La fatwa contro Salman Rushdie
Nel 1989 lo scrittore, che oggi è stato accoltellato, fu condannato a morte dall'ayatollah Khomeini per aver scritto un romanzo
Venerdì Salman Rushdie, lo scrittore britannico di origine indiana, è stato accoltellato mentre stava partecipando a un evento pubblico a Chautauqua, nello stato di New York, negli Stati Uniti. Al momento non ci sono informazioni sull’aggressore, che è stato fermato, e sulle condizioni di Rushdie, che è stato immediatamente soccorso.
Oltre che per la sua carriera di scrittore, Rushdie, che ha 75 anni e che dal 2016 ha cittadinanza statunitense, è noto perché nel 1989 fu oggetto di una condanna a morte da parte dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, il leader politico e religioso dell’Iran. Quella di Khomeini fu una fatwa, cioè la sentenza emessa da un’autorità religiosa e teoricamente vincolante per tutti i musulmani. La fatwa fu emessa dopo che Rushdie aveva scritto I versi satanici, un romanzo in cui, secondo Khomeini, Rushdie insultava la religione islamica e il suo profeta. Khomeini annunciò la fatwa alla radio nel febbraio 1989. Non ci sono al momento conferme del fatto che l’aggressore ha attaccato Rushdie in relazione alla fatwa, ma la storia della fatwa contro Rushdie è profondamente legata alla sua vita e alla sua figura pubblica.
Già prima dell’uscita del libro, nel mondo dell’editoria ci si aspettava che avrebbe portato controversie. Christopher Hitchens, lo scrittore e giornalista morto nel 2011 e amico di Rushdie, scrisse nella sua biografia, Hitch 22, che Rushdie aveva inviato una copia del manoscritto ad un amico con un biglietto che diceva più o meno: «Vorrei che ci dessi un’occhiata perché potrebbe turbare qualche credente».
Rushdie, nato nel 1947 a Bombay ed emigrato da giovane nel Regno Unito, all’epoca aveva poco più di 40 anni ed era già uno scrittore molto affermato, arrivato al suo quarto romanzo. Il suo secondo romanzo, I figli della mezzanotte, aveva vinto nel 1981 uno dei più importanti premi della letteratura in lingua inglese, il Booker Prize, oltre ad aver venduto centinaia di migliaia di copie in tutto il mondo.
Quello che avrebbe “turbato” una parte del mondo islamico, nella previsione di Rushdie, era l’aneddoto che dava il nome al libro, la storia dei “versi satanici”. Si tratta di un racconto apocrifo e molto antico che riguarda la vita di Maometto e che Rushdie romanzò in un capitolo del suo libro. Nel racconto Maometto viene ingannato dal diavolo che gli suggerisce un passo del Corano.
In Occidente, almeno all’inizio, furono pochi i lettori che capirono a cosa Rushdie si stesse riferendo in quell’aneddoto. I nomi dei luoghi e dei personaggi infatti erano stati cambiati: Maometto era diventato Manhoud e la città della Mecca era stata cambiata in Jaihilia. Fuori dall’Europa e dagli Stati Uniti, invece, i riferimenti vennero colti molto in fretta. I versi satanici venne pubblicato il 5 ottobre del 1988. Nove giorni dopo il parlamento dell’India – il paese dove Rushdie era nato – ne vietò l’importazione.
Inizialmente la cosa non fece molto rumore, ma alla fine del novembre 1988 quasi tutti i paesi a maggioranza musulmana del mondo, insieme a Sudafrica e Thailandia, avevano vietato la vendita del libro. Alla fine di ottobre l’editore del libro, la Viking Penguin, aveva già ricevuto decine di migliaia di lettere di proteste, mentre Rushdie cominciò ad annullare i viaggi e a farsi accompagnare da alcune guardie del corpo.
Nel dicembre del 1988, nel Regno Unito, 7mila musulmani si riunirono nella città di Bolton, nella zona di Manchester, per bruciare in piazza alcune copie del libro. Nel gennaio 1989 una folla ancora più grande organizzò un altro rogo, mentre molte associazioni musulmane chiesero al governo britannico di utilizzare una vecchia legge mai applicata, il Blasphemy Act, per bloccare la stampa e la vendita dei Versi satanici. In poco più di tre mesi la controversia era sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo.
Gli episodi più gravi, però, dovevano ancora avvenire. Il 12 febbraio, a Islamabad, in Pakistan, 10mila persone si riunirono per protestare contro il libro di Rushdie. Durante la manifestazione un gruppo di loro cercò di assaltare il Centro culturale americano. La polizia sparò sulla folla; sei persone vennero uccise e almeno altre cento furono ferite. Il 13 febbraio ci fu un altro morto e altre decine di feriti durante una manifestazione a Srinagar, in India, e il 14 febbraio, l’ayatollah Khomeini, che era malato e che morì nel giugno 1989, disse alla radio di stato iraniana:
Informo tutti i buoni musulmani del mondo che l’autore dei Versi satanici, un testo scritto e pubblicato contro la religione islamica, contro il profeta dell’Islam e contro il Corano, insieme a tutti gli editori e coloro che hanno partecipato con consapevolezza alla sua pubblicazione, sono condannati a morte. Chiedo a tutti i coraggiosi musulmani, ovunque si trovino, di ucciderli immediatamente, cosicché nessuno osi mai più insultare la sacra fede dei musulmani. Chiunque sarà ucciso per questa causa sarà un martire per il volere di Allah.
