Cosa si sa dell’accoltellamento di Salman Rushdie
Le sue condizioni di salute non sembrano buone: l'uomo che lo ha attaccato è stato accusato di tentato omicidio e aggressione
La polizia dello stato di New York ha identificato la persona accusata di aver accoltellato venerdì mattina lo scrittore britannico di origine indiana Salman Rushdie, ferendolo gravemente: è un uomo di 24 anni che si chiama Hadi Matar, vive a Fairview, in New Jersey, e sabato è stato incriminato con l’accusa di tentato omicidio e aggressione. I motivi del suo gesto al momento non sono chiari. Dopo l’attacco Rushdie, che ha 75 anni, era stato soccorso immediatamente e trasportato in ospedale in elicottero: attualmente le sue condizioni di salute non sembrano buone.
Rushdie è stato attaccato mentre stava per cominciare un intervento sugli scrittori e gli artisti esiliati negli Stati Uniti durante un festival letterario organizzato a Chautauqua, nello stato di New York. Secondo le prime ricostruzioni della polizia, Matar era riuscito a salire sul palco mentre il moderatore dell’evento stava presentando lo scrittore, e con un’arma da taglio lo aveva colpito più volte e almeno una volta sia al collo che allo stomaco. Alcune persone dello staff e alcuni partecipanti del pubblico erano subito saliti sul palco per soccorrere Rushdie; nel frattempo l’aggressore era stato bloccato e poi arrestato da due agenti incaricati della sicurezza dell’evento. Nell’attacco è stato ferito in modo non grave anche Henry Reese, la persona che stava presentando Rushdie.
Venerdì sera l’agente di Rushdie, Andrew Wylie, ha fatto sapere che lo scrittore era stato operato in ospedale, dove è tuttora ricoverato. In un’email al New York Times, Wylie ha detto che le sue condizioni di salute «non sono buone»: al momento, infatti, Rushdie non è in grado di parlare e respira grazie all’ausilio di una macchina per la ventilazione. Wylie ha aggiunto che a causa dell’accoltellamento lo scrittore ha i nervi di un braccio recisi, ha subìto danni al fegato e potrebbe perdere un occhio.
Per ora i motivi che avrebbero spinto Matar ad attaccare Rushdie non sono noti.
Eugene Staniszewski, un funzionario della polizia dello stato New York, ha detto che al momento l’unica persona sospettata per l’attacco è Matar, che si ritiene abbia agito da solo. Staniszewski ha aggiunto che sul caso stanno indagando sia la polizia locale sia alcuni agenti dell’FBI.
Al momento non ci sono nemmeno conferme del fatto che Rushdie possa essere stato attaccato in relazione alla condanna a morte emessa nei suoi confronti da parte dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, ex leader politico e religioso dell’Iran. Dal 1989 infatti Rushdie è oggetto di una fatwa, una sentenza emessa da un’autorità religiosa e teoricamente vincolante per tutti i musulmani, per aver scritto un romanzo in cui – secondo Khomeini – Rushdie insultava la religione islamica e il suo profeta. Anche se da vari anni Rushdie viveva una vita piuttosto tranquilla, la storia della fatwa contro di lui aveva avuto un grosso impatto sulla sua vita personale e pubblica e lo aveva costretto a vivere per anni sotto un programma di protezione.
La fatwa fu emessa dopo la pubblicazione nel 1988 del libro I versi satanici (The Satanic Verses), che aveva turbato profondamente una parte del mondo islamico per via di un racconto apocrifo e molto antico della tradizione islamica che riguardava la vita di Maometto e che Rushdie aveva romanzato in un capitolo. Nel racconto, che non era mai stato inserito nel “canone” ufficiale, Maometto veniva ingannato dal diavolo e diventava protagonista di una serie di eventi considerati blasfemi da molti credenti.
Nonostante il libro di Rushdie non fosse mai stato tradotto in arabo e in nessuna delle altre lingue dei principali paesi musulmani, nel giro di pochi mesi quasi tutti i paesi a maggioranza musulmana ne vietarono la vendita e migliaia di persone si riunirono per bruciare in piazza le sue copie. Nel febbraio del 1989, poi, Khomeini annunciò alla radio la fatwa, che si rivolgeva non solo a Rushdie ma anche agli editori e alle persone che avevano reso possibile la pubblicazione del libro: nel 1991 il traduttore italiano dei Versi satanici, Ettore Capriolo, fu accoltellato e picchiato da uno sconosciuto a Milano; pochi giorni dopo Itoshi Sagurashi, che aveva lavorato alla traduzione del libro in giapponese, fu ucciso nel suo ufficio all’università di Tokyo. Nel 1993 l’editore norvegese del libro, William Nygaard, venne ferito con tre colpi di pistola fuori dalla sua casa ad Oslo.
Negli anni Novanta le autorità iraniane avevano più volte lasciato intendere la possibilità di perdonare Rushdie, ma poi avevano sempre finito col rimangiarsi la proposta. Nel 2019 l’ayatollah Ali Khamenei, successore di Khomeini, aveva detto che la fatwa era «irrevocabile».
Il New York Post, citando fonti delle forze dell’ordine, ha scritto che secondo le prime ricostruzioni Matar aveva espresso simpatia per il regime iraniano in alcuni post sui social network. Anche se molti media hanno collegato l’attacco di venerdì alla fatwa, per ora la polizia non ha confermato alcun collegamento con la condanna a morte.
Nel suo romanzo autobiografico del 2012, Joseph Anton, Rushdie racconta nel dettaglio gli anni che aveva trascorso sotto protezione, in cui era stato costretto a cambiare residenza ogni tre giorni e aveva cominciato a farsi chiamare con questo pseudonimo, preso dai nomi di battesimo di due tra i suoi scrittori preferiti, Joseph Conrad e Anton Chekhov.
In questo periodo, un po’ come i personaggi che inventava per i suoi romanzi, anche lui aveva detto di essere «diventato una specie di personaggio fittizio». Non poteva chiamare né incontrare i suoi amici, tranne in occasioni particolari, e doveva programmare persino le attività più semplici, come andare a fare una passeggiata. Dopo poco tempo questa situazione portò alla fine del suo matrimonio. A un certo punto Rushdie viveva con «quattro uomini armati enormi», i due agenti addetti alla sua protezione e due autisti, e doveva nascondersi in bagno ogni volta che l’addetta alle pulizie entrava nell’appartamento.
Verso la fine dell’autobiografia, Rushdie racconta anche come i servizi di intelligence britannici avessero deciso di sospendere il regime di protezione ritenendo che il rischio di attacchi nei suoi confronti non fosse più così alto, mettendo fine a una situazione durata circa nove anni, nonostante lo scrittore si fosse scusato in varie occasioni con le autorità musulmane. Dal 2000 viveva negli Stati Uniti, paese che nel 2016 gli aveva concesso la cittadinanza.
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