Il binge watching sta passando un po’ di moda
Pubblicare le serie tutte-e-subito ha fatto la fortuna di Netflix, ma ora che il contesto dello streaming è cambiato emergono anche i limiti
In meno di dieci anni il “binge watching” – la visione consecutiva di più episodi di una nuova serie, messi tutti a disposizione degli utenti nello stesso momento – è diventato un’abitudine per molti o, quantomeno, una pratica nota. Sebbene anche prima ci fosse modo di vedere più episodi consecutivi su certi canali o in DVD, il “binge-watching” (da “binge”, abbuffata) si affermò dal 2013 in poi, di pari passo con l’espansione di Netflix e delle sue serie, e diventò uno dei simboli di come la piattaforma era riuscita a rompere le convenzioni e gli schemi televisivi del passato.
Da qualche tempo, però, il binge watching sembra in difficoltà: piattaforme come Disney+, Apple TV+ o Prime Video ne fanno spesso e volentieri a meno, e perfino Netflix sta in parte esplorando modalità di distribuzione diverse rispetto alla pubblicazione contemporanea degli episodi di una serie, in formato tutto-e-subito.
Se dal punto di vista degli spettatori il binge watching si poteva già fare con i DVD, la grande novità rappresentata da Netflix fu di fare uscire, tutti nello stesso momento, gli episodi delle sue serie, anche le più costose e ambiziose come House of Cards. La novità piacque: già nel 2013, anno della prima stagione di House of Cards, “binge watching” fu tra le finaliste per la parola dell’anno degli Oxford Dictionaries: se la giocò con “twerk” e “bitcoin” e le fu preferita solo “selfie”.
All’inizio, ci fu anche un periodo in cui Netflix provò – evidentemente senza successo – a far sì che si parlasse di “marathon watching” anziché di binge watching. In breve, a Netflix non piaceva granché il fatto che il binge watching potesse essere associato a concetti negativi e per nulla salutari come il “binge drinking” o il “binge eating”, cioè all’abbuffata di alcolici o di cibo.
Nel maggio 2019, dopo l’ultimo episodio dell’ultima stagione di Game of Thrones – una serie uscita in modo tradizionale, un episodio a settimana – il binge watching era così dominante che ci fu perfino chi ne parlò come dell’ultima serie che riuscimmo a «guardare tutti insieme», stagione dopo stagione, episodio dopo episodio. La pandemia e l’improvviso tempo che molti si trovarono a disposizione per guardare serie online rafforzò in molti la convinzione dell’ineluttabilità del binge watching. Nel dicembre 2020, Netflix chiuse l’anno con 37 milioni di abbonati in più rispetto a gennaio di quell’anno, confermando apparentemente che il futuro della fruizione delle serie era quello.
Nel frattempo, però, si stavano affermando gli altri grandi servizi di streaming che, essendo il binge watching ormai così profondamente associato a Netflix, provarono anche altre strade. Se Prime Video ha spesso alternato il modo in cui metteva i suoi episodi a disposizione degli spettatori (a volte perfino cambiando a seconda della stagione della stessa serie), altri servizi di streaming hanno avuto approcci ancora più drastici. Il servizio ad agire in modo più deciso è stato probabilmente Disney+, su cui tutti gli episodi di tutte le serie più importanti, comprese quelle legate a Star Wars e all’Universo Cinematografico Marvel, escono sempre a cadenza settimanale, mai tutti insieme.
Fatta eccezione per il numero di abbonati, con lo streaming è sempre molto difficile avere numeri e parametri affidabili per capire i tempi o la portata di certi fenomeni. Guardando però come escono le nuove serie o come sono uscite quelle di cui più si è parlato, si possono ottenere alcune informazioni utili.
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«Diversi dati» ha scritto Axios «mostrano che il 2019 fu un primo punto di svolta per le uscite settimanali», e non a caso fu l’anno della nascita di Disney+ ed Apple TV+. Per esempio, quelli elaborati dalla società d’analisi Parrot Analytics, che mostrano come dal 2020 al 2021 tra le serie più richieste negli Stati Uniti sia notevolmente aumentata la percentuale di quelle a uscita settimanale.
Entrambi i servizi scelsero sin dall’inizio, cioè dal lancio delle loro prime serie importanti (rispettivamente The Mandalorian e The Morning Show), la cadenza settimanale. Nel 2020, nonostante la pandemia, altri servizi ancora (per esempio HBO Max, Peacock e Discovery+) esordirono spesso puntando a loro volta sulla cadenza settimanale. Da più parti, il 2021 è stato presentato come l’anno in cui il binge watching è addirittura «stato sorpassato». Dopo nemmeno un decennio è già «passato di moda», secondo The Ringer.
Oltre che per provare a differenziarsi dal modello di Netflix, le più recenti piattaforme di streaming hanno scelto di puntare sulla cosiddetta appointment tv: (la “tv dell’appuntamento”, in cui si sa che in un certo giorno – un tempo anche a una certa ora – c’è il nuovo episodio di una certa serie. È un modo di puntare sulla persistenza più che sull’intensità della visione, che comunque è un approccio che ha ancora un gran successo come ha dimostrato l’anno scorso Squid Game. La pubblicazione di un’intera stagione in un colpo solo accentra le attenzioni del pubblico, in cui si insinua il timore di essere tagliati fuori e la paura, se non la si vede quanto prima, di subirne gli spoiler. Per come funziona oggi la soglia dell’attenzione delle persone, concentrare in un arco di tempo limitato la proliferazione di contenuti promozionali, quelli diretti e quelli indiretti come possono essere i meme sui social network, è particolarmente efficace.
