La divisione di India e Pakistan, 75 anni fa
L'indipendenza dei due paesi dall'Impero britannico provocò una delle più grandi migrazioni di massa della storia, ed enormi violenze
A cavallo fra il 14 e il 15 agosto Pakistan e India festeggiano il 75° anniversario della loro indipendenza: il Pakistan il 14 e l’India il 15. Entrambi commemorano lo stesso evento, che avvenne alla mezzanotte del 14 agosto 1947: la Partizione dell’India, decisa dall’Impero britannico, che divise quella che era stata la colonia dell’India britannica in due stati separati e indipendenti, India e Pakistan.
La nascita dei due stati fu caratterizzata da enormi tensioni, che provocarono la migrazione di massa di 12-15 milioni di persone e generarono terribili violenze, che avrebbero causato un milione di morti. L’imponente migrazione di massa di quel periodo è oggi ricordata come una delle più grandi del ventesimo secolo.
Le comunità indù, sikh e musulmana erano convissute nel subcontinente indiano per centinaia di anni, con tensioni che iniziarono ad affiorare, seppur contenute, durante la dominazione britannica. L’India (compresi gli attuali Pakistan e Bangladesh) divenne ufficialmente una colonia dell’Impero Britannico nel 1858, dopo circa due secoli di controllo indiretto da parte della Compagnia britannica delle Indie orientali, che esercitava un potere politico oltre che economico.
I colonizzatori britannici iniziarono a differenziare la popolazione indiana in base alla religione contribuendo, secondo molti studiosi, alla successiva polarizzazione. La contrapposizione crescente fra indù e musulmani subì una decisiva accelerazione a partire dai primi anni del ventesimo secolo, quando i due gruppi religiosi iniziarono anche a identificarsi in movimenti politici per l’indipendenza, spesso divisi sulla forma che avrebbe dovuto avere l’India indipendente.
Il Partito del Congresso, che raccoglieva una maggioranza indù, e la Lega Musulmana iniziarono a scontrarsi politicamente negli anni Venti, e al principio degli anni Quaranta le due comunità già faticavano a vivere insieme pacificamente, con episodi di violenza crescenti: durante gli anni della Seconda guerra mondiale i quartieri misti quasi scomparvero, con la creazione di entità separate e contrapposte.
Alla fine della Seconda guerra mondiale, l’indebolito Impero britannico dovette decidere rapidamente cosa fare del suo vasto impero indiano, la cui popolazione era diventata sempre più irrequieta, politicamente attiva e difficile da controllare. Al termine di un processo di lotte e di disobbedienza civile durato un ventennio il Partito del Congresso indiano, guidato dal Mahatma Gandhi, chiedeva la creazione di un grande stato federale che comprendesse tutta l’India britannica, mentre il leader della Lega Musulmana, Muhammad Ali Jinnah, chiedeva che ai musulmani indiani (il 30 per cento della popolazione) venisse concessa la creazione di un loro stato indipendente, così da non rischiare di finire oppressi dalla maggioranza indù.
L’ultimo viceré dell’India, Lord Mountbatten, prese atto della decisione del 1946 del governo inglese di abbandonare la colonia indiana e concedere l’indipendenza, e accettò la soluzione del doppio stato, su basi religiose e confessionali.
Divise il subcontinente in tre parti. La gran parte del territorio meridionale, centrale e settentrionale divenne quella che oggi conosciamo come India, mentre le estremità nordoccidentali e nordorientali, separate tra loro da duemila chilometri di territorio indiano, divennero il Pakistan. Uno dei due territori che componevano l’allora Pakistan, quello nordorientale, ottenne l’indipendenza negli anni Settanta e divenne il Bangladesh. Quella che passò alla storia come la “Partizione” divenne effettiva alla mezzanotte tra il 14 e il 15 agosto del 1947: il Pakistan festeggia il 14, l’India il 15.
