Il complicato settore dello streaming indiano
È ambitissimo per il suo enorme bacino di abbonati, ma le grandi aziende internazionali faticano a trovare la formula giusta
Nel febbraio del 2018 Reed Hastings, amministratore delegato di Netflix, disse che la sua azienda, presente in India dal 2016, avrebbe accumulato nel paese 100 milioni di abbonati. A più di due anni da quella dichiarazione, gli abbonati indiani a Netflix sono, stando a diverse stime, soltanto cinque milioni. L’India è quindi uno dei pochi paesi in cui nonostante importanti investimenti Netflix sta faticando di più, non essendo ancora riuscita a replicare la formula con cui ha avuto successo in giro per il mondo.
Quello dell’India – che essendo il secondo paese più popoloso al mondo, e con un’economia in forte espansione, offre incredibili possibilità di crescita per i servizi di streaming – è però un problema comune a molti: pur avendo più abbonati di Netflix, anche Disney e Amazon stanno infatti faticando a capire come muoversi in un paese grande e complesso, sfaccettato e multilingue, in cui i servizi di streaming sono più di 70. E nel cui mercato di recente è entrato anche Viacom18, un nuovo grande operatore (controllato per metà da Between Reliance Industries, uno dei più grandi gruppi industriali indiani) di cui è stato scritto che «ha i mezzi e i soldi per diventare una grande e dirompente forza nel settore dei media indiani».
Come spesso succede quando si parla di streaming, il caso di Netflix è emblematico per capire la peculiarità indiana. Come aveva scritto qualche mese fa il giornalista di Bloomberg Lucas Shaw, in India Netflix provò anzitutto a replicare quanto fatto altrove, Italia compresa: «iniziare puntando su giovani benestanti che vivono nelle grandi città e che si abbonano per vedere Stranger Things o Narcos, dopodiché provare a far crescere il numero di abbonati investendo su progetti locali fatti in collaborazione con i più grandi produttori del paese, offrendo loro una libertà creativa che altrove non avrebbero».
In effetti, nell’estate 2018, qualche mese dopo le parole di Hastings, arrivò quello che è considerato il primo successo indiano di Netflix: la serie in lingua hindi Sacred Games, un thriller ambientato a Mumbai e basato su un romanzo di successo. Sacred Games piacque molto in India ma anche altrove: l’Economist ne elogiò la capacità di combinare «talento cinematografico hindi, approccio hollywoodiano e soldi della Silicon Valley» e il New York Times la inserì tra le migliori serie internazionali degli anni Dieci di questo secolo.
La seconda stagione della serie, arrivata nel 2019, si fece notare molto meno e ancora non si sa se ce ne sarà una terza. Quella che sembrava poter essere la serie che apriva la strada alla crescita di Netflix in India (e dei contenuti indiani fuori dall’India) è rimasta per ora un caso isolato, incapace di avviare una rilevante crescita di abbonati.
Prendendo per buone le stime che parlano di circa 5 milioni di abbonati a Netflix in India, si tratterebbe di meno dello 0,5 per cento degli abitanti del paese. Sempre stando a stime di questo tipo, si pensa che gli abbonati italiani a Netflix rappresentino invece circa il 5 per cento della popolazione e che addirittura uno statunitense su cinque sia abbonato.
Oltre a investire centinaia di milioni di euro nella produzione di molte serie e di decine di film, la maggior parte dei quali in lingua hindi, negli ultimi mesi Netflix ha anche provato più volte a correggere e cambiare il costo dei suoi abbonamenti, abbassandolo notevolmente e introducendo un abbonamento per il solo servizio via smartphone al prezzo mensile di 149 rupie, pari a meno di 2 euro.
Per Netflix, così come per altri servizi di streaming che in genere offrono a loro volta abbonamenti a costi particolarmente bassi, l’India rappresenta un mercato importantissimo, quasi imprescindibile. Lo è perché con i suoi 1,3 miliardi di abitanti è il più popoloso paese del mondo in cui sono attivi i principali servizi internazionali di streaming (in Cina molti non ci sono) e perché tornerebbe molto comodo per raddrizzare il calo globale di abbonati seguito alla fine dei lockdown.
L’India offre inoltre una serie di condizioni che agli occhi di chi vende servizi di streaming la rende più attraente di molti altri paesi. Come ha scritto Shaw, «ha una robusta industria cinematografica, una classe media in crescita e un accesso a internet sempre più capillare».
Eppure, ci sono anche alcuni importanti ostacoli. Tra gli altri, Shaw cita le grandi differenze linguistiche e culturali e il fatto che il settore cinematografico abbia finora spesso avuto difficoltà nell’adattarsi alle dinamiche e alle pratiche di Netflix (o, al contrario, la difficoltà da parte di Netflix ad adattarsi a pratiche e dinamiche locali). Sempre Shaw cita inoltre le leggi indiane che prevedono che gli utenti debbano esplicitamente approvare ogni mese i loro abbonamenti mensili, cosa che in molti casi porta probabilmente le persone a pensarci su e a disdire i propri abbonamenti.
Più in generale, però, non c’è una chiara e semplice risposta al perché Netflix non sia ancora riuscita a sfondare in India, e parte della risposta sta forse nel fatto che – sebbene vadano un po’ meglio, con rispettivamente circa 15 e 45 milioni di abbonati – anche Amazon e Disney sono ben lontani da avere numeri davvero soddisfacenti.
Inoltre, nel caso di Disney, si tratta di numeri che nei prossimi mesi potrebbero ridursi notevolmente. Di recente, infatti, Disney+ (che in India si chiama Disney+ Hotstar) ha perso i diritti multimiliardari per trasmettere in streaming, nel paese, le partite della Indian Premier League, il più importante campionato indiano di cricket, lo sport più seguito nel paese. Si stima che per questo motivo possa perdere fino a 20 milioni di abbonati indiani.
A comprare quei diritti – che dureranno cinque anni e sono stati venduti per circa 3 miliardi di dollari – è stata proprio Viacom18, che già ora gestisce oltre 30 canali televisivi indiani e alcuni servizi di streaming e che anche solo grazie a questi diritti supererà quasi certamente il numero di abbonati di Netflix. La sua presenza, si prevede, renderà ancora più complicato l’ambitissimo settore dello streaming indiano.
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