Cos’è un rigassificatore
Come funzionano gli impianti utili a ridurre la dipendenza dal gas russo, che sono diventati un tema di campagna elettorale
Se il progetto di inceneritore a Roma era stato al centro della crisi politica che ha portato alla fine del governo di Mario Draghi, quello per installare un rigassificatore a Piombino è diventato uno dei temi più citati della campagna elettorale. Tra le altre cose, la questione è stata uno dei motivi di distanza tra Azione di Carlo Calenda (favorevole al rigassificatore) e Sinistra Italiana e Verdi (contrari), che ha portato all’uscita di Azione dalla coalizione di centrosinistra. A livello nazionale, inoltre, quando si parla del rigassificatore di Piombino quasi tutti i partiti hanno posizioni diverse rispetto a quelle locali.
Ma se gli inceneritori sono strutture più o meno note alla gran parte delle persone, anche perché ne esistono molti in tutta Italia, i rigassificatori sono impianti di cui fino all’anno scorso, prima dell’invasione russa dell’Ucraina e dei conseguenti problemi di approvvigionamento di gas naturale, non si parlava tanto.
In breve, i rigassificatori servono per riportare allo stato gassoso il gas naturale liquefatto, in sigla GNL o LNG, dall’espressione inglese. Sono cioè stabilimenti industriali indispensabili per poter utilizzare gas proveniente da paesi non collegati all’Italia da gasdotti, come possono essere gli Stati Uniti o il Qatar.
Il gas naturale può essere trasportato via nave ma è conveniente solo se prima è stato reso liquido, cioè quando è GNL: in questo modo occupa un volume circa 600 volte inferiore e una metaniera può trasportarne una quantità molto maggiore. Una volta giunto via nave negli impianti di rigassificazione, che dunque si trovano sempre sulla costa, il GNL è ritrasformato in gas e successivamente viene immesso nei gasdotti del territorio, da cui arriva a centrali termoelettriche a gas, aziende e case.
Più nel dettaglio, il GNL viene trasportato nelle navi a pressione poco superiore a quella atmosferica e a una temperatura di -162 °C, che serve per mantenerlo liquido. Nei rigassificatori torna allo stato gassoso grazie a un processo di riscaldamento controllato all’interno di un vaporizzatore, che ha un volume adeguato per permettere l’espansione del gas. Il riscaldamento avviene facendo passare il GNL all’interno di tubi immersi in acqua marina – che ha chiaramente una temperatura più alta.
Esistono diversi tipi di rigassificatori, principalmente a seconda della posizione in cui sono collocati: ci sono quelli onshore, cioè sulla terraferma, che dall’esterno somigliano a tanti altri impianti industriali, e ci sono quelli offshore, che invece si trovano in mare a poca distanza dalla costa, alla quale sono collegati da un gasdotto. A loro volta i rigassificatori offshore possono essere isole artificiali, costruite per restare dove si trovano, oppure navi gasiere, cioè fatte per il trasporto di gas, ancorate al fondale e modificate in modo da trasformare il GNL. Queste ultime sono dette floating storage and regasification units, “unità galleggianti di stoccaggio e rigassificazione”, e spesso indicate con la sigla FSRU.
In Italia attualmente ci sono tre rigassificatori funzionanti, uno per tipo. Il più vecchio è una struttura onshore e si trova a Panigaglia, in provincia di La Spezia. Fu realizzato negli anni Settanta, ha una produzione massima annuale di 3,5 miliardi di metri cubi e appartiene a Snam, la società che gestisce la rete di gasdotti italiana.
Il più grande dei tre rigassificatori è invece il Terminale GNL Adriatico, un impianto offshore. È un’isola artificiale e si trova in mare al largo di Porto Viro, in provincia di Rovigo. Ha una produzione massima annuale di 8 miliardi di metri cubi di gas, è attivo dal 2009 e la società che lo gestisce è una joint venture composta dalla grande compagnia petrolifera statunitense ExxonMobil (al 70 per cento), dall’azienda petrolifera statale qatariota Qatar Petroleum (23 per cento) e da Snam (7 per cento).
Il terzo rigassificatore è una FSRU e si trova nel mar Tirreno, al largo della costa tra Livorno e Pisa. Immette gas in rete dal 2013 e ha una produzione massima annuale di 3,75 miliardi di metri cubi. Appartiene a Snam per il 49,07 per cento, alla società di investimento First Sentier Investors per il 48,24 per cento e alla società di noleggio e gestioni di navi metaniere Golar LNG per la parte restante.
Anche il progetto di rigassificatore a Piombino sarebbe una FSRU: questo tipo di impianto ha il vantaggio di poter essere allestito e diventare operativo in tempi ridotti, oltre che di poter essere spostato. A giugno Snam ha acquistato la FSRU Golar Tundra, che potrebbe trattare 5 miliardi di metri cubi di gas all’anno, con l’idea di posizionarla nel centro-nord Italia, cioè nelle zone del paese dove si consuma più gas.
In precedenza Snam aveva stretto un accordo per comprare anche anche la Golar Arctic, una gasiera ancora da convertire in FSRU, che secondo i progetti sarà installata vicino al porto di Portovesme, nel sud-ovest della Sardegna – anche questo progetto è oggetto di critiche. Un terzo accordo riguarda la FRSU BW Singapore, sempre con una produzione massima annuale di 5 miliardi di metri cubi di gas, che da progetto dovrebbe essere installata nel nord dell’Adriatico, vicino a Ravenna.
Il principale impatto ambientale a livello locale delle FSRU è dato dalla necessaria installazione di gasdotti di collegamento alla rete di distribuzione del gas sulla terraferma. Il progetto di Piombino ad esempio prevede l’installazione di un tubo lungo 8 chilometri che passerà nell’area industrializzata di Piombino e dovrà essere realizzato o sottoterra, rendendo necessarie attività di bonifica e messa in sicurezza del suolo, oppure a cielo aperto con un certo impatto per le attività nell’area interessata. È uno degli aspetti più contestati del progetto.