Come funzionano questi collegi elettorali
Cioè quelle parti di territorio in cui viene divisa l'Italia per le elezioni: chi li disegna, con quali criteri e come sono cambiati dopo il taglio dei parlamentari
Alle elezioni politiche del 25 settembre si voterà ancora con il “Rosatellum”, la legge elettorale usata alle ultime elezioni del 2018, ma con una differenza: si eleggeranno 600 parlamentari – 400 alla Camera e 200 al Senato – invece che 945, dopo l’approvazione nel 2020 del referendum costituzionale per ridurne il numero. Questo cambiamento ha reso necessaria una modifica dei collegi elettorali, che sono sostanzialmente le porzioni di territorio in cui viene suddivisa l’Italia per eleggere i rappresentanti in parlamento, a ognuna delle quali è associato un certo numero di seggi.
La suddivisione in collegi elettorali è utile principalmente per ragioni organizzative e di rappresentanza politica. I confini dei collegi vengono stabiliti in base al numero degli elettori residenti e ad altri criteri geografici, con l’obiettivo di creare porzioni di territorio equilibrate e omogenee dal punto di vista della popolazione. Il risultato è una mappa dell’Italia divisa in zone di grandezza anche molto variabile, ma con al loro interno un numero simile di abitanti.
Ogni collegio ha una scheda elettorale con un numero di nomi limitato e su cui gli elettori possono ragionevolmente farsi un’idea durante la campagna elettorale. Dal momento che in queste elezioni ci saranno meno seggi da assegnare a causa del taglio del numero dei parlamentari, saranno necessari anche meno collegi: per questo sono stati ridisegnati, e sono generalmente un po’ più grandi rispetto al 2018.
Come funzionano i collegi con il Rosatellum
La definizione dei collegi è complicata dal fatto che le camere del parlamento sono due e hanno una composizione diversa – una ha 400 deputati, l’altra 200 senatori –, e soprattutto dal funzionamento della legge elettorale. Il Rosatellum infatti si basa su un sistema misto: circa un terzo dei seggi viene assegnato in collegi uninominali, e altri due terzi in collegi plurinominali.
Si chiamano “uninominali” i collegi in cui si elegge un solo rappresentante, “plurinominali” quelli in cui se ne elegge più di uno. I collegi uninominali vengono assegnati con metodo maggioritario: vince l’unico seggio in palio il candidato della coalizione – o del partito che si presenta da solo – che prende un voto in più degli altri. I seggi dei collegi plurinominali invece si assegnano con metodo proporzionale: di solito in palio ce n’è più di uno, e vengono distribuiti tra i partiti in proporzione ai voti che hanno ottenuto.
Questo funzionamento comporta la formazione di quattro diverse mappe per la suddivisione dei collegi: due per la Camera e due per il Senato, con ciascuna camera che ne avrà una per i collegi uninominali e una per i collegi plurinominali.
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Chi ha ridisegnato i collegi, e come
Il governo ha affidato il compito di ridisegnare i collegi elettorali alla stessa “commissione di esperti” (viene chiamata così nei documenti ufficiali) che aveva elaborato il disegno dei collegi elettorali prima delle elezioni del 2018. La commissione è presieduta da Gian Carlo Blangiardo, che è il presidente dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), e comprende dieci esperti tra cui professori universitari di statistica, demografia, geografia economica, diritto costituzionale e altri ancora. La commissione aveva iniziato a lavorare già da prima che fosse approvato il referendum, a dicembre del 2019, e ha finito poco meno di un anno dopo, a referendum avvenuto.
Prima di stabilire i collegi, la commissione ha dovuto individuare le circoscrizioni: cioè suddivisioni territoriali più grandi che comprendono al loro interno un certo numero di collegi. È stata accettata la ripartizione già vigente nel 2018, con 28 circoscrizioni per la Camera e 20 per il Senato (che corrispondono esattamente alle 20 regioni italiane). I seggi vengono poi distribuiti tra le circoscrizioni, in proporzione alla loro popolazione: più persone ci vivono, più parlamentari saranno eletti in una circoscrizione. Per legge, i dati di riferimento sulla popolazione devono essere quelli dell’ultimo censimento disponibile, in questo caso quello del 2011.
Dal conto vengono esclusi i seggi che spettano alla circoscrizione estero, 8 alla Camera e 4 al Senato: ne rimangono quindi 392 alla Camera (di cui 147 uninominali) e 196 al Senato (di cui 74 uninominali).