Al contrario, le serie i cui episodi arrivano a cadenza settimanale hanno persistenza per più tempo, in genere toccando l’apice di rilevanza e attenzioni con l’arrivo dell’ultimo episodio, ma con minore intensità. Della seconda parte della quarta stagione di Stranger Things si è parlato tantissimo per qualche giorno e poi molto meno. Di una nuova serie Marvel su Disney+ si parla un po’ per volta, settimana dopo settimana.
Tra questi due modelli, che coesistono già da tempo, non ce n’è uno intrinsecamente e sempre migliore. Si può sostenere che, uscendo un episodio per volta, una serie come Squid Game avrebbe beneficiato di teorie, congetture e discorsi davanti alla macchinetta del caffè fatti da chi la vedeva e voleva provare a ragionare insieme – senza per forza doverlo scoprire il-più-presto-possibile – su come sarebbe andata a finire. Allo stesso modo, ci sarebbero anche argomenti per dire che una serie piena di personaggi, intrighi e storie come Game of Thrones sarebbe stata più facile da seguire senza dover far passare una settimana tra un episodio e l’altro.
Più che per ragioni creative o distributive, la rapida ascesa e il recente rallentamento del binge watching hanno però a che fare con questioni economiche, col fatto che anzitutto Netflix, ma ormai anche altre piattaforme, sono passati da una fase espansiva a una conservativa. In breve, fino a un paio di dati trimestrali fa Netflix puntava a guadagnare nuovi abbonati e a proporsi come la principale alternativa alla televisione tradizionale. In questo senso, il binge watching era visto come una grande novità e opportunità.
Ora che invece servizi come Netflix, Disney+, Prime Video e Apple TV+ sono anzitutto in competizione uno con l’altro, il principale obiettivo di molti – soprattutto di Netflix – è non perdere abbonati. Oltre a offrire sempre nuove serie uno dei modi che i servizi di streaming hanno per non perdere abbonati è far sì che tra l’inizio e la fine di una serie passino per forza di cose diverse settimane.
Tuttavia, più che di fine del binge watching, sembra più giusto per il momento parlare di alternanza tra due modelli. In certi casi perfino di forme ibride tra uno e l’altro: come succede quando i primi tre episodi di una serie vengono messi online nello stesso momento (per generare attenzione e far si che gli spettatori ci si possano affezionare), o quando invece – come successo con la quarta stagione di Stranger Things o ancor prima con l’ultima di La casa di carta – Netflix sceglie di spacchettare una stagione in due parti, magari facendo sì che tra l’uscita della prima e della seconda passi poco più di un mese.
A proposito dell’uscita della seconda stagione di Stranger Things in due momenti diversi (per capire quanto può essere stata una buona strategia bisognerà aspettare i prossimi dati trimestrali di Netflix), a fine giugno il Wall Street Journal aveva scritto che era «un grande esperimento fatto davanti a centinaia di milioni di persone, con miliardi di dollari in ballo e il futuro dell’intrattenimento in gioco».
Netflix si trova infatti combattuta tra la volontà di continuare con il binge watching, per differenziarsi e perché così sembrano volere molti suoi abbonati, e la necessità, per competere con i suoi più diretti avversari, di provare anche strade per lei nuove. Parlando al Wall Street Journal Julia Alexander, direttrice della società d’analisi Parrot, ha detto: «penso che Netflix non abbandonerà subito il binge watching con le sue serie più famose, perché è parte integrante della sua identità; penso però che avrebbe molto senso farlo con le prossime stagioni di serie come The Crown o Bridgerton». In queste serie, ha detto Alexander, gli spettatori già ci sono, potrebbero lamentarsi «ma continuerebbero a pagare».
Ci sono anche casi che sembrano andare in un’altra direzione: Disney+ scelse per esempio di far uscire The Beatles: Get Back, l’attesa e monumentale docuserie di Peter Jackson sui Beatles intenti a registrare le loro ultime canzoni, in tre parti: il 25, il 26 e il 27 novembre 2021.
Oltre che di due modelli in alternanza o perfino in contrapposizione, è probabilmente più giusto parlare – e ipotizzare per i prossimi mesi – una serie di sperimentazioni e ibridazioni tra questi due modelli. Perché, se da un lato sono stati riscoperti i vantaggi della appointment tv, dall’altro è difficile, una volta che molti spettatori si sono abituati al binge watching, tornare totalmente al passato: come dicono certi analisti, «sarebbe come rimettere il dentifricio nel tubetto».
È però probabile che quello che già qualcuno chiama “semi binge” potrebbe finire per complicare ancora di più un contesto già piuttosto frammentato, in cui le serie sono sparse tra sempre più servizi in competizione tra loro. Sarebbe, in altre parole, una cosa che fa comodo alle piattaforme ma non agli spettatori.
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