Nel romanzo biografico del 2012 Joseph Anton, che racconta nel dettaglio i suoi anni sotto copertura (e con falso nome), Rushdie scrisse che venne a sapere della sua condanna a morte da un giornalista della BBC. Poco dopo venne contattato dal governo britannico ed entrò in un programma di protezione. Come ha scritto Hitchens, da quel giorno e per diversi anni«Rushdie scomparve in una bolla nera di sicurezza totale». Per i primi mesi cambiò residenza ogni tre giorni, non poteva chiamare né incontrare i suoi amici, tranne in occasioni particolari. Dopo poco tempo questa situazione portò alla fine del suo matrimonio.
Siccome la fatwa riguardava però tutti “gli editori e a chiunque altro avesse partecipato alla pubblicazione del libro”, fu difficile proteggere tutti e alcuni di loro furono colpiti. Due anni dopo la fatwa, l’11 luglio 1991, Itoshi Sagurashi, che aveva lavorato alla traduzione del libro in giapponese, venne ucciso nel suo ufficio all’università di Tokyo. Una settimana prima, a Milano, il traduttore italiano Ettore Capriolo era stato accoltellato e picchiato da uno sconosciuto assalitore. Due anni dopo, l’11 ottobre 1993, l’editore norvegese del libro, William Nygaard, venne ferito con tre colpi di pistola fuori dalla sua casa ad Oslo. Anche se in nessuno dei tre casi sono stati individuati i responsabili, gli episodi sono universalmente considerati collegati con la fatwa che riguarda il libro.
I versi satanici non è un romanzo semplice e in molti, tra cui lo stesso Rushdie, dubitano che la gran parte dei suoi critici lo abbiano mai letto – anche perché non è mai stato tradotto in arabo, urdu o farsi, le lingue dei principali paesi musulmani. Il libro è lungo più di 600 pagine, è pieno di riferimenti culturali e linguistici difficili da capire per chi non conosca bene la letteratura inglese, ma anche per coloro che non siano cresciuti o non conoscano molto bene l’India e l’Asia orientale.
Il romanzo, in sostanza, è una storia tipica della produzione di Rushdie, il racconto della vita di due emigrati indiani nell’Inghilterra contemporanea. I due protagonisti sono due attori indiani di origine musulmana; uno ha un grande successo a Bollywood, mentre l’altro ha rinunciato alle sue radici e lavora come doppiatore nel Regno Unito. All’inizio del romanzo i due protagonisti sopravvivono in modo soprannaturale a un attentato che distrugge l’aereo su cui stanno viaggiando.
Nel resto della storia, che prosegue in maniera sempre più onirica e magica, i due cominciano a trasformarsi. Il primo diviene simile a un angelo, mentre il secondo comincia a assomigliare ad un demone. Mentre all’inizio i ruoli di bene e male sembrano chiari, con l’avanzare del racconto la trasformazione angelica si rivela una sorta di schizofrenia, mentre l’altro personaggio, il demone, sembra riuscire a redimersi. Alla fine il doppiatore si riconcilia con le sue radici indiane, mentre la star di Bollywood, sempre più alienata dal suo passato, si suicida.
La parte più controversa del libro non occupa più di 70 pagine ed è la descrizione di un lungo sogno di uno dei protagonisti, la star di Bollywood. In questa scena onirica, Rushdie rielabora un episodio della tradizione islamica – l’episodio dei versi satanici, appunto. Si tratta di un racconto molto antico della tradizione islamica che però non è mai stato inserito nel “canone” ufficiale.
In modo simile ad alcuni passi dei vangeli apocrifi, dove è descritta l’infanzia di Gesù e i dispetti e le piccole cattiverie che commetteva, l’episodio dei versi satanici racconta un momento di debolezza di Maometto. Nella storia il profeta dell’Islam viene ingannato dal diavolo che lo spinge ad annunciare ai suoi concittadini che le tre figlie di Allah (cioè tre antiche divinità pagane del pantheon arabico) erano degne di essere venerate.
Nel libro, Rushdie aggiunge altri dettagli al racconto tradizionale. Quando Maometto rinsavisce, diversi personaggi del sogno (un suo ex seguace, un poeta ubriacone, alcune prostitute) si riuniscono in un bordello e, tra di loro, criticano il profeta, accusandolo di essere uno di loro, un uomo dissoluto, un ubriacone e un imbroglione. Come forma di disprezzo, alcune prostitute assumono i nomi delle mogli del profeta.
I versi satanici, comunque, fu un grande successo editoriale. Già nel maggio del 1989 aveva venduto 750mila copie, che negli anni successivi diventarono diversi milioni. Mentre le vendite aumentavano e il caso attirava un’attenzione crescente in tutto il mondo, aumentavano anche le minacce da parte dell’Iran. Diverse istituzioni religiose misero una taglia sulla testa di Rushdie, aumentandola poi diverse volte, e alcuni uomini d’affari iraniani arrivarono ad offrire personalmente ulteriori ricompense.
Già dagli anni Novanta le autorità iraniane hanno più volte lasciato intendere la possibilità di perdonare Rushdie, anche se hanno sempre finito col rimangiarsi la proposta.
Da parte sua, già pochi giorni dopo la fatwa Rushdie si scusò. Lo fece, in seguito, diverse altre volte e nel 1990 arrivò a professare pubblicamente in un articolo la sua fede musulmana e a chiedere alla sua casa editrice di smettere di vendere il libro.
Non servì a molto, e nemmeno cambiarono le cose quando nel 1998 il governo iraniano dichiarò che non avrebbe mai appoggiato un tentativo di assassinio nei confronti di Rushdie, ma che comunque non intendeva ritirare la fatwa, anche per via della convenzione secondo cui solo l’autore di una fatwa può farlo (e Khomeini, che morì nel 1989, non lo fece mai).
In reazione all’intransigenza iraniana, Rushdie ritirò però le sue scuse e la sua professione di fede musulmana. Come ha scritto il New York Times, «in anni più recenti Rushdie ha avuto una vita più rilassata a New York», dove vive.