Quasi immediatamente oltre dieci milioni di persone che si trovavano nella parte “sbagliata” della Partizione avviarono una delle migrazioni di massa più grandi della storia: milioni di musulmani si diressero verso il Pakistan dell’Ovest e dell’Est (l’attuale Bangladesh), milioni di indù e sikh abbandonarono le loro case per fare la strada opposta.
Furono movimenti migratori improvvisi, caotici, per nulla preparati (il governo coloniale britannico aveva anticipato la Partizione di dieci mesi rispetto al previsto, nell’impossibilità di controllare il paese). Furono in parte migrazioni coatte: i gruppi religiosi maggioritari cacciarono i minoritari. Furono caratterizzate da episodi di violenza gravissimi, con indù e sikh da una parte e musulmani dall’altra, che furono descritti da alcuni storici come “reciproco genocidio”.
Karachi, designata capitale (fino al 1958) del Pakistan, nel 1941 era per il 48 per cento abitata da indù, Nuova Delhi era per un terzo musulmana. Dieci anni dopo la quasi totalità degli indù era partita dal Pakistan e 200.000 musulmani avevano lasciato la capitale indiana.
Le regioni più interessate dalle violenze settarie furono quelle di confine, il Punjab e il Bengala: qui le carneficine furono particolarmente violente con stragi, incendi di interi villaggi, conversioni forzate e stupri di massa: si stima che circa 75.000 donne siano state violentate, sfregiate e mutilate. Lo scrittore Nisid Hajari nel libro Midnight’s Furies scrive di violenze terrificanti, con gruppi, su entrambi i fronti, che infierivano su cadaveri, donne e bambini.
I migranti, che spesso percorrevano grandi distanze a piedi, erano oggetto di imboscate lungo la strada e i treni sovraffollati di rifugiati erano assaltati e arrivavano a destinazione con pochi superstiti. La stazione di Lahore, appena oltre il confine con il Punjab indiano, fu teatro di alcune delle stragi più documentate: da una parte sui suoi binari arrivavano treni pieni di cadaveri di musulmani uccisi durante il viaggio verso il Pakistan, dall’altra gli indù che si apprestavano a lasciare la città furono attaccati da folle inferocite di musulmani.
Le violenze non erano unicamente settarie ma a volte funzionali a sfruttare il caos della Partizione per assicurarsi terre e influenze. La storica Mytheli Sreenivas scrive: «Ex soldati che avevano combattuto nella Seconda guerra mondiale sfruttarono le armi a disposizione per eliminare le élite locali e garantirsi un potere politico ed economico».
Un anno dopo la decisione dell’Impero britannico, che in quei giorni non fu in grado né tentò di limitare le violenze, la migrazione era per lo più conclusa: ci furono almeno un milione di morti, ma studi demografici degli anni successivi arrivano a indicare in oltre tre milioni le persone morte o scomparse in seguito alla Partizione. Gli enormi campi profughi, in entrambi i paesi, avrebbero ospitato centinaia di migliaia di persone almeno fino al 1951.
– Leggi anche: India e Pakistan si odiano da 70 anni
Per decenni il racconto della Partizione è stato condizionato dalla contrapposizione fra i due stati: in Pakistan la data viene celebrata quasi unicamente come la nascita del paese e la violenza raccontata come unidirezionale, in India si accusano i musulmani di essere stati causa unica della separazione e quindi della tragedia. Le politiche filo-nazionaliste e filo-indù del primo ministro indiano Narendra Modi stanno aumentando le tensioni fra le due comunità religiose nelle maggiori città indiane.
Negli ultimi anni, specie in Occidente, ci sono stati tentativi di recuperare la memoria della Partizione da parte degli immigrati indiani e pakistani, e il racconto della Partizione di recente è arrivato anche in prodotti culturali e di intrattenimento molto diffusi, come la miniserie Disney Ms. Marvel.
– Leggi anche: La disputa di confine più strana del mondo