Perché si discute sulle liste del PD
In parte per il taglio dei parlamentari e in parte per gli equilibri interni: ma il problema riguarderà anche altri partiti, nei prossimi giorni
Da un paio di giorni nel Partito Democratico sono in corso grosse polemiche sulle liste dei candidati e delle candidate per le elezioni politiche del 25 settembre, approvate lunedì sera dalla segreteria del partito e dal suo capo Enrico Letta. Le polemiche riguardano il fatto che moltissimi parlamentari, anche piuttosto noti, sono stati esclusi dalle liste o rischiano di non essere eletti, e le modalità con cui queste scelte sono state fatte. In particolare, sui giornali sono circolate accuse alla segreteria di aver favorito alcune ”correnti“ (cioè alcuni raggruppamenti interni al partito) piuttosto che altre.
Sotto molti punti di vista, questi problemi sono fisiologici: dalle ultime elezioni il PD ha cambiato segretario quattro volte ed è normale che la segreteria di Enrico Letta voglia cambiare alcune cose. Tutto è complicato poi dal taglio dei parlamentari deciso durante l’ultima legislatura, che porterà quelli del PD dagli attuali 136 a 80–100. Questo ha reso necessario fare degli ampi tagli nelle liste, ed è un problema che non riguarda soltanto il PD: la destra deciderà le sue liste nei prossimi giorni, e sia Forza Italia sia la Lega saranno quasi certamente costrette a fare ampie esclusioni e a scontentare molte persone.
Semplificando, le esclusioni nelle liste del PD sono di due tipi: quelle immediate, cioè di persone che non sono state inserite in lista, e quelle di persone che sono sì state inserite, ma in posizioni in cui, secondo i sondaggi, è molto difficile se non praticamente impossibile che verranno elette.
Benché Letta sia in realtà stato piuttosto attento ad accontentare i capi di tutte le principali correnti con candidature favorevoli, i giornali sostengono che alcune siano state più penalizzate di altre, e questo ha provocato polemiche. Anzitutto sui cosiddetti ex renziani, cioè quei parlamentari che erano considerati vicini a Matteo Renzi ma che sono rimasti nel PD dopo che lui ne è uscito. L’esclusione in assoluto più notevole, in effetti, è quella di Luca Lotti, parlamentare del PD ma amico personale di Renzi e ministro dello Sport sotto il suo governo, che non sarà ricandidato: su Facebook, Lotti ha scritto che ritiene la decisione di escluderlo «dettata dal rancore».
Il riferimento è probabilmente al fatto, piuttosto citato in questa campagna elettorale, che Letta proverebbe ancora risentimento nei confronti di Renzi, risalente a quando nel 2014 lo sostituì come presidente del Consiglio. Lotti tuttavia è implicato in alcune inchieste giudiziarie, e questo potrebbe averne danneggiato la candidatura.
Un’altra corrente che sembra penalizzata è quella cosiddetta dei “giovani turchi”, un gruppo di parlamentari della sinistra del PD e con legami ormai laschi con l’ex segretario Pier Luigi Bersani: tra gli esclusi ci sono l’ex ministra Valeria Fedeli, Giuditta Pini e Fausto Raciti.
Ci sono poi quelli che sono stati inseriti in lista in posti in cui l’elezione è quasi impossibile: la più nota è Monica Cirinnà, la senatrice che promosse la legge sulle unioni civili, che è stata candidata all’uninominale in un collegio periferico di Roma in cui è molto difficile risultare eletta. Martedì Cirinnà aveva dapprima rifiutato la candidatura, poi ci ha ripensato.
Sono stati candidati in collegi difficilissimi, ma hanno poi rifiutato la candidatura, anche Vincenzo Amendola, attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e Stefano Ceccanti, deputato e noto costituzionalista.
Le polemiche sulla composizione delle liste, soprattutto con l’attuale legge elettorale in cui sono decise a tavolino dalla dirigenza dei partiti, sono frequenti e tutto sommato normali. I giornali raccontano per esempio come Letta, martedì, abbia ricordato che nel 2018 le decisioni prese da Renzi sulla composizione delle liste furono «truculente»: anche allora in effetti ci furono molte polemiche.
Le cose sono poi complicate ulteriormente dal taglio dei parlamentari, che farà sì che anche superando i consensi del 2018 il PD avrà comunque molti meno seggi. Questo però è un problema che riguarda quasi tutti i partiti: ha riguardato negli scorsi mesi il Movimento 5 Stelle, che è penalizzato anche dal crollo dei consensi e dalla regola interna dei due mandati, e che dovrebbe passare dagli attuali 181 parlamentari (erano 339 all’insediamento delle Camere, prima di molte scissioni) a una trentina.
Ma il problema riguarderà anche la destra, che è stata risparmiata dalle polemiche perché non ha ancora deciso ufficialmente le sue candidature. I negoziati sono in corso e dovrebbe esserci un annuncio in questi giorni: il limite massimo per la presentazione è lunedì 22 agosto.
Sia Forza Italia sia la Lega dovranno probabilmente scontentare molti parlamentari uscenti. Antonio Tajani, vicepresidente di Forza Italia, in un’intervista al Corriere della Sera ha detto che anche il suo partito dovrà fare dei «sacrifici» con le candidature: «Certo i numeri sono ridotti rispetto al passato, il taglio dei parlamentari pesa per tutti».
Anche la Lega dovrebbe decidere le proprie candidature tra giovedì e venerdì: secondo il Foglio, dei 194 parlamentari uscenti almeno 64 andranno tagliati «e a quelli va aggiunta un’altra trentina frutto del calo dei consensi rispetto al 2018, e con l’aggiunta di qualche volto nuovo, alla fine gli scontenti potrebbero superare quota 100».
L’unica forza politica che è sicura di aumentare i propri seggi è Fratelli d’Italia, che attualmente ha 37 deputati e 21 senatori e si aspetta di raddoppiarli. Il partito ha semmai il problema opposto, quello di trovare una classe dirigente.
– Leggi anche: Fratelli D’Italia si sta preparando a contare molto di più