ancora oggi accoglie oltre diecimila visitatori l’anno.
Il primo a denunciare il maldestro restauro del Cristo di Borja fu il blog culturale del locale Centro de Estudios Borjanos, che il 7 agosto del 2012 pubblicò un post intitolato “Un fatto inqualificabile”, in cui raccontava di come l’affresco fosse stato sfigurato da ignoti. Dopo un paio di settimane, sull’edizione cartacea del quotidiano Heraldo de Aragón fu svelata l’identità dell’autrice dell’intervento, che era appunto la parrocchiana Cecilia Giménez.
Pur trattandosi di un’opera di scarso valore, il restauro di Cecilia Giménez fu molto criticato dal comune di Borja, da alcuni professionisti di arte e restauro, e dagli eredi dell’autore dell’opera che proprio in quel periodo stavano raccogliendo i fondi per il restauro. In un primo momento si pensò di risolvere la questione coprendo l’opera con una fotografia dell’originale o intervenendo ulteriormente – questa volta chiamando un professionista – per salvare il recuperabile. Nel giro di qualche giorno però apparve chiaro che le potenzialità della versione “restaurata” erano molto superiori a quelle del dipinto originale.
Il Centro de Estudios Borjanos attirò moltissime attenzioni dalla stampa e da centinaia di curiosi che volevano vedere il “restauro” di Giménez. La notizia venne ripresa dai quotidiani spagnoli come El Mundo e El País, e da giornalisti di tutto il mondo, dalla Nuova Zelanda al Canada. Il corrispondente Christian Fraser, che raccontò la notizia su BBC, paragonò il restauro di Ecce Homo a uno «schizzo a pastello di una scimmia molto pelosa con una tunica inadatta».
Il caso travolse inaspettatamente l’anziana Giménez, che passò diversi giorni a letto per via di attacchi d’ansia e depressione dovuti all’improvvisa esposizione mediatica e alle critiche. Giménez disse allora di aver agito perché non poteva sopportare di vedere l’affresco (che considerava la miglior rappresentazione di Cristo nella sua zona) rovinato dall’umidità, e di essere intervenuta dopo aver chiesto l’autorizzazione al parroco del Santuario. Il parroco però disse alla stampa di non aver mai acconsentito al restauro.
Secondo quanto riportato in quei giorni da El País, non era la prima volta che Giménez interveniva sull’opera e alcuni ne erano al corrente, ma fino a quel momento le modifiche erano rimaste poco visibili perché non riguardavano il volto.
Ben presto la notizia divenne virale anche sui social network e il Cristo di Borja restaurato divenne un meme. Scatenò battute, parodie e rifacimenti, e Giménez divenne un personaggio con una connotazione positiva per via della sua ingenua intraprendenza. Un gruppo su Facebook intitolato “Señoras que restauran Cristos de Borja” (Signore che restaurano Cristi di Borja) raggiunse in poche ore i 20mila like. Su Twitter si diffuse l’hashtag #eccemono, ottenuto storpiando l’originale “Homo” in “Mono”, che in spagnolo significa scimmia.
Ryanair approfittò del fenomeno mediatico per fare una campagna pubblicitaria che ebbe parecchio successo, in cui proponeva biglietti aerei a pochi euro per Saragozza (l’aeroporto più vicino a Borja), per coloro che volevano vedere il Cristo restaurato di persona.
Dopo un picco di turisti tra il 2012 e il 2013, ora il numero di visitatori del Santuario si è assestato tra 10mila e 11mila all’anno. Nel 2016 a Borja è stato inaugurato un centro dedicato alla storia del Cristo restaurato e accanto al restauro di Giménez è stata esposta anche una riproduzione dell’immagine originale. Nel santuario è stata messa anche una mappa del mondo dove i visitatori possono segnare il proprio paese di provenienza: per ora quelli segnati sono 120.
È stato allestito un negozio di souvenir del Santuario che vende magliette, tazze, segnalibri, matite, penne, vino e magneti da frigo a tema Ecce Homo.
«Con tutto il rispetto per il dipinto originale di Elias García, l’opera più importante è ora quella fatta da Cecilia Giménez» ha commentato il sindaco di Borja. Più di recente il comune ha fatto una campagna intitolata “Borja es más” (Borja è di più) per spostare tutta l’attenzione portata dal Cristo restaurato anche alle altre attrazioni che la cittadina offre: gastronomia, vini e altre opere di valore artistico.
Negli ultimi anni le visite all’opera di Giménez (che costano 3 euro a visitatore) hanno portato circa 40mila euro all’anno di cui una parte viene spesa per pagare i dipendenti che si occupano delle visite e la manutenzione del Santuario, e una parte viene devoluta a un programma del comune per anziani non autosufficienti. Anni fa Giménez riuscì a ottenere una parte dei diritti d’autore sull’opera e a riscuotere la parte dei ricavi che le spettavano, che diede in beneficenza a un fondo per sostenere i pazienti affetti da una particolare malattia che ha anche suo figlio. Poi decise di rinunciare alla sua parte di ricavi e lasciarli al comune.
Grazie alla sua fama, Giménez è anche riuscita a vendere alcuni dei suoi dipinti su eBay. Oggi ha 91 anni e vive col figlio malato in una casa di riposo.