Una volta assegnati i seggi alle varie circoscrizioni, la commissione ha potuto ridisegnare i collegi elettorali, tenendo in considerazione diversi parametri: il più importante è quello che riguarda la popolazione di un collegio, che non può essere superiore o inferiore del 20 per cento rispetto alla media di tutti i collegi che compongono una stessa circoscrizione.
Gli altri riguardano variamente quella che viene definita «coerenza del bacino territoriale». In pratica si cerca di creare collegi che si estendano su territori con una certa unità amministrativa: quindi che siano sempre all’interno della stessa regione, e – quando è possibile – senza “spezzare” i territori provinciali e comunali in collegi diversi. Naturalmente sono parametri non sempre applicabili, per esempio nel caso delle grandi città più popolose: in quei casi si cerca almeno di non spezzare le unità territoriali cittadine, come i municipi.
Le mappe
Le due mappe dei collegi uninominali sono più semplici sia da realizzare che da consultare, perché in pratica il territorio italiano viene diviso in 147 collegi per la Camera e in 74 per il Senato: tanti quanti sono i seggi da assegnare col maggioritario.
I seggi assegnati nei collegi plurinominali invece sono di più: 245 alla Camera e 122 al Senato, ma non corrispondono ovviamente al numero di collegi (altrimenti non sarebbero plurinominali). Ognuno infatti assegna almeno due seggi (salvo qualche piccola eccezione): per questo i collegi plurinominali sono meno rispetto a quelli uninominali, e spesso si estendono su un’area più grande.
Per non complicare eccessivamente le cose, la commissione ha stabilito che i collegi plurinominali debbano essere formati da uno o più collegi uninominali contigui. La Puglia per esempio al Senato ha 5 collegi uninominali, che tutti insieme formano l’unico collegio plurinominale della regione.
Le mappe qui sotto indicano la divisione dei collegi uninominali, ma scorrendo con la freccia sui vari collegi è possibile vedere anche a quale collegio plurinominale appartengono. Piemonte, Lombardia, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia sono le uniche regioni che hanno più di una circoscrizione (ne hanno tutte 2, tranne la Lombardia che ne ha 4): la mappa indica queste circoscrizioni con il numero di fianco al nome della regione (Piemonte 1, Piemonte 2, ecc).
Si notano alcune eccezioni: la Valle d’Aosta è l’unica regione che non elegge candidati per la parte proporzionale né alla Camera né al Senato; il Trentino-Alto Adige non elegge senatori al proporzionale.
Cosa cambia con i nuovi disegni dei collegi
Non molto, in realtà, secondo diversi esperti. La differenza più evidente rispetto al 2018 è che il taglio del numero dei parlamentari ha causato un allargamento dei collegi, che in alcuni casi comprendono territori più eterogenei di prima.
Il sito Pagella Politica ha fatto notare alcune conseguenze dovute alla nuova distribuzione dei seggi. Per esempio, alcune grandi città come Torino, Napoli, Palermo, Firenze e Bologna eleggeranno un solo senatore (prima erano di più). Inoltre, la differenza ammessa tra la popolazione dei collegi di una stessa circoscrizione crea alcuni squilibri: in Lombardia, alla Camera, il collegio uninominale più popoloso supera i 500mila abitanti, mentre quello meno popoloso è sotto i 350mila, entrambi però eleggeranno lo stesso numero di deputati, uno.
Secondo il costituzionalista Stefano Ceccanti, però, l’allargamento dei collegi non comporta particolari problemi: semplicemente, rispetto a prima «è venuta meno una sovrarappresentazione di alcune aree», dice.
La riduzione dei parlamentari amplificherà anche un’altra stortura nel Rosatellum, che è stata notata e commentata da diversi esperti negli ultimi giorni: quella del cosiddetto “sbarramento implicito” per la parte proporzionale al Senato. La regola generale è che i seggi vengono spartiti tra i partiti e le coalizioni che abbiano superato la soglia di sbarramento del 3 per cento a livello nazionale (o del 20 per cento in una singola regione, un’eccezione pensata per tutelare principalmente i partiti autonomisti). Nella pratica però questa soglia non basterà quasi in nessuna regione, e si alzerà soprattutto nelle regioni in cui si eleggono meno senatori.
Politologi ed esperti di sistemi elettorali hanno stimato una serie di forbici possibili in cui si aggireranno gli sbarramenti effettivi nelle singole regioni: solo in Lombardia dovrebbe davvero essere intorno al 3 per cento. Potrebbe essere tra il 5 e il 10 per Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia e Sicilia; tra il 10 e il 15 per la Calabria; tra il 15 e il 20 per Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche e Sardegna; sopra il 20 per cento per Umbria e Basilicata.
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